Samir ai sacerdoti: «Osare di più nel dialogo con i musulmani»

vallini samirL’incontro diocesano con l’esperto gesuita. Sull’Isis: «Se vogliamo la pace, ci vuole una forza militare». L’invito a «ripensare il Corano». Un pensiero per padre Dall’Oglio.

Offrire amicizia, visitare le famiglie, coinvolgere i ragazzi nell’oratorio, creare un legame con i genitori nelle scuole: impegni come questi, da parte delle parrocchie, verso i musulmani possono essere un fattore positivo di accoglienza e integrazione. Ma serve «osare di più nel dialogo», una «pastorale coraggiosa», fatta ad esempio anche di corsi di lingua italiana o di teatro. Nella consapevolezza che l’Islam è una realtà complessa, con un «progetto globale», dove «tutto nella vita delle persone è religione», e che «occorre aiutare i musulmani a reinterpretare il Corano».

A indicare questa strada ai sacerdoti del clero di Roma è uno dei massimi esperti cattolici di Islam, il gesuita padre Samir Khalil Samir, 77 anni, egiziano, filosofo, teologo, islamista, docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma e al Centre Sèvres di Parigi, e autore di decine di libri. Protagonista, giovedì 19 novembre, del secondo incontro di speciale per la formazione permanente

del clero alla Pontificia Università Lateranense, è stato definito dal cardinale vicario Vallini, che ha introdotto l’incontro, «un pozzo di scienza e d’esperienza».

Definizione confermata, da un lato, dalla “lezione” iniziale sui cinque grandi precetti della fede islamica (la professione di fede, la preghiera, il digiuno, l’elemosina e il pellegrinaggio alla Mecca), dall’altro dai numerosi episodi raccontati dal gesuita sulle sue esperienze in vari Paesi del mondo, dalla Francia al Libano alla tormentata Siria e dalla concretezza della sua testimonianza. Fino alla più dura attualità, quella degli attentati di Parigi. «Anche quello è Islam – ha chiarito Samir -, è un aspetto dell’Islam. L’Occidente è visto come miscredente. Ci vedono nuovi pagani da convertire con tutti i mezzi, e questo dà la spinta a farsi uccidere, a diventare martiri per andare in paradiso. Più barbari sono, così pensano, più efficaci diventano». E la jihad» è considerata «il sesto precetto della fede islamica».

Dietro c’è un lavoro accurato di indottrinamento per la diffusione di un pensiero radicale negli ultimi decenni. «Ci sono migliaia di occidentali jihadisti pronti a combattere, decine a Molenbeek, in Belgio, frutto di un lavaggio del cervello», sottolinea Samir. «L’Arabia Saudita – unico Paese al mondo che non ha una Costituzione – ha finanziato scuole islamiche ovunque. E ciò che dice l’imam è legge, valuta lui se un atto è lecito o illecito. Loro sanno come prendere i ragazzi». Da qui l’importanza di integrarli. «Finché sono isolati, sono potenziali terroristi».

Sull’atteggiamento da tenere verso il Daesh, padre Samir non usa mezzi termini: «Se vogliamo la pace, ci vuole una forza militare. Gli altri Paesi islamici hanno paura, non hanno un esercito capace, tranne i curdi. Le armi all’Isis arrivano dall’Occidente, finanziate dall’Arabia Saudita e dagli altri Paesi della penisola arabica. La situazione non è disperata ma è difficile».

Sul futuro nessun ottimismo di facciata. «L’unica soluzione – afferma padre Samir – è ripensare il Corano. Serviranno alcuni decenni di cammino. L’ha detto anche il presidente egiziano al-Sisi, serve una “rivoluzione” dentro l’Islam. Occorre aiutare i musulmani a trovare la vera etica, che è quella dell’amore».

Nell’incontro della Lateranense non manca un pensiero per padre Paolo dall’Oglio, anch’egli gesuita, scomparso in Siria dal luglio 2013. Samir, suo amico, confessa quanto il confratello fosse convinto della sua «vocazione profetica» da vivere in Siria, nonostante tutte le difficoltà. Nessuno ormai ha notizie di lui, e quelle ricevute finora sono contraddittorie, prevale tuttavia il pessimismo sulla sua sorte. «Spero di vederlo – confida – ma forse sarà in un altro mondo».

©  romasette.it - 19.11.2015