In Iraq si respira un’aria nuova

speranza a Mosul«Malgrado ciò che è successo a Mosul direi che si assiste oggi a una reazione musulmana nei confronti dell’ideologia fondamentalista. Parlerei di una “vibrazione positiva” che si percepisce nella popolazione musulmana». Parole di Louis Raphaël i Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, che in una lunga intervista a Baghdadhope fa il punto della situazione della comunità cristiana in Iraq, a partire dalla lucida e realistica analisi del rapporto con la comunità musulmana dopo la liberazione del paese dalle milizie del cosiddetto Stato islamico. «Quando alla vigilia di Natale ho visitato Mosul — ricorda Sako — alla celebrazione da me officiata hanno partecipato moltissimi musulmani: esponenti religiosi, politici ma anche della cultura come i presidenti di due università. Ecco, lì ho percepito questa forte vibrazione. A pulire e a preparare la chiesa di San Paolo sono stati per esempio dei giovani volontari musulmani. Certo, c’è molto da fare, specialmente in una città in cui venticinque chiese, in maggioranza caldee, sono state più o meno gravemente danneggiate dallo stato islamico ma novanta famiglie cristiane vi sono tornate e speriamo siano solo le prime».

In Iraq finalmente si respira un’aria nuova, anche se ancora non può bastare. Infatti, sostiene il patriarca caldeo, «se da una parte ci sono segnali incoraggianti per tutto il paese, compresa la sua comunità cristiana, d’altra parte un certo tipo di ideologia legata al fondamentalismo islamico non è sparita con la cacciata dello stato islamico. È più difficile, certo, sentire ora dalle moschee incitamenti all’odio verso gli infedeli ma questo ai cristiani non basta e non può bastare».

In tal senso, viene sottolineato, l’esempio forse più lampante è quello rappresentato dalla piana di Ninive. «Nei villaggi della piana — osserva Sako — delle ventimila famiglie cristiane che li abitavano circa settemila sono tornate ma è indubbio che le tensioni tra il governo centrale e quello curdo spaventano coloro che pensano di potersi trovare tra due fuochi ed essere costretti a una nuova fuga. L’ostinazione delle parti, la mancanza del dialogo e della volontà di instaurarlo rappresentano un ostacolo enorme. Ci sono villaggi cristiani, penso a Batnaya o a Telkeif, in cui nessuna famiglia ha ancora deciso di tornare». Ai cristiani in Iraq manca dunque la sicurezza. Ma non solo. Hanno bisogno anche del sostegno economico e morale.

©   © Osservatore Romano    9.2.2018