Alle periferie dell’Europa cristiana

holy road Papadi KURT KOCH

Con il suo prossimo viaggio in Georgia e in Azerbaigian, Papa Francesco prosegue il suo avvicinamento “periferico” all’Europa che l’ha già portato a Lampedusa, Tirana, Sarajevo, Lesvos, Erevan, e che presto lo condurrà a Lund. È da queste regioni molto diverse tra loro, ma situate tutte ai confini dell’Europa, regioni in cui s’intrecciano le sfide della nostra epoca e in cui i cattolici sono spesso minoritari, che il Pontefice volge il suo sguardo sul continente.
Uno sguardo che è stato giustamente definito «sguardo di Magellano», in riferimento alla percezione diversa che ebbe del nostro continente il celebre esploratore al ritorno della sua circumnavigazione. Adottando un punto di vista esterno, Papa Francesco, venuto dalla «fine del mondo», come lui stesso ha detto, ci invita a rivolgere uno sguardo decentrato sull’E u ro p a , attraverso le sue periferie. La Georgia è una di queste regioni periferiche dell’Europa. È anche uno dei più antichi paesi cristiani, che fa risalire la sua evangelizzazione alla predicazione dell’apostolo Andrea e a quella di una donna straordinaria del IV secolo, santa Nino di Cappadocia. La Chiesa ortodossa appariva storicamente come il crogiolo della cultura georgiana e la custode dell’identità della nazione. L’alfabeto è stato creato per predicare nella lingua del popolo, una lingua utilizzata fin dal V secolo per la liturgia, che ha cristallizzato l’identità georgiana. Mentre le invasioni o le annessioni devastavano il paese, i monaci, dispersi in Medio oriente e nel Mediterraneo orientale, permisero, attraverso la scrittura, di salvarne la cultura. Questa forte identità cristiana si costruì nell’incontro, in un contesto multietnico, alla confluenza di due correnti del cristianesimo: quella dell’oriente siriano, Antiochia, dalla quale la Chiesa ortodossa georgiana ricevette l’autocefalia alla fine del V secolo, e quella del mondo bizantino, Costantinopoli, di cui adottò il rito. La Chiesa georgiana, contrariamente all’Armenia, accolse il concilio di Calcedonia e i concili ecumenici successivi, diventando l’unica Chiesa ortodossa bizantina caucasica, una delle quattordici Chiese ortodosse autocefale oggi esistenti. Collegando l’Europa all’Asia, luogo d’incontro tra la cultura occidentale e quella orientale, tra il nord e il sud, la cultura cristiana della Georgia è profondamente originale, atipica, e sotto certi aspetti “p eriferica”, in rapporto al resto del mondo ortodosso, dominato dal mondo greco e slavo. A un’Europa oggi combattuta tra identità e apertura, la Georgia potrebbe apportare questa duplice ricchezza che ha segnato profondamente la sua storia: da una parte una lunga tradizione cristiana che ha forgiato il paese, oggi sempre rivendicata, e dall’altra una tradizione di pluralismo e di tolleranza. La Chiesa ortodossa georgiana è stata fecondata dal sangue dei martiri, di cui uno dei più famosi fu la regina Ketevan del XVII secolo, e ha conosciuto spesso violente persecuzioni, l’ultima delle quali risale all’epoca sovietica. Mentre alla fine degli anni Ottanta c’erano solo un centinaio di chiese aperte, la Georgia ha potuto, con la fine del regime sovietico, rinascere dalle sue ceneri. Questo rinnovamento si è realizzato sotto il patriarca Ilia II, eletto catholicos quasi quarant’anni fa, nel 1977. Trentasette diocesi e cinquecento parrocchie accolgono i tre milioni di fedeli ortodossi, mentre sono stati aperti due accademie di teologia, tre seminari e un cinquantina di monasteri. Il simbolo di questo rinnovamento è stata la costruzione della cattedrale della Santissima Trinità a Tbilisi, consacrata nel 2004. Ho avuto la gioia di visitare questo affascinante paese nel dicembre del 2014 per conoscere meglio la sua situazione ecumenica. Sono stato calorosamente accolto dal patriarca Ilia e anche dalla Chiesa cattolica locale. I legami tra la Chiesa di Roma e il patriarcato di Georgia risalgono ai primi secoli del cristianesimo. Lo testimonia, nel VI secolo, una corrispondenza tra il Catholicos Kirion I e Papa Gregorio Magno. Anche dopo la separazione tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, i legami tra le nostre Chiese, certo segnati dalla sofferenza e dai fraintendimenti, restarono cordiali e rispettosi. Una pagina nuova nei nostri rapporti si aprì nel 1980, quando Ilia II realizzò la prima visita di un catholicos-patriarca di Georgia a Roma. Nel 1991, l’arcivescovo David di Sukhumi e Abkhazia partecipò, con altri delegati fraterni, alla prima assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei vescovi. Nel 1996 l’arcivescovo Abraham, allora presidente del dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato, visitò a sua volta il Vaticano. Un’altra svolta ci fu l’8 novembre 1999, con la storica visita di Giovanni Paolo II, primo viaggio in Georgia di un vescovo di Roma, che fu l’occasione per un nuovo incontro fraterno con il patriarca. Nel 2006 il cardinale Kasper, mio predecessore come presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, si è recato a sua volta in questo paese. I rapporti tra la Santa Sede e il patriarcato di Georgia sono particolarmente fecondi sul piano culturale. Giovani religiosi ortodossi georgiani vengono inviati dal patriarcato a Roma, dove usufruiscono di borse di studio del comitato cattolico per la collaborazione culturale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, al fine di studiare nelle università pontificie. Sempre con il sostegno del nostro Pontificio Consiglio, alcuni ricercatori sono regolarmente inviati dal patriarcato alla Biblioteca e all’Archivio segreto vaticano. Ricordiamo anche che il vicariato di Roma mette a disposizione della piccola ma fervente comunità ortodossa georgiana a Roma una chiesa che le permette di celebrare l’Eucaristia, San Salvatore ai Monti. Sono piccoli gesti di collaborazione, ma che permettono d’intraprendere un cammino comune di fraternità. Anche in Georgia si sono sviluppate, sul piano culturale e accademico, ma pure nell’ambito sociale e caritativo, esperienze positive di collaborazione tra la Chiesa ortodossa e la piccola minoranza cattolica, che è potuta rinascere dopo la fine del regime comunista. La Chiesa cattolica locale invita regolarmente gli ortodossi a partecipare a convegni su questioni di bioetica o di dottrina sociale, permettendo un fecondo dialogo sulle sfide contemporanee che sono comuni alle nostre Chiese. L’università Sulkhan Saba Orbeliani di Tbilisi appare a tale proposito come una piattaforma di dialogo particolarmente promettente. Senza alcun dubbio la visita di Papa Francesco in Georgia, la seconda di un Pontefice in questo paese delle periferie europee, segnerà una nuova tappa nel cammino del riavvicinamento tra la Chiesa di Roma e la Chiesa ortodossa di Georgia. Si rinnoveranno i gesti che Giovanni Paolo II e il patriarca Ilia hanno compiuto nel 1980: lo scambio del bacio della pace e la promessa di una mutua preghiera. Incontro e preghiera reciproca: due passi che, nonostante la dolorosa separazione delle nostre Chiese, è sempre possibile compiere nel cammino dell’unità.

© Osservatore Romano - 30 settembre 2016