Bartolomeo per i settant’anni del Wcc. Indispensabile proseguire

ecumene 4«Dialogare non significa rinnegare la propria tradizione ecclesiale» ma «un cambiamento del nostro stato d’animo, di atteggiamento, quello che chiamiamo nel linguaggio spirituale “pentimento”, in greco metanoia, che significa vedere le cose da un’altra prospettiva. In tal senso, il dialogo è l’inizio di un lungo processo di comprensione reciproca che esige molta pazienza e apertura».
Nella cattedrale protestante di San Pietro, a Ginevra, il patriarca ecumenico Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, parla della consapevolezza che deve accompagnare oggi il movimento volto a ristabilire l’unità dei cristiani: esso «assume nuove forme per rispondere a nuove situazioni e affrontare le sfide nel mondo»; per esso «ci attendono compiti particolarmente importanti e delicati» da «realizzare insieme». Nell’omelia pronunciata ieri in occasione del settantesimo anniversario di fondazione del World Council of Churches (Wcc), Bartolomeo ha ricordato che, dal 1948 in poi, «ci sono state molte scissioni e difficoltà impreviste». Nonostante ciò, «proseguiamo il nostro dialogo per superare queste difficoltà, andare oltre le nostre incomprensioni, cancellare i nostri pregiudizi e dare una testimonianza più autentica al messaggio evangelico. La difficoltà fondamentale delle principali tradizioni presenti nel Consiglio ecumenico delle Chiese, cioè l’Oriente cristiano e le Chiese della Riforma, è quella di ridefinire la natura di questa istituzione e di tracciare i limiti dell’oikoumene, entro i quali il Consiglio sarà chiamato a testimoniare e a servire». L’oikoumene, ha osservato citando il metropolita di Pergamo, Giovanni (Zizioulas), «è una visione diversa del futuro, anche un modo per unire identità e tradizioni storiche affinché esse vengano trascese nell’unità del corpo di Cristo». In tale prospettiva, il contributo dei partner e dei collaboratori ecumenici sarà sempre il benvenuto: «Accogliamo con favore — ha detto ancora — la cooperazione costruttiva tra il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica romana e gli sforzi congiunti per rispondere insieme alle grandi questioni e alle sfide del nostro tempo». Il patriarca ecumenico non nasconde le difficoltà: «Non facciamoci illusioni. Le Chiese finora non sono state in grado di superare la loro divisione per raggiungere l’unità tanto ricercata. Esse non possono, quindi, pretendere di riunire facilmente l’intera umanità, composta da culture e credenze diverse. Tuttavia, la nostra collaborazione costruttiva e fraterna all’interno del Consiglio ecumenico delle Chiese ci rafforza nella nostra ricerca dell’unità e nella nostra testimonianza dell’universalità del Vangelo, che finora ci ha permesso di contribuire a vari livelli per promuovere la pace nel mondo e una cultura di solidarietà nell’umanità. Non dimentichiamo mai, però, che il frutto dell’unità non può maturare senza la grazia divina». La Chiesa ortodossa, con la fiducia nello Spirito santo, «continua a testimoniare il mondo cristiano ancora diviso e il mondo contemporaneo, segnato da varie crisi e divisioni, dando la sua testimonianza nel mondo, nutrendo il suo impegno con il suo carattere teandrico di non essere di questo mondo». L’arcivescovo di Costantinopoli, partendo dalla lettera enciclica che il patriarcato ecumenico inviò nel gennaio 1920 «a tutte le Chiese di Cristo nel mondo», proponendo la creazione di una «Società di Chiese», ha ripercorso un secolo di storia, fatto di incomprensioni ma anche di significativi passi avanti, fino ai festeggiamenti per questo «lungo pellegrinaggio comune sulla via dell’unità, della testimonianza cristiana, dell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia della creazione». Oggi — ha concluso Bartolomeo — «siamo obbligati a guardare al futuro, a proseguire il nostro pellegrinaggio».

© Osservatore Romano - 18-19 giugno 2018