Uniti nell’azione pastorale

kirill francesco meeting dialoguedi HYACINTHE DESTIVELLE *

Il 2016 ha segnato un’importante svolta nelle relazioni tra la Santa Sede e le Chiese ortodosse slave. Il 12 febbraio, per la prima volta nella storia, un Papa ha incontrato un patriarca di Mosca, primate della Chiesa ortodossa principale per il numero di fedeli. Sorprendente è stato il fatto che l’incontro tra i capi delle due Chiese più grandi del continente europeo non abbia avuto luogo in Europa, ma a Cuba.
Questa scelta inattesa non è stata frutto del caso. Il patriarca Cirillo, nel motivarla, ha sottolineato l’importanza di incontrarsi lontano da un continente che potrebbe ricordare troppo le polemiche e le divisioni tra i cristiani, ovvero, come afferma la Dichiarazione comune firmata dai due capi di Chiesa, «lontano dalle vecchie dispute del “Vecchio Mondo”». La scelta di Cuba corrispondeva anche all’attenzione privilegiata di Papa Francesco per le periferie del mondo e al suo sguardo decentrato rispetto all’E u ro p a , uno sguardo definito giustamente «sguardo di Magellano». Il fatto stesso che si sia verificato un simile evento ha spesso relegato in secondo piano la Dichiarazione comune firmata in tale occasione da Papa Francesco e dal patriarca Cirillo. Tuttavia, è precisamente la Dichiarazione che ha permesso l’incontro e non il contrario. I tentativi precedenti di organizzare un incontro erano falliti soprattutto a causa dell’impossibilità di mettersi d’accordo su un testo comune. Un dialogo lungo e approfondito ha consentito di trovare formule accettabili per entrambi i capi di Chiesa. Nell’introduzione del documento, il Papa e il patriarca constatano ufficialmente la fine di secoli segnati da polemiche e diffidenze: «Nella nostra determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato, vogliamo unire i nostri sforzi per testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo millennio, rispondendo insieme alle sfide del mondo contemporaneo» (n. 7). Il documento affronta in seguito sei temi di natura primariamente sociale: la persecuzione dei cristiani, la libertà religiosa, la solidarietà con i poveri, la famiglia, i giovani, la missione. La Dichiarazione comune deve essere letta come un testo pastorale. Il Santo Padre stesso l’ha precisato: «non è una dichiarazione politica, non è una dichiarazione sociologica, è una dichiarazione pastorale». Sarebbe dunque sbagliato interpretare questo testo soltanto alla luce di criteri geopolitici. Né sarebbe corretto attribuire un’eccessiva importanza teologica alle parole utilizzate: l’incontro non si situa nel quadro del dialogo teologico, che rientra nelle competenze della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Esso s’iscrive piuttosto nel dialogo della carità, e, più precisamente, nell’ecumenismo pastorale, conformemente a quanto espresso da Papa Francesco, che ha parlato di «due vescovi che si sono incontrati con preoccupazione pastorale». D’altronde, l’intro duzione della Dichiarazione fa emergere subito questa prospettiva: «La nostra coscienza cristiana e la nostra responsabilità pastorale non ci autorizzano a restare inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune» (n.7). L’ultima parte del documento, che verte sulla missione, pone nuovamente l’accento su questa collaborazione pastorale: «Nel mondo contemporaneo, multiforme eppure unito da un comune destino, cattolici e ortodossi sono chiamati a collaborare fraternamente nell’annuncio della Buona Novella della salvezza, a testimoniare insieme la dignità morale e la libertà autentica della persona, “perché il mondo creda” ( Giovanni , 17, 21)» (n.28). La dimensione pastorale è dunque la chiave di lettura della Dichiarazione comune. L’incontro dell’Avana è stato accolto nel mondo intero come un segno di speranza in un momento storico oscurato da numerosi conflitti. Ma non sono mancate le voci critiche. In Russia, il patriarca Cirillo è stato attaccato in alcuni ambienti ecclesiali per il passo compiuto nella direzione della Chiesa cattolica. Queste polemiche hanno permesso di comprendere meglio, in occidente, fino a che punto si sia trattato di un gesto coraggioso da parte del patriarca. In Ucraina, anche la Chiesa grecocattolica ha espresso forti riserve soprattutto in merito ad alcuni passaggi della Dichiarazione comune. Come nel caso di ogni evento storico, occorrerà sicuramente del tempo affinché l’incontro dell’Avana e la Dichiarazione comune possano dare i loro frutti. «Abbiamo