In attesa di un comune concilio ecumenico

papa-turchia-bartolomeoPubblichiamo la traduzione italiana del discorso pronunciato in greco dal patriarca Bartolomeo al termine della divina liturgia. Santissimo e amatissimo fratello in Cristo, vescovo della antica Roma, signor Francesco.

Rendiamo gloria e lode al nostro Dio trino, che ci ha resi degni della ineffabile gioia dell’appropriato onore della presenza di persona di vostra santità quest’anno per la festività della santa memoria del fondatore della nostra Chiesa, grazie alla sua predicazione, sant’Andrea apostolo, il primo chiamato.
Ringraziamo dal cuore vostra santità per l’onoratissimo dono della vostra benedetta presenza in mezzo a noi, con il vostro venerabile seguito. Con profondo amore e grande onore vi abbracciamo, rivolgendo a voi il bacio di pace e di amore: «Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo» ( Romani , 1, 7). «Infatti l’amore di Cristo ci spinge» ( 2 Corinzi , 14-15). Conserviamo ancora fresco nel nostro cuore il ricordo del nostro incontro con vostra santità in Terra santa, in devota comune adorazione del luogo ove è nato, ha vissuto, ha insegnato, ha patito, è risorto ed è asceso dove era in precedenza, il maestro della nostra fede, ma anche in memoria riconoscente dello storico evento, che lì si sono incontrati i nostri predecessori di beata memoria Papa Paolo VI e il patriarca ecumenico Atenagora. Grazie al loro incontro in Terra santa, cinquanta anni orsono, il corso della storia ha cambiato direzione, i cammini paralleli e talvolta contrastanti delle nostre Chiese si sono incontrati nel comune sogno del ritrovamento della loro unità perduta, l’amore raffreddato si è riacceso e si è ritemprata la nostra volontà di fare tutto ciò che possiamo, affinché spunti di nuovo la nostra comunione, nella stessa fede e nel calice comune. Da allora si è aperta la via verso Emmaus, una via magari lunga e talvolta ardua, senza ritorno, mentre il Signore ci accompagna in modo invisibile fino a che Egli si riveli a noi: «nello spezzare del pane» ( Luca , 24, 35). Tutti i successori di quelle guide ispirate hanno percorso da allora e percorrono tale via, istituendo, benedicendo e sostenendo il dialogo di amore e di verità tra le nostre Chiese per la rimozione degli ostacoli che per un intero millennio si sono accumulati nelle relazioni tra di esse, dialogo tra fratelli e non come un tempo tra rivali, con sincerità, dispensando rettamente la parola di verità, ma anche rispettandosi a vicenda come fratelli. In questo clima caratterizzato da un comune cammino, nel ricordo dei nostri predecessori, accogliamo oggi anche voi, santissimo fratello, quale latore dell’amore dell’ap ostolo Pietro verso il suo proprio fratello, l’apostolo Andrea, il primo chiamato, del quale oggi celebriamo festosamente la sacra memoria. Secondo una sacra consuetudine, stabilitasi e osservatasi già da decenni dalle Chiese della antica e della nuova Roma, le loro rappresentanze ufficiali si scambiamo visite l’un l’altra durante le feste patronali, affinché anche in questo modo sia manifesta la fraternità dei due apostoli corifei, i quali assieme hanno conosciuto Gesù e hanno creduto in lui come Dio e Salvatore. Gli stessi hanno trasmesso tale fede comune alle Chiese, che hanno fondato grazie alla loro predicazione e che hanno santificato con il loro martirio. Tale fede comune è stata vissuta e dogmatizzata dai comuni padri delle nostre Chiese, riunitisi da oriente e occidente nei concili ecumenici, dandola in eredità alle nostre Chiese, come incrollabile fondamenta della nostra unità. Questa fede, che abbiamo conservato in comune in oriente e in occidente per un millennio, siamo chiamati di nuovo a porre come base della nostra unità, cosicché «rimanendo unanimi e concordi» ( Filippesi , 2, 2-3) passiamo più oltre con Paolo “dimenticando ciò che sta alle spalle e protesi verso ciò che sta di fronte” ( Filippesi , 3, 13). Perché, veramente, santissimo fratello, il nostro dovere non si esaurisce nel passato, ma principalmente si estende, soprattutto ai nostri giorni, al futuro. Perché, a cosa serve la nostra fedeltà al passato, se questo non significa nulla per il futuro? A cosa giova il nostro vanto per quanto abbiamo ricevuto, se tutto ciò non si traduce nella vita per l’uomo e per il mondo di oggi e di domani? «Gesù Cristo è sempre lo stesso, ieri e oggi e nei secoli» ( E b re i , 13, 8-9). E la sua Chiesa è chiamata ad avere il suo sguardo volto non tanto all’ieri, quanto all’oggi e al domani. La Chiesa esiste per il mondo e per l’uomo e non per se stessa. Volgendo il nostro sguardo all’oggi, non possiamo sfuggire l’ansia per il domani. «Battaglie all’esterno, timori all’interno» ( 2 Corinzi , 7, 6): questa constatazione dell’Ap ostolo per la sua epoca, vale nella sua interezza