Carta di Leuca.0 Giovani: Quattrucci (Comunità Sant’Egidio), “dobbiamo tornare a camminare insieme”

Migranti nel Mediterraneo salvati dalle autorità italiane ANSA la stampaCammino, muri, notte, ponti, speranza. Sono le parole che verranno evocate questa sera da Alberto Quattrucci, segretario generale di “Uomini e Religioni” e membro della Comunità di Sant’Egidio, nel corso dell’evento conclusivo di “Carta di Leuca.0 – Mediterraneo, un mare di ponti” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. “Dobbiamo tornare a camminare insieme”, afferma Quattrucci, anticipando il suo intervento al Sir. “Il cammino è la ‘dimensione umana’ della vita dell’uomo”, prosegue, sottolineando che “per camminare c’è bisogno dell’altro, c’è bisogno della mano dell’altro, c’è bisogno della comunità”. “Ma il nostro mondo giudica male chi cammina insieme e chi si preoccupa troppo che gli altri imparino a camminare”, osserva Quattrucci riferendosi a “zingari, rom, chiamati giustamente nomadi, cioè camminatori” e a “rifugiati, quelli costretti a camminare per fuggire dalla guerra e per salvare la loro vita e quella dei loro figli”. Secondo Quattrucci, “i muri impediscono di camminare” e “generano tanta violenza, perché sono ‘fabbriche di nemici'”. “Il nostro mondo – aggiunge – sta vivendo una lunga notte: nelle famiglie in difficoltà, nelle società”. “È la notte delle tante guerre ancora aperte, diffuse in molti angoli del mondo” ma anche “di una violenza che si moltiplica ovunque e che diviene ‘spettacolo’: attentati terroristici, torture fisiche, giochi perversi”. In questa situazione, Quattrucci citando mons. Tonimo Bello – “Non si va in cielo salendo scale, ma costruendo ponti” – invita a costruire ponti, il primo dei quali “è quello fatto dalle proprie mani tese verso l’altro”. “Noi della Comunità di Sant’Egidio – continua – abbiamo aperto delle brecce nei muri: si chiamano ‘corridoi umanitari’, attraverso i quali uomini e donne, anziani e bambini, sono arrivati salvi a Roma dal Libano, dove si erano rifugiati dalla Siria”. Infine, la parola “speranza”, che “è la forza della vita, è la ‘benzina’ per il cammino della vita”. “La speranza – evidenzia – fa uscire da sé, fa uscire dalla stanchezza delle abitudini, fa camminare per le strade del mondo alla ricerca del nuovo, dell’altro, del futuro”. “Senza speranza non si vive, ma si sopravvive; non si cammina, ma si resta fermi; non si guarda in avanti, ma si tiene gli occhi curvi su se stessi e quindi – conclude – prima o poi, si inciampa”.

http://agensir.it/quotidiano/2016/8/13