Un futuro di concordia · Il messaggio al popolo iracheno ·

parolin natale a71858604ae9516aa4bffd9e632c576cVi saluto tutti con grande affetto, anche a nome del Santo Padre Francesco che mi ha chiesto di portare i suoi saluti all’amato popolo iracheno, e ringrazio Dio che mi dà la gioia di visitare il vostro Paese, culla della civiltà, così ricco di

richiami biblici e di storia, terra del patriarca Abramo, dove è iniziata la storia della Salvezza. In questi giorni celebrerò con i cristiani le festività della nascita del Signore Gesù. A Natale «si sono manifestate la bontà e l’umanità di Dio Salvatore nostro» (cfr. Tt 2, 11). L’annuncio diventa realtà, le promesse si compiono: «Io, infatti conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo — dice il Signore — progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29, 11).

Il Figlio di Dio incarnato ci dona gioia e pace, rispondendo alle più intime e profonde attese di ogni cuore umano. È solo Dio che può donare pace e gioia non effimere, rafforzandole e consolidandole con il diritto e la giustizia!

Papa Francesco ci ricorda che: «Il potere di questo Bambino, Figlio di Dio e di Maria, non è il potere di questo mondo, basato sulla forza e sulla ricchezza. È il potere dell’amore. È il potere che rigenera la vita, che perdona le colpe, riconcilia i nemici, trasforma il male in bene. È il potere di Dio (...). È il potere del servizio, che instaura nel mondo il regno di Dio, regno di giustizia e di pace» (Messaggio Urbi et Orbi del Natale 2016).

Il Natale è una festa per tutti e il suo messaggio è indirizzato a ogni uomo di buona volontà. Come individui e come comunità, cristiani e musulmani siamo chiamati a illuminare le oscurità della paura e del non-senso, dell’irresponsabilità e dell’odio con parole e atti di luce, gettando a piene mani semi di pace, di verità, di giustizia, di libertà e di amore. Viviamo in spirito di umiltà e di rispetto dell’altro, accettando le persone con le loro diversità, non utilizzando tali differenze per metterci gli uni contro gli altri, ma scoprendo in esse una possibilità di arricchimento vicendevole, cercando sempre il bene comune. Quanto ci accomuna e ci lega l’uno all’altro è più grande di quanto ci separa. La gioia e la pace del Natale non sono un privilegio da tenere strettamente per ognuno di noi, ma sono un dono da condividere con gli altri e da vivere come responsabilità nella costruzione di un futuro di fraternità e di concordia. Il Dio della pace, che si è fatto nostro fratello, nostro compagno di strada, doni gioia e speranza per un futuro migliore a tutti gli abitanti dell’amato Iraq!

di Pietro Parolin

 

Il cardinale segretario di Stato con le comunità di rito caldeo, siro e latino

No all'odio e alla violenza

È iniziato nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad il pellegrinaggio del cardinale Parolin nei luoghi della fede delle principali componenti della comunità cristiana in Iraq. Il motivo lo ha spiegato lui stesso: tra le sue mura, infatti, «rimane indelebile il ricordo della testimonianza dei nostri fratelli e sorelle, vostri amati familiari e amici, che, assieme ai due sacerdoti Thāir e Wasīm, hanno perso la vita nell’attentato terroristico del 2010, segno dell’odio e della violenza che continuano ad affliggere i nostri tempi».

Nel tempio il porporato ha assistito alla «bella e significativa celebrazione del fuoco», che simboleggia «la presenza di Dio» e al contempo «ci illumina e ci rafforza nel nostro cammino». Del resto, ha fatto notare, la «vostra comunità ha radici profonde in questa terra», vantando «una lunga storia con momenti di gloria e santità e con periodi di patimento e di buio. Ma quando tutto sembra perduto, la mano potente di Dio dà vita a ciò che agli occhi degli uomini appare sterile e senza frutto». Nasce da questa consapevolezza l’esortazione conclusiva ai cristiani iracheni a «percorrere il cammino del perdono, della guarigione, della riconciliazione, della fraternità. Ce lo ricorda l’icona di Maria della liberazione (Sayyidat al-Nağāt), alla quale è dedicata questa cattedrale».

Successivamente con la comunità caldea il cardinale Parolin ha parlato della notte di Natale come «una notte simile a tante notti insonni del popolo dell’alleanza, a tante notti insonni delle vostre famiglie, che in questi anni hanno attraversato la dura prova della sofferenza; ma, nello stesso tempo, una notte diversa perché l’annuncio diventa realtà, le promesse si compiono». E in proposito ha tracciato un parallelo tra i contenuti delle letture bibliche e il vissuto quotidiano degli iracheni. Infatti «il profeta Isaia presenta un popolo che sperimenta condizioni sociali ed economiche segnate dalla fragilità, dall’instabilità, dall’assenza di speranza e dalla paura di fronte al futuro». Insomma una «situazione umanamente senza sbocco», perché — ha chiarito — «solo Dio può donare pace e gioia non effimere». Infatti la pace annunciata dal coro angelico nella notte di Betlemme non è quella che dà il mondo e neppure quella che «si ottiene con le armi e la vittoria militare o con gli interessi dell’economia globale», ma è quella «che sa vedere nell’altro il fratello da amare e da aiutare anche quando si dimostra nemico; una pace che passa per la purificazione del linguaggio da ogni espressione di odio e di violenza».

Da qui la consegna del dialogo da parte del segretario di Stato. «I cristiani — ha spiegato — sono donne e uomini che, nonostante le difficoltà, le contraddizioni e, a volte, perfino il rifiuto e la violenza, rimangono ancorati in Dio. Ecco allora che il Natale diventa un invito alla speranza, per tutti gli abitanti dell’Iraq». Ed è una speranza, ha concluso, che «permette di ricominciare sempre di nuovo, anche dopo le difficoltà e il dolore sofferti in questi anni».

L’indomani, nella cattedrale latina di Baghdad, il cardinale Parolin all’omelia ha ricordato la tragica e ingiusta esperienza della violenza e del terrorismo, sofferta dalla comunità. Proprio per questo, ha commentato, «abbiamo bisogno di accogliere la buona notizia del Natale», facendo «l’esperienza della vita nuova» che Gesù ha portato, con il conseguente sprone «a offrire con generosità il vostro contributo a questo Paese che amate, a questa società alla quale appartenete come membri a pieno titolo». Perché, ha proseguito, «avete una missione insostituibile»: essere «artefici di riconciliazione e di pace, testimoni di amore e di perdono, di comunione e di fraternità, di una vita di servizio e di carità come fonte di bene e benedizione per tutti», vivendo l’appartenenza alla Chiesa «con generosità e gratitudine, con fiducia e speranza, in questa terra dove è cominciata la storia della salvezza». Certo, ha commentato, si tratta di «una storia segnata dalle tribolazioni e dal dolore, ma mai priva della fedeltà e del sostegno di Dio».

© Osservatore Romano   27.12.2018