prospettato una serie di iniziative, che credo siano valide e che si potranno realizzare», ha affermato il Santo Padre alla fine dell’i n c o n t ro con il patriarca Cirillo. Vorremmo menzionare qui tre possibili direzioni che possono essere ricollegate all’ecumenismo pastorale testimoniato dalla Dichiarazione comune: l’ecumenismo dei santi, l’ecumenismo dell’azione comune e l’ecumenismo culturale. Uno dei frutti dello storico incontro dell’Avana è stato un’intensificarsi delle relazioni tra la Santa Sede e il patriarcato di Mosca. Il 13 febbraio all’Avana e il 22 novembre a Mosca, in occasione del settantesimo genetliaco del primate della Chiesa russa, il cardinale Kurt Koch ha incontrato privatamente il patriarca Cirillo, mentre il metropolita Ilarione, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca, è stato ricevuto in udienza privata da Papa Francesco il 15 settembre e poi di nuovo il 10 dicembre. È interessante notare che questi diversi incontri hanno offerto un’occasione per praticare l’«ecumenismo dei santi». All’Avana, il Santo Padre ha offerto al patriarca alcune reliquie di san Cirillo, apostolo degli slavi e patrono del primate della Chiesa ortodossa russa. Come “scambio di doni”, il 15 settembre, il patriarca Cirillo ha offerto a Papa Francesco, per il tramite del metropolita Ilarione, alcune reliquie di san Serafino di Sarov, uno dei santi russi più conosciuti in occidente. A sua volta, il Santo Padre ha fatto dono al patriarca, il 22 novembre, con l’intermediazione del cardinale Koch, di reliquie di san Francesco, suo santo patrono e uno dei santi occidentali più vicini a san Serafino per l’esperienza della gioia pasquale e per il desiderio profondo di pace in tutto il creato. Negli auguri rivolti al patriarca, Papa Francesco ha scritto: «Possano questi due straordinari testimoni di Cristo, già uniti in cielo, intercedere per noi, affinché lavoriamo insieme in maniera sempre più stretta a favore della piena unità per la quale Gesù Cristo ha pregato». La Dichiarazione comune insiste anche su questo ecumenismo dei santi: «Condividiamo la comune tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I testimoni di questa tradizione sono la santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di cristiani”» (n.4). Uno stimolo da trarre dall’i n c o n t ro dell’Avana potrebbe essere l’approfondimento di questo ecumenismo dei santi, in particolare tramite lo scambio di reliquie o persino tramite un mutuo riconoscimento della santità vissuta nelle rispettive Chiese, come ha fatto la Chiesa cattolica nei confronti di Gregorio di Narek, che, pur appartenendo a un periodo successivo alla separazione con la Chiesa armena, è stato proclamato dottore della Chiesa da Papa Francesco nel 2015. I santi delle nostre Chiese, già uniti in cielo, sono i nostri migliori intercessori per realizzare l’unità. Parallelamente a questo ecumenismo dei santi, la D ichiarazione comune apre ampie prospettive all’«ecumenismo dell’azione comune» tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa. Per esprimere solidarietà alle popolazioni del Medio oriente, esposte alla violenza di continui conflitti, e vicinanza spirituale ai cristiani della regione, vittime di persecuzioni, una delegazione mista composta da rappresentanti della Chiesa cattolica (tra cui monsignor Paolo Pezzi, ordinario dell’arcidio cesi della Madre di Dio a Mosca) e della Chiesa ortodossa russa si è recata in Libano e in Siria il 6 e 7 aprile 2016. Altre iniziative potrebbero essere intraprese in questo contesto e in altri campi menzionati dalla Dichiarazione, come quello della libertà religiosa, dell’aiuto ai bisognosi, della famiglia, dei giovani. Si tratta, come ha ribadito il Papa alla fine dell’incontro, di un’unità che si realizza innanzitutto camminando insieme: «Abbiamo parlato delle nostre Chiese, e concordiamo sul fatto che l’unità si fa camminando». L’incontro dell’Avana ha già portato numerosi frutti in quello che può essere definito «ecumenismo culturale». Il 1° marzo 2016 si è riunito, presso il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il gruppo misto di lavoro per il coordinamento dei progetti culturali tra la Santa Sede e la Chiesa ortodossa russa. Tra le prime iniziative che sono state concretizzate, ricordiamo l’o rg a nizzazione di visite di studio, sia a Roma che a Mosca, di giovani sacerdoti ortodossi e cattolici. In questo quadro, dal 14 al 21 maggio, dietro invito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, una