IL PAPA AD ANKARA La pace pretende medesimi diritti e medesimi doveri

ankara-papa-presidente-turchiaFrancesco li chiede per tutti i cittadini musulmani, ebrei e cristiani. Il silenzio del presidente Erdogan sul tema della libertà religiosa. L’invito del Pontefice a non rassegnarsi alla continuazione dei conflitti e l’invocazione al dialogo interreligioso e interculturale. Ai capi religiosi: "Abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani"


dall’inviata Sir a Istanbul, Maria Chiara Biagioni

Il dramma di un Medio Oriente che da troppi anni conosce una guerra che sta distruggendo tutto e la tragedia dei due milioni di profughi in fuga verso la Turchia. Ma anche la libertà religiosa e di culto in un Paese chiamato ad essere luogo di incontro e di dialogo tra le culture e il ruolo dei leader religiosi che hanno l’obbligo morale di dire no alla violenza compiuta in nome di Dio. Sono stati toccati temi cruciali oggi nella lunga e complessa giornata di Papa Francesco ad Ankara. E non poteva essere altrimenti in un Paese che si trova a fronteggiare un’emergenza profughi senza precedenti, a causa della crisi scoppiata in Medio Oriente e dell’avanzata del Califfato che spinge ai suoi confini meridionali.

 No fondamentalismo e terrorismo. Giunto in questa terra di confine, a pochi chilometri dalla martoriata Siria, il Papa ha subito dato voce alle ferite della guerra. Dopo aver reso omaggio al mausoleo di Atatürk, fondatore e primo presidente della Turchia moderna, il tema del terrorismo è stato al centro del lungo incontro privato con il presidente Recep Tayyip Erdogan. Nel suo discorso alle autorità politiche del Paese, il Papa ha usato immagini e parole forti. Ha parlato di una “violenza terroristica che non accenna a placarsi” e delle tragedie vissute dalle minoranze, soprattutto cristiane e yazidi, che sono “costrette ad abbandonare le loro case e la loro patria per poter salvare la propria vita e rimanere fedeli al proprio credo”. Dal palco del palazzo presidenziale di Ankara, il Papa ha lanciato un interrogativo: “Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente a causa della mancanza di pace? Non possiamo rassegnarci alla continuazione dei conflitti”. “Possiamo e dobbiamo sempre rinnovare il coraggio della pace!”. La chiave di volta che Francesco presenta al mondo turco è il dialogo interreligioso e interculturale. Un dialogo sincero, capace di “bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo”. Perché se “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”, non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare. È necessario, dice il Papa, “un forte impegno comune, basato sulla fiducia reciproca”.

 Minoranze religiose. Un passaggio particolarmente forte del suo messaggio alle autorità politiche il Papa lo ha riservato alla libertà religiosa e di culto. Non poteva scegliere palcoscenico più appropriato parlando al cuore di un Paese che su questo fronte è chiamato a dare prova di maturità e dove le minoranze religiose portano il segno di una marginalizzazione dalla vita della società turca. Ma perché la pace abbia basi solide, ha detto il Papa, “è fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani - tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione -, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri”. Al suo fianco il presidente Recep Tayyip Erdogan ascolta. Il problema della libertà religiosa viene glissato nel suo discorso preferendo richiamare l’attenzione alle crisi politiche e umanitarie in Medio Oriente.

 Una terra tra due Continenti. Lasciato il palazzo presidenziale, il Papa si è recato alla Diyanet, Dipartimento per gli Affari Religiosi. È la più alta Autorità religiosa islamica sunnita in Turchia. E qui si è rivolto direttamente ai capi religiosi: “Abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani”. Ai capi religiosi il compito di essere per primi “uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche”. Il mondo ha bisogno di uscire dalle denunce e di trovare soluzioni e vie di uscite ma “ciò richiede la collaborazione di tutte le parti” e i leader religiosi “possono offrire il prezioso contributo dei valori presenti nelle loro rispettive tradizioni”. La giornata di Ankara è stata intensa e complessa. Il cerimoniale ha seguito alla perfezione il suo protocollo predefinito. Picchetti di onore, inni, cortei e strette di mano. Il Papa non ha mai lasciato il testo ufficiale dei suoi discorsi, come invece è solito fare. Parla in una terra che è ponte tra due Continenti e come tutte le aree di confine e di passaggio, ricca di contraddizioni. L’augurio lasciato sul libro d’oro del mausoleo di Atatürk è che la Turchia diventi qualcosa di più di “un crocevia di cammini” per essere un “luogo di incontro, di dialogo e di convivenza serena”. E un esempio luminoso per un Medio Oriente che ha un estremo bisogno di uscire dalla morsa del terrorismo e dell’odio.

©  SIR  -  28.11.2014