La luce di Dio e le strade per la salvezza

arcobalenodi FERNANDO SEBASTIÁN AGUILAR

La dottrina conciliare sulle religioni non cristiane ha rivivificato il dibattito sulle altre questioni in stretta relazione con essa. La valorizzazione positiva delle religioni non cristiane come possibili sentieri convergenti verso la salvezza, metteva in discussione alcune interpretazioni del principio tradizionale secondo il quale “fuori della Chiesa non c’è salvezza”.
Nello stesso tempo alcuni teologi, sensibilizzati in special modo su questi temi per proprie circostanze di vita, si chiedevano fin dove potevano arrivare gli elementi soprannaturali e la virtù salvifica delle religioni non cristiane. Furono specialmente i teologi indiani a chiedersi se nelle religioni non cristiane poteva esserci una vera rivelazione e un’azione salvifica di Dio che non fosse incentrata su Gesù Cristo. Affiora quindi una mentalità che valorizza le religioni non cristiane come incarnazioni veritiere del Verbo di Dio, parallele e complementari all’incarnazione del Verbo in Gesù, mantenendo l’esistenza di un ordine di salvezza teocentrico ma non cristocentrico. Secondo questa mentalità le diverse tradizioni religiose, cristiane e non cristiane, sarebbero tutte parziali e complementari, all’interno di un ordine di salvezza universale promosso dall’unico vero Dio. Questa stessa posizione è stata espressa da alcuni autori come Hick, Race, Knitter. Tali teorie sono state respinte ripetutamente dalla Chiesa cattolica. Papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Redemptoris Missio (7 dicembre 1990) riprende la dottrina conciliare sul valore delle religioni non cristiane come preparazione per l’accettazione di Gesù Cristo come salvatore universale, riconosce la convenienza e la necessità del dialogo interreligioso, ma mette anche in guardia dai possibili eccessi incompatibili con il primato e l’universalità di Cristo come salvatore universale (nn. 6.55 ss). Quasi contemporaneo dell’enciclica è il documento «Dialogo e Annuncio: riflessioni e orientamenti concernenti il dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo», del 19 maggio 1991, pubblicato congiuntamente dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. La Commissione teologica internazionale ha pubblicato nel 1997 un documento dal titolo «Il Cristianesimo e le religioni », nel quale riafferma la dottrina del Concilio e rifiuta questa modalità di pensiero come contraria al primato e alla sovranità di Cristo come salvatore universale. Tutti i documenti della Chiesa coincidono nel rifiutare una dottrina che nega di fatto la centralità e l’universalità di Gesù Cristo, mette in dubbio pertanto la verità dell’incarnazione del Figlio di Dio in Gesù Cristo e indebolisce decisamente le ragioni della missione. Così si esprimeva Papa Giovanni Paolo II in una lettera indirizzata ai vescovi dell’Asia il 23 giugno 1990: «Questo non limita il suo compito di proclamare incessantemente Gesù Cristo che è “la via, la verità e la vita” (cfr. Giovanni 14, 6). Il fatto che seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio e possano essere salvati da Cristo al di là dei mezzi che esso ha stabilito, non annulla la chiamata alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutte le persone». Successivamente, il 6 agosto dell’anno 2000, la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Dominus Iesus tornò a esporre estesamente la dottrina conciliare escludendo gli atteggiamenti di alcuni autori che compromettevano la verità dell’incarnazione del Verbo in Gesù Cristo, la sua unicità e universalità come salvatore dell’umanità e le ragioni della missione universale della Chiesa. Riguardo all’attualità della prospettiva inclusiva, è curioso notare come questo atteggiamento ricompare quando la Chiesa intraprende seriamente un’azione evangelizzatrice. Questo si è verificato in vari momenti della storia della Chiesa. Nella passata assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, i padri sinodali hanno chiesto anche un atteggiamento inclusivo di fronte alle forme imperfette di relazione tra uomo e donna, che non sono equiparabili al matrimonio sacramentale ma che possono comunque avere