Nella carne dei cristiani d’Iraq

cristiana iraqenadi ALBERTO TREVISIOL
Nelle duecentocinquanta pagine di questo testo, il lettore è condotto a scorrere le vicende storiche senza mai perdere di vista il vero protagonista del libro: il popolo cristiano. Lo sottolinea bene l’autore fin dall’introduzione: «Conoscere la storia delle cristianità del Vicino oriente e in particolare della Mesopotamia non è un’oziosa stravaganza culturale, ma un approccio che fa comprendere le ragioni e le vicende drammatiche di quella regione e apprezzare la vita, la cultura, la testimonianza di fede e i motivi di attaccamento dei cristiani alla propria terra, ma anche l’odio dei loro nemici». È questo il filo conduttore della narrazione che fa emergere con vivida evidenza il carattere del cristianesimo mediorientale e iracheno in particol a re . Esso è caratterizzato da alcune peculiarità che risaltano chiaramente dalla lettura del libro.
Innanzitutto la sua complessità. L’autore segue le linee complicate, a volte tortuose come un ricamo, che hanno disegnato le vicende delle diverse comunità cristiane sulle terre orientali. Storia dolorosa di divisioni, controversie dottrinarie, scismi, conflitti, favoriti dall’asprezza del territorio e dal carattere di terra di confine, ma anche di ricchezza di tradizioni diverse, fuse con il sentire dei popoli a cui appartengono. La seconda caratteristica che emerge chiara è come la Mesopotamia sia certamente Oriente, ma anche un ponte con l’Occidente e crocevia di incontro e scambio fra civilizzazioni: quella cristiana, gelosamente custodita, quella araba, quella persiana e, in epoca più recente, quella moderna europea. Questo ruolo è svolto da quelle comunità cristiane in modo esemplare, trovando le vie della convivenza e dell’elaborazione di una cifra caratteristica del proprio sentire e credere. Una Chiesa nata e sviluppatasi su un vasto territorio attraversato da trafficate vie di comunicazione fra Occidente ed Estremo oriente coglie così la provocazione a pensarsi in grande. A questo proposito, l’autore mette bene in luce il processo che porta la Chiesa a trovare nel monachesimo una via di elaborazione spirituale ma anche di missionarietà che allarga a dismisura i propri confini fino all’India e alla Cina. Ma forse la parte più interessante, e sicuramente quella più minuziosamente documentata con un accurato vaglio delle fonti d’archivio, è quella nella quale emerge la passione del diplomatico di livello nel descrivere e ricostruire il ruolo della Santa Sede nell’orizzonte mesopotamico. Un ruolo che possiamo definire a “doppio senso”. Se da un lato le comunità cristiane orientali, avendo sofferto per secoli dell’isolamento geografico e culturale, dovevano fare faticosamente i conti con la dimensione cattolica e rinunciare a una prospettiva troppo localista e provinciale per assumerne una di costruttivo dialogo con l’istanza superiore in grado di garantire un’organizzazione e un’apertura culturale necessaria alle sfide dei tempi, dall’altra anche Roma dovette imparare dall’Oriente la complessità, a volte frammentaria e conflittuale, di tradizioni, prospettive, patrimoni culturali e spirituali gelosamente custoditi come identità irrinunciabili. Il cardinale Filoni percorre dettagliatamente i primi tentativi di unione di rappresentanti autorevoli della Chiesa orientale con Roma, e i successivi insuccessi, dovuti anche all’estraneità culturale che separava i due mondi, prime problematiche occasioni di incontro-scontro fra sensibilità così diverse. Emerge chiaramente dalla descrizione di queste vicende la capacità espressa da figure notevoli di uomini che hanno dedicato tutta la loro vita a ricucire strappi e gettare ponti fra due mondi così lontani fra loro. Altrettanto appare in tutta la sua grandiosità lo sforzo della Chiesa cattolica di costruire, anche a livello istituzionale, strutture