Quei cristiani nella terra di mezzo tra Turchia e Siria
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- Creato: 10 Agosto 2017
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Mardin, tra rifugiati in fuga e jihadisti di passaggio, i siriaci attendono che Ankara restituisca loro le proprietà confiscate Davide Lerner | giovedì 27 luglio 2017
Mardin (Turchia) - “Quasi mi viene da dire che stavamo meglio sotto l’Impero Ottomano, quando
il sistema dei millet ci garantiva più autonomia”, dice padre Gabriele, prete siro-ortodosso la cui barba bianca si frappone fra il nero della tunica e del copricapo. Indica i terreni di competenza del monastero dello Zafferano, meraviglioso complesso di pietra nella provincia Sud-orientale turca di Mardin che, fondato oltre un millennio e mezzo fa, è stato a lungo la sede del Patriarcato dei siri-ortodossi, che ora ha sede a Damasco. Quella siriaca è una delle comunità cristiane più antiche del mondo, e padre Gabriele spiega come ancora una volta stia attraversando un periodo difficile. Le autorità turche sono da poco tornate sui propri passi dopo aver confiscato le proprietà siriache, fra cui monasteri, chiese, terreni e cimiteri. Non si sono però ancora decise a restituirle. “Abbiamo fatto ricorso, e inizialmente sembrava le cose andassero bene. Il Diyanet, il ministero per gli affari religiosi turco, ha dovuto restituire le proprietà al ministero del Tesoro. Adesso sono bloccate lì, come in un limbo. Se non dovessero tornare in nostro possesso, sarebbe un duro colpo per la comunità”. Padre Gabriele scruta il paesaggio dalla sommità delle mura del monastero, lo sguardo preoccupato si posa sull’orizzonte siriano. In un’ora di macchina si potrebbe varcare il confine e arrivare dall’altra parte, dove infuria la guerra.
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