elementi positivi disposti da Dio per la salvezza, in modo che queste relazioni imperfette possano essere valorizzate come una vera preparazione per il matrimonio cristiano e sacramentale (Relazione finale n. 24.25). Questo atteggiamento inclusivo non è ancora sufficientemente accettato nella Chiesa, come si è visto in questa stessa assemblea sinodale, e si manifesta in alcuni scritti contrari alla posizione pastorale del sinodo. È tuttavia indispensabile per potere svolgere con successo un’opera missionaria ed evangelizzatrice in questo tempo e in questi luoghi. L’uomo contemporaneo è molto geloso della propria libertà e non accetta la pressione della paura come strumento di conversione. Non è facile accettare una proposta che comincia con lo screditare ciò che stiamo facendo. I nostri interlocutori hanno bisogno di scoprire il vangelo della salvezza come vero cammino di realizzazione e pienezza, con un atteggiamento che accolga e potenzi tutto ciò che di positivo può esserci nella loro esistenza personale e comunitaria. È certo che questo atteggiamento può anche risultare eccessivamente soggettivo e antropocentrico, ma questi pericoli si possono evitare grazie a una visione prioritaria e veramente globale della grazia di Dio e del primato salvifico di Gesù Cristo. In questo momento presente è urgente che i cristiani imparino a convivere in modo positivo con i fedeli di altre religioni, ebrei, musulmani o di qualsiasi altra religione. La convivenza è un dato di fatto nelle nostre città e nei nostri villaggi, nel lavoro, nelle scuole e università, e nel commercio. Lungi dal sentirsi insicuri nella propria fede o tentati dall’indifferenza, i cristiani devono essere per tutti loro esempio di convivenza e di accoglienza, fermento di pace e collaborazione. Dobbiamo essere capaci di fare sì che con l’aiuto di Dio questa convivenza, superando ogni timore, dia adito a un dialogo illuminante ed evangelizzatore, che faciliti ai nostri fratelli il passaggio di conversione a Gesù Cristo come un vero progresso nella loro religiosità, nel loro avvicinamento a Dio e nell’a c c re s c i m e n t o della propria umanità. Corriamo il pericolo di abituarci a una convivenza meramente funzionale senza dialogo religioso né una preoccupazione missionaria. Lo sviluppo della mentalità inclusiva tra i cristiani e lo sviluppo di un’adeguata azione missionaria nei nostri Paesi saranno fermento di rinnovamento spirituale delle comunità cristiane. Questo dialogo è chiamato a essere un importante contributo per la pace e la stabilità del mondo, un passo importante nel cammino verso l’unità reale di tutta l’umanità. La dottrina e le raccomandazioni della Nostra aetate occupano un posto centrale negli insegnamenti del Concilio e nella sua intenzione pastorale e missionaria. Cinquant’anni dopo, esse dovrebbero essere più diffuse e vissute nella Chiesa. Se c’è un unico Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini e se tutte le manifestazioni religiose dell’umanità, in ciò che esse hanno di vero, sono dirette al medesimo fine, perché non possiamo invocarle tutte insieme, dare grazie per i benefici ricevuti e chiedere la benedizione per tutti con formule che siano accettabili per tutti? Noi conosciamo poco, parliamo poco con gli uomini di altre religioni, con gli atei che vivono tra di noi. Dominano ancora atteggiamenti di rifiuto o di timore, di sfiducia, che bloccano il dialogo e chiudono alle possibilità di collaborazione. Perché non abbiamo ancora promosso organizzazioni miste di aiuto ai rifugiati, agli emigranti? Perché non esistono ancora iniziative a favore della pace tra cristiani e musulmani, tra cristiani, musulmani ed ebrei? Perché non studiamo nei seminari la lingua e i costumi dei musulmani che vivono tra di noi? Perché non esistono accademie e associazioni dove cristiani e musulmani possano conoscersi meglio, si possano discutere temi di interesse comune e lavorare insieme per la pace e la concordia? Dio voglia che il nostro congresso e la nostra accademia possano contribuire a facilitare e accelerare questi nuovi passi della Chiesa sul sentiero dell’evangelizzazione e del servizio all’umanità.

© Osservatore Romano - 7 agosto 2016