Il patriarca Bartolomeo per la festa di sant’Andrea 2016

bartolomeo 1 15Pubblichiamo quasi per intero, in una nostra traduzione, il saluto che il patriarca Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, ha rivolto ieri, 30 novembre, celebrazione di sant’Andrea, alla delegazione della Santa Sede — guidata dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani — giunta al Fanar in occasione della festa del trono ecumenico.

Crediamo nel potere della comunicazione personale, che instaura solidi vincoli spirituali. È per questo che anche noi continuiamo la benedetta tradizione del nostro venerabile predecessore Atenagora, il cui incontro con Papa Paolo VI a Gerusalemme nel gennaio 1964 è stato descritto come «l’evento più importante nella storia della Chiesa dopo la Riforma». Di fatto, quello storico incontro dei primati a Gerusalemme ha portato a un sostanziale cambiamento di atteggiamento nelle relazioni tra ortodossi e cattolici romani, accelerando l’inizio del loro dialogo teologico. Quest’anno la Commissione mista internazionale per tale dialogo teologico ha un nuovo co-presidente ortodosso, l’arcivescovo Job di Telmessos, che succede al metropolita Giovanni di Pergamo, uno tra i più importanti teologi del nostro tempo. Come sottolineato dal primo co-presidente ortodosso della Commissione mista per il dialogo teologico tra le nostre Chiese, l’arcivescovo Stylianios d’Australia, in quanto supremo impegno spirituale il dialogo teologico «non esige soltanto un accompagnamento costante nella preghiera sia prima sia dopo il dialogo stesso. Di fatto il dialogo è, in sé e di per sé, la forma più sacra di preghiera». La vostra presenza qui, carissimi fratelli da Roma, in questa gioiosa festa della Chiesa di Costantinopoli, in cui si commemora il primo chiamato tra gli apostoli e martire della verità sant’Andrea, è in sé e di per sé un contributo alla questione del dialogo tra le nostre Chiese, che era e continua a essere un dialogo di amore nella verità e di verità nell’amore. Siamo particolarmente lieti del fatto che, accanto al nostro dialogo teologico, ci siano iniziative comuni che realizzano e dimostrano la missione sociale della Chiesa di Cristo, le quali servono a loro volta a sostenere il dialogo e a promuovere tradizioni spirituali e caritative comuni. È convinzione di sua santità Papa Francesco e anche nostra che il problema della riconciliazione e della pace, della giustizia e della solidarietà, non può essere risolto — e le ricerche esistenziali più profonde dell’umanità non possono essere soddisfatte — senza il contributo della fede nel Dio vivente. L’attuale allontanamento dalla tradizione cristiana nelle società secolari non fa altro che accelerare la crescita della gratificazione e la diminuzione della compassione. Con Papa Francesco condividiamo le stesse preoccupazioni, gli stessi obiettivi e gli stessi atteggiamenti per quanto riguarda la risposta da dare alla crisi umanitaria e sociale del presente. Entrambi sottolineiamo il contenuto sociale della libertà, dell’amore e della solidarietà; entrambi poniamo l’enfasi sulle relazioni e non sull’isolamento, sull’essere e non sull’avere, sulla fratellanza e non sull’avidità. Resistiamo a qualsiasi idealizzazione dell’individualismo e del consumismo. Cerchiamo un mondo più giusto, il rispetto dei diritti umani e specialmente il diritto alla libertà di religione. I problemi dei rifugiati ci turbano. Lavoriamo per risolvere e guarire il dolore umano. Ricordiamo con affetto il nostro incontro a Lesbo lo scorso aprile, alla presenza dell’arcivescovo Ieronymos di Atene, per sostenere i rifugiati e gli immigranti, evidenziando così le dimensioni del problema e contribuendo a una più ampia mobilitazione per la sua soluzione. Il recente incontro con Papa Francesco