Le palme del Medio oriente

gerusalemme via dolorosaGERUSALEMME, 30. La persecuzione dei cristiani nel mondo, le loro particolari sofferenze in Medio oriente, l’odio religioso che ha animato gli atti terroristici in Europa attribuiscono alla celebrazione della settimana che precede la Pasqua in Terra santa un significato ancora più profondo. L’invito alla pace, al dialogo e alla riconciliazione viene così lanciato da Gerusalemme a Beirut a ogni parte del pianeta dove si hanno a cuore quanti sono perseguitati per la loro fede. Sono state molte le persone che hanno partecipato al rito della domenica delle Palme a Gerusalemme. Il patriarca latino, monsignor Fouad Twal, ha preso parte alla processione che si è svolta dal villaggio di Betfage (Monte degli Ulivi) alla chiesa di Sant’Anna. Un rito che — come ricorda il sito del patriarcato — antichi manoscritti testimoniano avvenire nella città santa sin dal IV secolo dell’era cristiana.
Diciassette secoli dopo, la tradizione è più viva che mai e la comunità cristiana — soprattutto quella cattolica di rito latino — ne ha fatto un appuntamento irrinunciabile per entrare nella settimana che prelude alla Pasqua di risurrezione. Accanto a Twal c’era il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, e numerose personalità politiche. La memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme è particolarmente sentita dalle comunità cristiane palestinesi e da quelle in Israele. Secondo alcune stime sono state circa cinquemila le persone, di diversa nazionalità, che hanno partecipato alla processione. Le autorità israeliane hanno concesso il permesso a circa il 70 per cento dei richiedenti nei territori palestinesi. Molti, secondo quanto riferito da padre Mario Cornioli, del patriarcato latino di Gerusalemme, anche i cristiani palestinesi provenienti da Nazareth e i cristiani di lingua ebraica israeliani. «Questa processione — ha detto padre Cornioli — è un messaggio di speranza e di convivenza soprattutto per i cristiani palestinesi che ripercorrono i passi di nostro Signore ed entrano senza limitazioni nella città santa». Per molti fedeli, il clima della processione è stato “i m p re s s i o n a n t e ” per la gioia dei partecipanti e per l’intensità spirituale che l’ha circondata. La chiesa di Sant’Anna — nel quartiere musulmano di Gerusalemme, dove secondo il Vangelo Gesù compì il suo primo miracolo — è stata raggiunta attraverso la porta dei leoni, uno dei principali ingressi alla città vecchia di Gerusalemme. Anche a Beirut, così come in altre città libanesi, la comunità cristiana ha preso parte numerosa alla tradizionale processione e alle celebrazioni della domenica delle palme. L’arcivescovo di Beirut dei Maroniti, monsignor Paul Youssef Matar, ha invitato i leader religiosi e i fedeli di tutte le comunità ecclesiali a riconciliarsi l’uno con l’altro nel rispetto della loro dignità e dei loro diritti, al fine di vivere in un mondo armonioso, in un clima di pace, e lontano da guerre e conflitti. In particolare, ha espresso l’auspicio che il Medio oriente possa al più presto vivere riconciliato. Anche il vescovo di Sidone dei Maroniti, monsignor Elias Nassar, durante l’omelia che ha preceduto la processione, ha sottolineato «l’importanza dell’amore e dell’umiltà per accedere al regno di Dio». Secondo il presule, riuscire a stare insieme in queste occasioni è molto importante perché è come se si costruisse uno schermo a protezione di tutti i libanesi. La necessità di preservare l’unità dei libanesi e di un dialogo sincero tra tutte le parti in campo per uscire dalla crisi politica e poter eleggere il capo di Stato in Libano, è stata sottolineata dai presuli durante le celebrazioni eucaristiche nelle chiese di San Giovanni e di Mar Saba. Inoltre, il vescovo ausiliare di Joubbé, Sarba e Jounieh dei Maroniti, monsignor Maroun Ammar, ha evidenziato i valori veicolati dal rito delle palme, fra i quali la semplicità e l’accettazione degli altri: le due condizioni per rafforzare, secondo il presule, l’unità sociale e nazionale. Tutta la Chiesa si stringe attorno ai fedeli del Medio oriente: un appello affinché «i cristiani non siano costretti a lasciare quella che da sempre è la loro patria» è stato rivolto dai vescovi e dagli abati territoriali della Chiesa in Svizzera a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. «È con il cuore gonfio di tristezza — si legge nel documento diffuso dai presuli — che guardiamo al Medio oriente. Non possiamo non vedere l’emergenza degli sfollati, le violenze e le sofferenze di un numero troppo grande di persone. Ed è con grande preoccupazione che assistiamo al protrarsi dei conflitti; siamo profondamente delusi dal fatto che la disponibilità a trovare una soluzione dipenda fortemente dagli interessi di parte e da fattori politico economici. Il senso di umanità, di responsabilità per la collettività, l’amore del prossimo, la libertà e la giustizia — si legge ancora nel testo dei presuli elvetici — sono valori da rispettare anche e soprattutto in Medio oriente, culla della nostra fede». In particolare, i vescovi richiamano l’importanza di sostenere le istituzioni ecclesiali che spesso rappresentano «un barlume di speranza anche nei momenti bui». Infine, l'invito ai fedeli a essere «solidali e uniti ai fratelli e alle sorelle dei Paesi in cui è nato il cristianesimo» e a mostrarsi generosi con loro attraverso offerte e preghiere.

© Osservatore Romano - 30-31 marzo 2015