Le celebrazioni spirituali in ebraismo, cristianesimo, islam

nativitas chagallL'Osservatore Romano (Abraham Skorka)
Le celebrazioni spirituali nell’ebraismo e nel cristianesimo, come pure nell’islam, sono momenti di quiete, di ricerca della pace, di riconciliazione e di affetto. Oltre ai convivi classici e ai brindisi, è l’introspezione ad accompagnarli, a dare sostanza e senso alla circostanza. È il momento di osservare da una posizione diversa ciò che accade nella vita quotidiana. È scalare la collina per contemplare dalla sua vetta la valle della quotidianità.  In occasione della Natività e dell’inizio di un nuovo anno, vorrei accompagnare i miei fratelli cristiani nell’osservazione critica della realtà di cui facciamo parte. A caratterizzare il presente, in molti luoghi, è la violenza. Attentati, aggressioni di ogni sorta, minacce, menzogne ripetute fino alla nausea con la pretesa di trasformarle in verità, zizzania che si semina costantemente affinché germini in odio, configurano gran parte dell’immagine dell’umano in questi ultimi giorni del 2017.  Popoli sofferenti, regimi dittatoriali e ingiustizie sociali spiccano in seno a un’umanità che d’altronde, paradossalmente, ha saputo sviluppare tecnologie capaci di mitigare la fame e altre piaghe che l’affliggono. C’è una componente di arroganza e di distruttività nell’umano che prevale sulle molte virtù che comunque possiede. La brama di potere, di acquisire incommensurabili ricchezze, di sentirsi il centro e il fine ultimo dell’universo, continuano a essere i fattori che orientano il divenire umano in gran parte del mondo. Negli ultimi decenni sono emersi movimenti di ogni sorta che pretendono di essere gli autentici interpreti delle loro religioni, predicano l’intolleranza e, nelle loro espressioni più radicali, addirittura uccidono in nome di Dio. Lo sviluppo della capacità di dialogare continua a essere un tema in sospeso in seno all’umanità. La parola sensata è la miglior barriera contro la violenza, quando chi si ha di fronte è disposto ad ascoltare. Ma messaggi vacui e spesso pieni di violenza stordiscono quanti si sforzano di ascoltare la voce che proviene dalla loro coscienza.  Di fronte a questa realtà, che cosa resta alla persona comune? Aggrapparsi con affetto e responsabilità a quanti l’accompagnano nel cammino della vita. Impegnarsi con i valori che sanno di giustizia, equità, misericordia e pietà e, per quanto possibile, diffonderli. È il minimo che si possa fare per non perdere la ragione, nel vortice demenziale che dà impulso alla vita postmoderna. Come in tutti i tempi, in quelli che furono e in quelli che saranno, possa la sensibilità umana percepire la tenue voce di Dio, perché questa è la caratteristica della sua voce, secondo il racconto scritto nel primo libro dei Re (19, 12), quando il Signore si è rivelato al profeta Elia. Possa, in mezzo alla cacofonia che stordisce l’udito e le menti, distinguersi questa tenue e silenziosa voce che rivela all’uomo la sua condizione di grandezza.

©  L'Osservatore Romano, 28-29 dicembre 2017.