L’eredità di Maimonide · In mostra a Gerusalemme ·

C’è anche un prezioso manoscritto della Biblioteca apostolica vaticana alla mostra su Maimonide inaugurata la sera del 10 dicembre a Gerusalemme presso il Museo di Israele. Alla cerimonia ha partecipato l’arcivescovo

José Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, che ha offerto in prestito il codice che vi resterà esposto fino ad aprile. Il libro contiene l’inizio del Mishneh Torah — opera fondamentale di Maimonide, compilata mentre l’autore viveva in Egitto — in un manoscritto su pergamena del XV secolo, decorato con oro e foglia d’argento e trascritto nell’Italia settentrionale.

La mostra dal titolo «Maimonide, una eredità negli scritti» riunisce per la prima volta molti testimoni delle opere del pensatore ebraico, per offrirne una presentazione complessiva: accanto ai manoscritti delle collezioni del Museo di Israele vi sono infatti quelli prestati dalla Biblioteca vaticana, dalla British Library di Londra, dal Metropolitan Museum di New York, dalla Bibliothèque nationale de France di Parigi, dall’università di Oxford e da altre istituzioni minore.

Un vero intellettuale, Maimonide (1135-1204), il cui pensiero è una miniera di conoscenza e di riflessioni dalle risonanze attuali: non solo esegeta e autore halakhico, filosofo, teologo, ma anche medico e scienziato. Conosciuto come Rambam (acronimo di Rabbī Mōsheh ben Maymōn) e vissuto nella Spagna musulmana e nell’Africa settentrionale, può essere ancora un riferimento per il dialogo tra ebrei e musulmani.

Nato a Cordova, fu dapprima in Marocco, a Fez, e poi in Egitto, al Cairo, dove divenne medico ufficiale di Saladino. Ottenne il titolo di Naghid, cioè “capo degli ebrei” d’Egitto. Fu sepolto a Tiberiade, oggi in Israele, e il suo prestigio raggiunse presto gli angoli più remoti dell’ebraismo in età medievale. La particolarità di questo autore non consiste solo nella ricchezza e complessità dell’indagine, ma nella sua sintesi tra il pensiero sefardita, quello cioè dell’ebraismo di Spagna (Sefarad) e Africa settentrionale e il mondo islamico.

Da un punto di vista cristiano Maimonide riveste interesse sotto alcuni aspetti per la sua interpretazione della Scrittura. Eccetto la breve permanenza nella Palestina crociata non ebbe mai esperienza di incontro diretto con i cristiani, ma ne ebbe conoscenza solo dai libri. Per questo forse prese una posizione molto dura nei loro confronti, definendoli pagani, idolatri (colpevoli di avoda zarah, cioè di “culto straniero”, idolatria). D’altro lato, la sua importanza è non solo nel fatto che raccoglie e sviluppa il patrimonio rabbinico precedente, ma nel fatto che arricchisce questa tradizione con interpretazioni nuove. Rilevante è per esempio la sua interpretazione del capitolo 53 di Isaia dov’è descritto il “servo del Signore” come messia, una esegesi che si distacca dalle interpretazioni precedenti.

Una personalità dalle molte sfaccettature, dunque, in uno degli autori ebraici più prolifici, della cui influenza nei secoli la mostra vuole offrire uno spaccato dettagliato. Basterebbe forse un episodio per mostrare il contesto in cui visse: la comunità ebraica del Marocco si era rivolta a lui in un momento di crisi per chiedergli come si poteva restare ebrei quando gli almohadi li costringevano ad abbracciare la religione islamica, e Rambam confortò gli anussim, cioè gli ebrei convertiti a forza, sotto le persecuzioni che impedivano loro di praticare la loro religione.

L’impostazione di Maimonide è stato caratterizzato dalla volontà di armonizzare gli studi generali con gli studi sulla Torah, dall’intento di rendere la legge giudaica accessibile a tutti, dall’incoraggiamento alla moderazione in tutti gli aspetti della vita, offrendo linee guida sulla nutrizione e la medicina preventiva. Questi aspetti del suo pensiero sono tuttora studiati e interpretati all’interno di diverse accademie e circoli popolari e i suoi scritti sono apprezzati nelle più diverse istituzioni del mondo. La mostra getta luce sul genio peculiare di una personalità dalle molte sfumature, offrendo una comprensione più profonda della sua eredità attraverso i suoi scritti originali.

Tra i codici esposti, in gran parte trascritti in arabo con caratteri ebraici, di rilievo è appunto la copia della Mishneh Torah — l’opera in cui ha codificato la legge giudaica rendendola accessibile a tutti i livelli di comprensione — che reca la firma di Maimonide. Questa certifica che il libro è stato riletto usando il manoscritto originale, ed è dunque uguale (secondo la precisione richiesta dalla legge halakhica) e può quindi servire come copia per le generazioni future ai fini dello studio e della distribuzione. Solo quattro sezioni del manoscritto originale del primo capolavoro halakhico di Maimonide (i suoi commenti ai sei trattati della Mishnah) sono sopravvissuti, e due di queste sono esposte al Museo di Israele.

di Sara Fornari

© Osservatore Romano    11.12.2018