delegazione di dieci giovani preti ortodossi del patriarcato di Mosca, docenti di vari istituti di studi superiori della Chiesa ortodossa russa, è venuta a Roma per conoscere più da vicino la Curia romana, le università, i collegi pontifici e i luoghi santi dell’Urbe. Dal 26 agosto al 4 settembre, un gruppo di dieci giovani sacerdoti cattolici, studenti di diverse università pontificie romane, è stato invitato dal Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne della Chiesa ortodossa russa per una visita di studio a Mosca e a San Pietroburgo. Per i giovani sacerdoti di entrambe le Chiese, queste visite di studio sono occasioni uniche per superare ogni possibile pregiudizio e per avere un proficuo scambio sulle rispettive preoccupazioni pastorali, seguendo l’esempio dei loro primati incontratisi all’Avana. Altre iniziative culturali sono state organizzate con l’app oggio del gruppo misto di coordinamento. Un concerto congiunto della Cappella musicale pontificia Sistina e del Coro sinodale del patriarcato di Mosca ha avuto luogo l’11 dicembre nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri con il patrocinio del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca, alla presenza dei loro rispettivi presidenti, il cardinale Koch e il metropolita Ilarione. All’inizio di questo eccezionale concerto, il cardinale Koch ha spiegato il significato dell’«ecumenismo culturale»: «Questi progetti culturali sono motivati dalla convinzione che la cultura è un aspetto essenziale del cammino di avvicinamento delle nostre Chiese. È indispensabile conoscere la cultura degli altri per comprendere meglio il modo in cui essi percepiscono il vangelo. A maggior ragione quando si tratta dei cattolici e degli ortodossi, mi sembra che questa conoscenza reciproca permetta di capire che, al di là delle legittime differenze culturali, condividiamo la stessa fede espressa in modi diversi, a seconda del genio specifico di ogni popolo e di ogni tradizione. Nel caso dell’arte sacra, questo approccio ci permette addirittura di pregustare già una certa comunione, che accresce in noi il desiderio della piena unità». Sempre nel campo culturale, dal novembre 2016 al febbraio 2017, presso la Galleria Tretyakov di Mosca, la mostra «Roma Aeterna» presenta a un pubblico straniero, per la prima volta, quarantadue capolavori della pinacoteca dei Musei vaticani. Essa è stata inaugurata il 25 novembre dal cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che, in tale occasione, ha incontrato il patriarca Cirillo. La mostra, descritta dall’allora direttore dei Musei vaticani, Antonio Paolucci, come un «atto di gratitudine nei confronti dell’antico amore della Russia per Roma Aeterna», ha avuto un grande successo in Russia. Va altresì ricordata, nello stesso periodo, la visita effettuata in Russia dall’a rc i v e scovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, che ha incontrato i direttori delle biblioteche pubbliche di Mosca e di San Pietroburgo e il responsabile dell’Agenzia degli archivi federali di Russia, per cementare la collaborazione tra le varie istituzioni. A conclusione di questa breve panoramica sul 2016, menziono volentieri l’intensificarsi delle relazioni della Santa Sede con un’altra Chiesa slava: il patriarcato di Serbia. Dal 15 al 17 gennaio 2016, una delegazione sinodale della Chiesa ortodossa serba, comprendente il metropolita Amfilohije del Montenegro e del Litorale, il vescovo Irinej di Novi Sad e di Bačka e l’ambasciatore Darko Tanasković, è venuta in Vaticano per delineare più precisamente, dietro proposta di Papa Francesco, i compiti e la composizione della Commissione mista incaricata dello studio storico della vita del beato Cardinale Alojzije Stepinac prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. La Commissione si è riunita per la prima volta nei giorni 12 e 13 luglio 2016 in Vaticano e, per la seconda volta, il 17 e 18 ottobre, a Zagabria. L’istituzione stessa di tale Commissione è un segno di speranza. Dobbiamo pregare affinché il suo lavoro contribuisca alla «riconciliazione della memoria» tra ortodossi serbi e cattolici croati, una riconciliazione alla quale ci invita l’apostolo Paolo nella lettera proposta per questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: «Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» ( 2 Corinzi , 2, 20).

*Officiale per la sezione orientale del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

© Osservatore Romano - 20 gennaio 2017