ad Assisi e la nostra preghiera comune per la pace hanno ulteriormente consolidato la nostra comune convinzione che le nostre Chiese devono intensificare il proprio impegno contro il fanatismo, l’ingiustizia e la violenza, ma anche quello a favore dell’instaurazione di una cultura di solidarietà. Possiamo sopravvivere senza distruggere l’ambiente. Possiamo vivere senza odio. Possiamo coesistere nell’amore e nella concordia. Il servizio è l’essenza della vera libertà. Concordiamo sulla necessità di dedicare particolare attenzione ai nostri giovani. Purtroppo oggi moltissimi bambini e giovani adulti soffrono non soltanto per la mancanza di cibo, la sottoalimentazione e la fame, ma anche per la mancanza di un senso nella loro vita, poiché le società contemporanee sono orientate verso un senso dell’economia materialistico e pertanto non sono capaci di fornire nutrimento spirituale, che spegnerebbe la loro sete esistenziale. Rispondere a questa sfida dei nostri giovani è un dovere fondamentale. La nostra fede cristiana è una fonte di dinamismo e di amore, che esige da ogni credente azione personale e collaborazione, nella ferma convinzione che il Dio d’amore, «che provvede a ogni cosa in modo caritatevole», benedirà e farà crescere il seme che piantiamo. La caratteristica dell’ethos ecclesiastico è che è “nel mondo”, ma non “del mondo”. La vita e la testimonianza del credente cristiano sono alimentate quotidianamente dalla preghiera. Questo spirito di una testimonianza donata e sostenuta da Dio è stato espresso e sottolineato anche nelle decisioni del grande concilio della Chiesa ortodossa, che a giugno di quest’anno si è riunito nell’isola di Creta, e specialmente nella sua enciclica e nel suo messaggio al popolo di Dio e a tutte le persone di buona volontà. Esprimiamo la nostra gratitudine a lei, eminenza, per la sua presenza come osservatore a quel concilio, insieme a monsignor Brian Farrell. Carissimo cardinale Kurt Koch, le nostre Chiese sono state fondate da due fratelli carnali, discepoli e apostoli del nostro Salvatore, i santi Andrea e Pietro, che «hanno abbandonato le reti da pesca» e hanno seguito il loro Maestro con fede e amore sincero, «catturando invece nelle loro reti anime umane, attraverso la canna da pesca della predicazione». Imitando e partecipando alla passione di Cristo, hanno bevuto il calice del martirio sulla croce esattamente come lui. Il primo chiamato e il capo degli apostoli sono profondamente onorati a Roma e a Costantinopoli. L’amorevole comunione tra le nostre due Chiese insieme alla loro amorevole presenza nel mondo sono alimentate dalla testimonianza e dal martirio in Cristo dei loro santi fondatori. Come comunione salvifica tra Dio e il mondo, la Chiesa è chiamata a essere il «grazioso amore», per trasformare il tempo presente alla luce del regno escatologico. Con tali riflessioni e sentimenti, salutiamo la vostra presenza al Fanar in questa occasione di festa. Trasmettiamo i nostri cordiali auguri al nostro fratello e amico Papa Francesco per il suo prossimo ottantesimo genetliaco, ringraziandolo ancora una volta per avere inviato la delegazione della Chiesa di Roma nella città di Costantino, nonché per i suoi auguri fraterni per il venticinquesimo anniversario come patriarca sul venerabile trono di Andrea, il primo chiamato, che ha gridato a Pietro in modo commovente: «Pietro, mio fratello carnale, abbiamo trovato il Messia, colui che è stato proclamato dalla legge e dai profeti. Ecco, dunque, abbracciamo questa vita vera». Che le intercessioni e le suppliche di questi fratelli apostoli dinanzi al trono divino siano la nostra forza e il nostro sostegno nel cammino verso l’unità, come anche nell’instaurazione della pace nel mondo tormentato di oggi.

© Osservatore Romano - 2 dicembre 2016