Aiuti insufficienti alla popolazione siriana

siria-aleppoKUWAIT CITY, 31. La terza conferenza dei Paesi donatori per la Siria, che si apre oggi in Kuwait presieduta dal segretario generale dell’O nu, Ban Ki-moon, e dall’emiro kuwaitiano, Sabah Al Ahmad Al Sabah, punta a raccogliere fondi per almeno 8,4 miliardi di dollari, necessari solo per quest’anno a contenere le conseguenze della catastrofe umanitaria che dilania il Paese entrato nel quinto anno di guerra civile. Alla conferenza partecipano i rappresentanti di una settantina di Paesi, per lo più occidentali e del Golfo persico, e una quarantina di organizzazioni non governative. L’appuntamento ha un rilievo mondiale assoluto.
Quella in Siria è la maggiore crisi dalla fine della seconda guerra mondiale e non si intravedono ancora soluzioni diplomatiche o negoziali. Secondo i dati dell’Onu, oltre dodici milioni di persone, più della metà della popolazione siriana, sono profughi, otto milioni sfollati all’interno del territorio e circa quattro rifugiati nei Paesi vicini. I morti in questi quattro anni di guerra civile sono stati 220.000, i feriti e i mutilati un numero incalcolabile. Quasi dieci milioni di persone non hanno cibo sufficiente; oltre undici milioni non dispongono di acqua potabile e strutture sanitarie; solo il 40 per cento degli ospedali sono rimasti ancora in piedi; due milioni e mezzo di bambini non frequentano più la scuola. Di «vergogna, ira profonda e frustrazione» per il fallimento della comunità internazionale nel trovare una soluzione a questa catastrofe ha parlato oggi Ban Ki-moon, aprendo la conferenza in Kuwait. Il segretario generale dell’Onu ha anche sottolineato la necessità di portare davanti alla giustizia i responsabili del bagno di sangue e dei crimini commessi contro il popolo siriano. Sulla necessità di intervenire in soccorso della sventurata popolazione siriana si susseguono le dichiarazioni. Il pericolo, però, è che ancora una volta, a queste non facciano seguito comportamenti concreti conseguenti. Nelle due precedenti conferenze, tenute sempre in Kuwait, erano stati presi impegni per donare rispettivamente 1,5 e 2,4 miliardi di dollari. Ma le Nazioni Unite hanno lamentato che gli impegni presi in quelle occasioni non sono stati risp ettati. Questa prospettiva sembra incombere ancora di più ora che la situazione è drammaticamente peggiorata, come ha denunciato Valérie Amos, responsabile dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli interventi umanitari, sottolineando il continuo aumento delle violenze, che vedono vittime in particolare i bambini. Molte agenzie dell’Onu hanno annunciato di essere rimaste senza fondi e di essere costrette a ridurre o interrompere le proprie attività. Il Programma alimentare mondiale ha bisogno di circa trenta milioni di dollari a settimana per sfamare sei milioni di persone dentro e fuori la Siria. All’Organizzazione mondiale della sanità serve oltre un miliardo di dollari per medicine e servizi sanitari. L’Unicef, l’agenzia dell’O nu per l’infanzia, ha bisogno di 903 milioni di dollari nel 2015 per far fronte all’emergenza di otto milioni e mezzo di bambini. Anche la Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, ha avvertito alla vigilia della conferenza che servono 121 milioni di dollari per l’assistenza alimentare ai cittadini in Siria e ai rifugiati siriani nei Paesi vicini, in particolare Giordania, Libano, Iraq e e Turchia. Nella generale crisi siriana si segnalano in particolare le conseguenze sulle minoranze etniche e religiose, acuite negli ultimi mesi dall’i r ru zione nel conflitto del cosiddetto Stato islamico (Is) e delle sue violenze. Nel presentare ieri i temi della conferenza, il ministro kuwaitiano dell’Informazione, Salman al Sabah, ha sottolineato che una soluzione politica in grado di risolvere la grave crisi umanitaria in Siria costituirebbe il primo passo per arginare nel mondo la minaccia dell’Is. «C’è in atto uno sforzo internazionale contro l’Is del quale ci aspettiamo il successo. Ma la minaccia non si combatte solo militarmente, e uno dei punti principali è quello di trovare una soluzione in Siria», ha detto.

© Osservatore Romano - 1 aprile 2015