Perché la fede abbia il suo giusto ruolo

sacerdote ortodossoA Beirut un incontro promosso da Wcc e Middle East Council of Churches

Come i cristiani possono contribuire a costruire e vivere la pace in Medio oriente testimoniando la forza del dialogo? Questa la domanda che è stata al centro dell’incontro ecumenico «Advocacy for peace» tenutosi a Beirut dal 29 al 31 marzo. L’evento, promosso dal World Council of Churches (Wcc) e dal Middle East Council of Churches (Mecc), ha rappresentato la tappa di un più ampio progetto, pensato dal Consiglio ecumenico delle Chiese a livello globale, per favorire non solo la formazione alla cultura della pace e la condanna della violenza, ma una sempre più attiva partecipazione ecumenica alla costruzione della pace nella dimensione quotidiana della vita delle comunità locali.
Proprio in tale direzione si colloca l’incontro di Beirut, che ha visto la partecipazione di rappresentanti di comunità cristiane di diversa confessione provenienti, oltre che dal Libano, da Palestina, Siria, Iraq, Egitto, Israele e Giordania. Si sono confrontati anche con esperienze ecumeniche di altre parti del mondo nella prospettiva di rilanciare, e in alcuni casi rafforzare, il cammino per la pace in Medio oriente. In questo percorso il Mecc sente di dover giocare un ruolo sempre più attivo, in linea con quella che è stata una delle ragioni della sua istituzione nel 1974, soprattutto dopo che nel 1990 le Chiese cattoliche della regione hanno deciso di entrarvi a far parte sviluppando ulteriormente l’imp egno per la pace, come scelta fondamentale nella costruzione della comunione tra cristiani. A Beirut si è parlato di come costruire la pace partendo dalla condivisione delle iniziative che sono state attivate in questi ultimi anni, pur tra difficoltà crescenti, in particolare per la precaria situazione di tanti cristiani, molti dei quali sono stati costretti a lasciare le loro case per cercare altrove un futuro di speranza. A partire da queste iniziative si è discusso su come sviluppare un’azione sempre più condivisa a livello regionale, attraverso cui coinvolgere altre comunità religiose, così da dare, là dove è possibile, una dimensione interreligiosa alla costruzione della pace, che deve essere la priorità delle priorità per i cristiani del Medio oriente. Di fronte a ripetuti atti di violenza, a vario livello, dei quali spesso non si viene a conoscenza, i cristiani devono rilanciare un’azione comune con la quale condannare crimini e atrocità, denunciando ogni tentativo di attribuirli a una matrice religiosa. Come detto, nel corso dei lavori si sono cercate strade concrete per giungere alla nascita di iniziative in grado di coinvolgere le comunità locali, senza perdere di vista il quadro complessivo della situazione mediorientale. Sono stati individuati alcuni campi da privilegiare per la testimonianza ecumenica in favore della pace: l’accoglienza dei rifugiati, la condanna dell’o ccupazione militare di territori, la denuncia della pericolosità del binomio estremismo-radicalismo, la promozione di una cooperazione interreligiosa nei fatti concreti, un maggior coinvolgimento delle donne nelle iniziative ecumeniche e interreligiose e la definizione di percorsi di formazione al dialogo e alla riconciliazione, con una particolare attenzione ai giovani. Al termine dell’incontro di Beirut, soprattutto dagli interventi dei relatori (tra essi il padre maronita Michel Jalakh, dal 2013 segretario generale del Middle East Council of Churches), è apparsa centrale l’idea che solo con il dialogo si può superare questa stagione nella quale la violenza sembra voler distruggere quei ponti che i cristiani, insieme agli uomini e alle donne di buona volontà, sono chiamati a costruire per dare un futuro di pace al Medio oriente. (riccardo burigana)

© Osservatore Romano - 2 aprile 2016