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Il vero nemico del dialogo interreligioso

dialogo-1GIACARTA, 2. Il peggior nemico del dialogo interreligioso è la paura, che deriva «dalla scarsa conoscenza e comprensione reciproca» fra i vari gruppi religiosi. Per questo è giunta l’ora «di smetterla di usare termini come maggioranza e minoranza, come invita a fare Papa Francesco: in quanto esseri umani, siamo tutti fratelli». Parole di padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, impegnato dal 22 al 27 giugno in una visita in Indonesia, il più popoloso Paese a maggioranza musulmana del mondo. A Giacarta, padre Ayuso Guixot ha incontrato diverse personalità, cristiane e non, manifestando apprezzamento per un’esp erienza «dalla quale ho ricevuto più di quanto mi aspettassi».
Una visita — riferisce l’agenzia AsiaNews — caldeggiata dalla Conferenza episcopale locale, giunta a distanza d’anni dal viaggio ufficiale compiuto dal cardinale Jean-Louis Tauran, durante il quale il porporato sottolineò che il dialogo interreligioso «non è un’opzione, ma una necessità». Nel contesto di quella visita, il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha potuto sperimentare che la maggioranza dei cittadini ha una visione moderata” dell’islam; e che non mancano rapporti di amicizia profondi e frequenti fra leader cattolici e vertici delle due principali organizzazioni musulmane, il Nahdlatul Ulama e il Muhammadiyah. Ad accompagnare il segretario del dicastero vaticano vi era anche padre Markus Solo Kewuta, indonesiano nativo dell’isola di Flores, addetto per l’islam in Asia e nel Pacifico. Raggiunto da AsiaNews al termine dell’incontro all’università Atma Jaya, a Giacarta, il sacerdote ha sottolineato la grande ospitalità mostrata dagli abitanti. Un’i m p re s -sione confermata al termine dell’incontro con alti esponenti musulmani, fra i quali Syarif Hidayatullah, dell’Università islamica di Giacarta, e i membri del Consiglio degli ulama indonesiani. Commentando la visita dei rappresentanti del Pontificio consiglio, monsignor Johannes Maria Trilaksyanta Pujasumarta, arcivescovo di Semarang e segretario generale della Conferenza episcopale, ha detto che «la realtà sul campo in tema di dialogo è ben diversa da come appare nei media. Solo l’esperienza può essere utile per comprendere la situazione». Un parere condiviso da padre Solo Kewuta, secondo cui l’obiettivo è lo scambio di «visioni ed esperienze» in particolare nel campo del dialogo e della coesistenza pacifica nelle varie zone del mondo e soprattutto in Indonesia. Susy Sanie, insegnante musulmana, ha sottolineato, nella sua esperienza trentennale, di aver sempre potuto indossare l’hijab senza per questo essere vittima di emarginazione. E ha detto di sentirsi “a casa” quando si trova all’interno dell’ateneo cattolico. Anche Carya, monaco buddista, ha confermato il «caloroso benvenuto» ricevuto; così come Bahren Umar Siregar, altro docente musulmano, il quale ha affermato che «in quest’università frequentata in maggioranza da cattolici sono felice di essere presente come musulmano e grato per il rispetto che ricevo». In Indonesia, dove si professa musulmano l’87 per cento della popolazione, i cattolici rappresentano una minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3 per cento circa degli abitanti. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6 per cento della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, ma la comunità cristiana è a volte vittima di episodi di violenza e intimidazione, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell’islam, come ad Aceh. I cattolici sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione e all’opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto in occasione della devastante alluvione del gennaio 2013.

© Osservatore Romano - 3 luglio 2014