per l’oggi e per noi. Perché, per tutto il tempo che noi siamo impegnati nelle nostre dispute, il mondo vive la paura della sopravvivenza e l’ansia del domani. Come sopravvivrà l’umanità dilaniata oggi da svariate divisioni, scontri ed inimicizie, molte volte addirittura nel nome di Dio? Come sarà distribuita la ricchezza della terra in modo più equo, cosicché domani l’umanità non viva la schiavitù più esecrabile che abbia mai conosciuto? Quale pianeta troveranno le prossime generazioni per abitarvi, quando l’uomo contemporaneo nella sua cupidigia lo distrugge senza pietà e in modo irrimediabile? Molti pongono oggi le loro speranze nella scienza. Altri nella politica, altri ancora nella tecnologia. Ma nessuno di loro è in grado di garantire il futuro, se l’uomo non accoglie il messaggio della riconciliazione, dell’amore e della giustizia, il messaggio dell’accettazione dell’altro, del diverso, persino anche del nemico. La Chiesa di Cristo, che per primo ha insegnato e vissuto questo messaggio, ha il dovere per prima cosa di applicarlo a se stessa, «affinché il mondo creda» ( Giovanni , 17, 21). Ecco perché urge più che mai il cammino verso l’unità di quanti invocano il nome del grande operatore di pace. Ecco perché la responsabilità di noi cristiani è maggiore davanti a Dio, all’uomo e alla storia. Santità, Il vostro ancora breve cammino alla guida della vostra Chiesa, vi ha consacrato nella coscienza dei nostri contemporanei, araldo dell’a m o re , della pace e della riconciliazione. Insegnate con i vostri discorsi, ma soprattutto e principalmente con la semplicità, la umiltà e l’amore verso tutti, per i quali esercitate il vostro alto ufficio. Ispirate fiducia agli increduli, speranza ai disperati, attesa a quanti attendono una Chiesa amorevole verso tutti. Tra le altre cose, offrite ai vostri fratelli ortodossi la speranza che durante il vostro tempo l’avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuerà a edificarsi sulle solide fondamenta della nostra comune tradizione, la quale da sempre rispettava e riconosceva nel corpo della Chiesa un primato di amore, di onore e di servizio, nel quadro della sinodalità, affinché «con una sola bocca e un sol cuore» si confessi il Dio trino e si effonda il suo amore nel mondo. Santità, La Chiesa di Costantinopoli, che accoglie voi oggi innanzitutto con amore e grande onore, ma anche con profonda riconoscenza, porta sulle proprie spalle una pesante eredità, ma anche una responsabilità sia per il presente che per il futuro. In questa Chiesa, la divina Provvidenza attraverso l’ordine costituito dai santi concili ecumenici, ha assegnato la responsabilità del coordinamento e della espressione della omofonia delle santissime Chiese ortodosse locali. Con questa responsabilità lavoriamo già accuratamente per la preparazione del santo e grande sinodo della Chiesa ortodossa, che si è deciso di convocare qui, a Dio piacendo, entro l’anno 2016. Già le commissioni competenti lavorano alacremente alla preparazione di questo grande evento nella storia della Chiesa ortodossa, per il cui successo chiediamo anche le vostre preghiere. Purtroppo, la rottura millenaria della comunione eucaristica tra le nostre Chiese non permette ancora la convocazione di un grande comune concilio ecumenico. Preghiamo dunque che, ristabilita la piena comunione tra di esse, non tardi a sorgere anche questo grande e importante giorno. Fino a quel benedetto giorno, la partecipazione di entrambe le nostre Chiese alla vita sinodale dell’altra, si esprimerà attraverso l’invio di osservatori, come già succede, su vostro cortese invito, durante i sinodi della vostra Chiesa e come — speriamo —, vogliamo succeda, con l’aiuto di Dio, anche durante la realizzazione del nostro santo e grande sinodo. Santità, I problemi, che la congiuntura storica innalza davanti alle Chiese, impongono a noi il superamento della introversione e il fatto di affrontarli per quanto possibile con più strette collaborazioni. Non abbiamo più il lusso per agire da soli. Gli odierni persecutori dei cristiani non chiedono a quale Chiesa appartengono le loro vittime. L’unità, per la quale ci diamo molto da fare, si attua già in alcune regioni, purtroppo, attraverso il martirio. Tendiamo dunque insieme la mano all’uomo contemporaneo, la mano del solo che è in grado di salvarlo per mezzo della croce e della sua resurrezione. Con questi pensieri e sentimenti, esprimiamo di nuovo la gioia della presenza di vostra santità in mezzo a noi, ringraziando voi e pregando il Signore che, per intercessione dell’apostolo primo chiamato che oggi festeggiamo, e del suo fratello Pietro il protocorifeo, protegga la sua Chiesa e la guidi al compimento della sua volontà. Dunque, buona permanenza in mezzo a noi, fratello prediletto!

© Osservatore Romano - 1-2 dicembre 2014