in grado di sostenere questo impegno enorme con competenza e dedizione. Lo si riscontra chiaramente nelle pagine dedicate al dopo- concilio di Trento che vede, nel giro di pochi anni, la nascita di nuovi organi dedicati a dare impulso alle attese conciliari: nel 1573 la Congregatio de rebus Graecorum, mutata da Clemente VIII in Congregatio super negotiis fidei et religionis catholicae, nel 1622 la Sacra Congregatio de Propaganda Fide, nel 1627 il Collegio di Propaganda Fide. Dal XVIII secolo sempre più l’orizzonte orientale entra nelle mire delle potenze occidentali, ma allo stesso tempo esso fa ormai parte integrante delle preoccupazioni dei Papi che entrano con decisione e intraprendenza nelle vicende politiche turbolente, a protezione delle comunità cristiane e a sostegno del cattolicesimo orientale che va consolidandosi in strutture sempre più stabili. Si pensi, a esempio, al decisivo ruolo svolto dalle delegazioni apostoliche attraverso le quali il Papa e i suoi collaboratori entravano in modo discreto ma energico nella vita dei cristiani orientali, garantendone l’unione con Roma, portando consiglio e sostegno all’episcopato locale, mantenendo i rapporti con le entità statali, riportando a Roma notizie dettagliate. Un’altra caratteristica del cristianesimo orientale, incisa profondamente nella carne stessa dei cristiani iracheni, e che il libro segue fedelmente come un filo rosso costante, è il martirio. Fin dai primi passi i cristiani della Mesopotamia hanno incontrato opposizioni dure e dagli esiti sanguinosi: l’ostilità dei bizantini, la persecuzione dei persiani, l’invasione islamica e le conseguenti limitazioni, la grande crisi della convivenza etnico-religiosa che ha accompagnato il disfacimento dell’impero ottomano agli inizi del XX secolo. Storia di dolore e di sangue versato che non ha intaccato la fedeltà del popolo cristiano iracheno al Vangelo e alla Chiesa. Una testimonianza che emerge chiara e forte dalle pagine appassionate scritte da chi ha sperimentato in prima persona le ultime turbolente vicende di guerra e persecuzione che hanno continuato a segnare il cristianesimo iracheno, fino ai giorni nostri. L’ultimo capitolo delinea il rapporto tra Santa Sede e Iraq nel dopo- concilio Vaticano II. È un esempio chiaro di come una Chiesa rinnovata dallo Spirito, e coraggiosamente messasi a confronto con una realtà storica profondamente mutata, abbia saputo trovare nuove linee di intervento e nuovi approcci a una realtà complessa e problematica come quella mediorientale. Le lineeguida, dettate dai documenti conciliari e dai grandi Papi degli ultimi cinquant’anni, sono chiare: ricerca della pace; costruzione di relazioni rispettose e proficue con le diverse comunità religiose e con le altre Chiese; sviluppo delle Chiese locali, del loro clero autoctono, della spiritualità autentica dei fedeli, libere da influenze culturali e politiche occidentali; collaborazione e reciproco sostegno fra i diversi riti cattolici. In sintesi il libro offre un vastissimo affresco di un mondo difficile e affascinante. La ricchezza di documentazione e il rigore storico ne fanno una fonte preziosa per gli studiosi del cristianesimo orientale. Ma soprattutto questo testo ha il valore di una testimonianza duplice. Da un lato di come il messaggio evangelico abbia dato a un popolo la forza necessaria per passare indenne fra prove indicibili e mantenere vittoriosa la propria fede sui rovesci della storia. D all’altro come si possa coniugare la competenza dello storico, la finezza culturale e politica del diplomatico con la passione di un pastore che ha soprattutto a cuore la vita e il bene del suo popolo. È questa infatti la domanda, un po’ angosciata, ma piena di speranza che l’autore si pone in conclusione: «Ci sarà ancora un futuro di bene per questo Paese e per i suoi abitanti?».

© Osservatore Romano - 1 agosto 2015