Dedicato ai migranti l’incontro dei vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa

caldei in preghieraIl dialogo è «imprescindibile anche nel mondo delle migrazioni». Il suo scopo è «edificare e far crescere la Chiesa nei migranti e con i migranti». È quanto ha ribadito il cardinale Antonio Maria Vegliò in un messaggio inviato all’incontro dei vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa sul tema «La cura pastorale dei migranti cattolici orientali nei Paesi occidentali», che si svolge in Portogallo dal 20 al 23 ottob re . Il messaggio del presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti è stato letto dall’officiale del dicastero, padre Matteo Gardzinski, durante la seduta inaugurale dei lavori svoltasi nella chiesa del monastero dos Jeronimos di Lisbona.
In esso il porporato ha sottolineato come non si tratti di realizzare una pastorale solo a favore dei migranti, ma «in essi e con essi». La Chiesa, in quest’opera, ha «la straordinaria possibilità di dimostrare la sua universalità, sostenendo una rete unica di solidarietà e collaborazione pastorale tra paese di partenza e quello di arrivo». Le migrazioni rappresentano dunque «un’opportunità da valorizzare seriamente». Facendo poi riferimento all’istruzione del dicastero Erga migrantes caritas Christi, il cardinale ha evidenziato come esista «una distinzione fra migranti di rito latino e fedeli migranti delle Chiese cattoliche orientali». Questo perché, mentre l’obiettivo pastorale verso i migranti latini è quello di un «pieno e rapido inserimento nelle parrocchie territoriali locali », la cura pastorale per i fedeli dai diversi riti orientali «dovrebbe essere organizzata “in vista dell’erezione di parrocchie o gerarchia propria per i fedeli di determinate Chiese sui iuris”». I cattolici appartenenti alle diverse Chiese orientali, «pur essendo minoranza, rappresentano un segno importante, anzi imprescindibile, della cattolicità della Chiesa ». Infatti, accanto ai fedeli latini, essi sono «in nuce l’altro polmone della cristianità». D’altronde, la «diversità non è un pericolo », ma «un irrinunciabile tesoro per la Chiesa universale». Infatti, le Chiese cattoliche orientali, sebbene «siano in parte tra loro differenti per liturgia, per disciplina ecclesiastica e patrimonio spirituale », tuttavia sono allo stesso modo «affidate al governo pastorale » del Papa, che ha «il divino mandato di dirigere il coro perché non ci siano stonature e venga così garantita la sinfonia della verità e della carità». Anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese orientali, in apertura dei lavori dell’i n c o n t ro — promosso dal Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee) — ha messo in evidenza come i cristiani orientali cattolici in Europa «in parte sono di casa », perché in tutto l’est del continente «le Chiese di tradizione bizantina sono nate e si sono sviluppate ». Eppure dentro questi confini, negli anni del dominio del socialismo sovietico e «di sistemi affini nei Paesi satelliti, le sofferenze e le persecuzioni non sono mancate». Queste Chiese «del silenzio», sono rimaste fedeli per decenni «non solo a Cristo, ma anche alla comunione e al primato del vescovo di Roma». Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli «sono stati giustiziati, incarcerati o deportati» ma «da questa sofferenza si è potuti rinascere». Più di recente, ha fatto notare il porporato, «sia la crisi economica, come anche il conflitto in Ucraina, hanno portato molti fedeli della Chiesa greco-cattolica a trasferirsi in Europa». Gran parte di loro, specie le donne, «sono impegnate in lavori di assistenza» e costituiscono quindi una «risorsa preziosa anche per l’economia e la vita sociale e familiare». Altra causa di sofferenza è «quella legata al flusso massiccio di fedeli proveniente dal Medio oriente, in specie tra i figli della Chiesa melkita, siro-cattolica, caldea e, anche se in misura minore, armena». Buona parte di essi, ha rilevato il cardinale, pur «muovendosi in condizione di emergenza, si sposta ottenendo il ricongiungimento con qualche elemento della famiglia che era già presente». Per molti l’arrivo nel continente «costituisce non una tappa, ma un tentativo di trovare una nuova stabilità». Su questo fronte, ha sottolineato, «devo ammettere le difficoltà che incontriamo: a volte si è impreparati, non si conosce, e per questo si applicano forme di riduzionismo minimalista ». Il cardinale ha quindi ringraziato i confratelli latini per «l’ospitalità, l’accoglienza, l’amicizia sincera e i molteplici gesti di solidarietà concreta espressi nel corso degli anni». La seduta inaugurale si è aperta con il saluto del cardinale Manuel Clemente, patriarca di Lisbona, il quale ha voluto ricordare le Chiese perseguitate lanciando un appello alla comunità internazionale. Sono intervenuti, tra gli altri, anche il patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, Gregorio III Laham, che ha parlato della “via crucis” dei cristiani in Siria, e l’arcivescovo maggiore ucraino di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, che ha rilevato come i cattolici delle Chiese orientali da destinatari di cura pastorale possano diventare «agenti della nuova evangelizzazione.

© Osservatore Romano - 22 ottobre 2016