Noi umani siamo fatti per l’incontro - È morto Jean Vanier fondatore della comunità L’Arche ·

Vanier 3fb6e8e76ee25e691355bb024e0991b5 4«Noi esseri umani non siamo fatti per mostrare forza, grandezza o potenza: noi umani siamo fatti per l’incontro. L’incontro come fine in sé»: lo ripeteva spesso Jean Vanier, il filosofo, filantropo, scrittore e fondatore cattolico franco-canadese morto novantenne a Parigi nelle prime ore di oggi, 7 maggio.

La costruzione dell’incontro a prescindere dalle differenze genetiche, razziali, culturali, religiose e politiche è stato il filo rosso che ha accompagnato tutta la vita di colui che è, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi testimoni contemporanei della carità e della pace.

Nella lunga vita di Vanier — nato nel 1928 da genitori canadesi a Ginevra, dove il padre, generale, era consigliere militare presso la Società delle Nazioni — la ricerca dell’incontro autentico e fertile con il prossimo ha spaziato in diverse direzioni, fino a trovare la sua ragion d’essere nel movimento L’Arche, da lui fondato nel 1964. Prima di allora, però, i tentativi di realizzare la propria vocazione avevano portato il giovane Vanier altrove. A soli 12 anni, sconvolto dalla seconda guerra mondiale, decide di entrare nel Royal Naval College di Dartmouth. Abbandonata la marina nel 1950, il ventiduenne Vanier crede di vedere nel sacerdozio la sua vera vocazione e per questo va a vivere nella comunità cristiana fondata dal domenicano Thomas Philippe, L’Eau Vive, composta da studenti della periferia povera di Parigi, vicino al convento domenicano Le Saulchoir. Un anno dopo l’arrivo di Vanier, padre Thomas, malato, deve abbandonare la direzione e gliela affida. Il cambio provoca una frattura con il convento: i domenicani non sono contenti che la guida passi a un laico. Seguiranno tempi difficili, finché il vescovo locale gli chiederà di dare le dimissioni da direttore. L’espulsione lascia Vanier in uno stato di incertezza e solitudine simile a quella in cui si era trovato, sette anni prima, uscendo dalla marina. Jean decide quindi di non finire il suo ultimo anno di preparazione al sacerdozio e trascorre un periodo nella trappa di Bellefontaine, poi va a vivere da solo in una piccola fattoria e, infine, passa anni in una casetta a Fátima.

Ottenuta la laurea in filosofia nel 1962, accetta il posto di professore di filosofia morale al Saint Michael’s College di Toronto. Solo un anno più tardi, però, tutto cambia nuovamente nella sua vita: padre Thomas che ora, a Trosly-Breuil, è cappellano della casa Val Fleuri che accoglie persone con disabilità mentale, lo invita a tornare in Francia. Poco dopo Vanier acquista nel paese una vecchia casa in rovina e intanto, a partire dalla primavera del 1964, comincia a visitare istituzioni, case di cura e ospedali psichiatrici, rimanendo scioccato dalla violenza che accompagna il quotidiano delle persone rinchiuse. Nell’agosto di quell’anno la svolta decisiva: Jean accoglie nella sua abitazione due uomini con disabilità mentale, Raphaël Simi e Philippe Seux. Nasce L’Arca, il cui nome evoca non solo l’arca di Noè e l’arca dell’alleanza, ma anche il modo in cui Maria, colei che ha portato il Salvatore, viene chiamata dai padri della Chiesa.

Oggi nel mondo ci sono 135 comunità in trentatré paesi sparsi nei cinque continenti; quella di Ciampino, alle porte di Roma, è stata visitata da Papa Francesco in uno dei venerdì della misericordia: un grande riconoscimento per un movimento formato da uomini e donne con e senza disabilità intellettive che vivono insieme costruendo rapporti, spiegava Vanier, «capaci di trasformarci vicendevolmente in comunità segni di pace nel mondo». Informato prontamente della sua morte — ha comunicato il direttore “ad interim” della Sala stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, in un tweet — Papa Francesco ha pregato oggi per lui e per l’intera comunità dell’Arca.

Tornando agli anni Settanta, con Marie-Hélène Mathieu, Vanier aveva fondato Fede e Luce, movimento di persone con disabilità, le loro famiglie e i loro amici: a differenza dell’Arca non si vive in comunità, ma ci si ritrova regolarmente per trascorrere del tempo insieme (Fede e Luce oggi conta più di 1600 comunità in oltre ottanta nazioni). L’impegno di Vanier non è passato sotto silenzio: fra i tanti riconoscimenti ottenuti, ricordiamo il premio Paolo VI» per la sua opera a favore dello sviluppo e del progresso dei popoli (1997) e, più recentemente, nel 2015, il Premio Templeton per il progresso nella ricerca o scoperte sulle realtà spirituali. «Quando L’Arche ebbe inizio nel 1964 — raccontava Vanier — le persone con disabilità tendevano a essere rinchiuse in istituti o ospizi, lontano dallo sguardo della società. Oggi sono stati fatti molti passi avanti quanto a segregazione, ma coloro che presentano una disabilità sono ancora emarginati perché costituiscono una sfida notevole per la società tradizionale. Sembrano così diversi da noi: ciò che toccano, vedono, annusano, odono e sentono pare avere poco in comune con le esperienze di chi è privo di handicap. Spesso ci capita di aver paura di stare con loro: non riusciamo a capire il loro comportamento, i loro corpi sembrano strani, le loro parole incomprensibili». Vanier, semplicemente, si è messo nei loro panni. E, con intelligenza e amore, delicatezza e forza granitica, ha costruito e testimoniato la relazione. Una relazione che non tanto le parole ma le azioni quotidiane di quest’uomo (alto quasi due metri e dai gioiosi occhi azzurri, un uomo che odiava semplificazioni, scorciatoie e muri) hanno incarnato giorno dopo giorno.

Una strada, quella di Vanier, in cui chiaramente non sono mancati anche grandi dolori. L’ultimo dei quali ha accompagnato gli anni più recenti. Nel 2017, in Un cri se fait entendre, tra le sofferenze provate, Vanier ricordava quelle vissute ascoltando le testimonianze di alcune donne vittime di violenze sessuali decennali da parte di padre Thomas. Donne «ferite profondamente e mortalmente da quelle violenze». Padre Thomas è morto nel 1993: nel giugno 2014 due donne adulte, senza disabilità, dichiararono all’Arca e alla Chiesa di essere state per decenni vittime di abusi sessuali da parte del religioso durante gli anni Settanta e Ottanta, quando era il loro padre spirituale. L’Arca chiese dunque l’avvio di un’inchiesta canonica, che partì immediatamente. Durata dal dicembre 2014 al marzo 2015, l’indagine raccolse le testimonianze di quattordici persone e confermò tutte le accuse. Il 6 aprile 2017, dietro richiesta di alcune vittime e con il loro aiuto nella preparazione, è stata celebrata a Trosly-Breuil una messa di riparazione per le persone abusate da padre Thomas: erano presenti le vittime, i leader dell’Arca e tre vescovi.

I crimini di padre Thomas non inficiano certo il progetto dell’Arca, la sua bellezza e il valore profondo e profetico che essa ha testimoniato e continua a testimoniare nel mondo a favore delle persone con e senza disabilità mentale. Hanno però causato, e causano ancora, un enorme dolore. Innanzitutto in Jean Vanier, uomo di pace, intelligenza e amore.

di Giulia Galeotti

© Osservatore Romano - 8 maggio 2019