Special Pan-Orthodox Council Wall

Il testo di Creta sui rapporti fra Chiesa ortodossa e mondo cristiano

concilio pan ortodosso apertura solenneda Chania HYACINTHE DESTIVELLE

La questione dei rapporti con gli altri cristiani è stata al centro dei dibattiti del Santo e grande con- cilio della Chiesa ortodossa il 24 e il 25 giugno scorsi. Il documen- to a essa dedicato è stato il più controverso di tutti, anche se pro- prio tale questione era stata all’origine del processo conciliare. Le encicliche del patriarca ecume- nico Gioacchino III del 1902 e del 1904, considerate il punto d’inizio di questo processo, giustificavano il bisogno di consultazioni panor- todosse proprio per adottare un atteggiamento comune nei confronti degli altri cristiani, in particolare dei vetero-cattolici e degli anglicani.
L’agenda fissata dalla prima conferenza panortodossa del 1961 proponeva, con il titolo generale «I rapporti della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano», di studiare «i mezzi di avvicinamento e di unio- ne delle Chiese dal punto di vista panortodosso», distinguendo i rapporti in base alle varie Chiese e confessioni. La prima conferenza preconci- liare, nel 1976, tra i dieci temi dell’agenda del concilio, ne preve- deva due sui rapporti, da una parte «con le altre Chiese e con- fessioni cristiane» e, dall’altra, «con il movimento ecumenico». La terza conferenza preconciliare del 1986 propose per la prima volta due documenti su questi te- mi, riguardanti, rispettivamente, i diversi dialoghi teologici bilaterali (con gli anglicani, i vetero-cattoli- ci, le antiche Chiese orientali, i cattolici, i luterani, i riformati) e i rapporti multilaterali nel quadro del movimento ecumenico, ossia fondamentalmente del Consiglio ecumenico delle Chiese. I due documenti sono stati riuniti in uno solo da una commissione in- terortodossa speciale nel 2014 e nel 2015. È questo testo, approvato dalla quinta conferenza panortodossa nell’ottobre 2015, che la sinassi dei primati del gennaio 2016 ha infine inserito nell’o rd i n e del giorno del Santo e grande concilio con il titolo I rapporti della Chiesa ortodossa con l’insieme del mondo cristiano . I paragrafi introduttivi del do- cumento, dopo aver affermato l’identità della Chiesa ortodossa con la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, confermano il suo impegno ecumenico. Ricordano che la Chiesa ortodossa «ha sem- pre coltivato il dialogo con quanti sono andati via», «ha partecipato al movimento ecumenico fin dalla sua nascita», e «ha sempre lottato per il ripristino dell’unità». Di conseguenza, la partecipazione a tale movimento «non va affatto contro la natura e la storia della Chiesa ortodossa, ma costituisce l’espressione coerente della fede e della tradizione apostolica in con- dizioni storiche nuove». Lo scopo di tale impegno è di «ricercare, sulla base della verità della fede e della tradizione della Chiesa anti- ca dei sette concili ecumenici, l’unità di tutti i cristiani». La prima parte del documento affronta i dialoghi bilaterali e di- chiara che la Chiesa ortodossa «accetta la denominazione storica delle altre Chiese e confessioni cristiane eterodosse che non sono in comunione con essa». È favo- revolmente disposta a prendere parte al dialogo teologico «nella convinzione che, attraverso il dia- logo, reca una testimonianza di- namica della pienezza della verità in Cristo e dei suoi tesori spiri- tuali a tutti coloro che sono al di fuori di essa, avendo come obiet- tivo quello di spianare la via che conduce all’unità». La finalità dei dialoghi teologici è chiaramente affermata: è «il ripristino dell’uni- tà nella vera fede e nell’a m o re » . Il testo riconosce però che esiste una «gerarchizzazione riguardo alle difficoltà che si presentano lungo la via per raggiungere que- sto obiettivo fissato su scala pa- nortodossa». Inoltre precisa che i dialoghi teologici bilaterali devono essere «l’e s p re s - sione della decisione unanime di tutte le santissime Chiese or- todosse locali». Di conseguenza, se una Chiesa si ri- fiuta di parteci- pare, deve co- municare per scritto il proprio rifiuto al patriarca ecume- nico e a tutte le Chiese ortodosse. La seconda parte del documen- to riguarda soprattutto il Consi- glio ecumenico delle Chiese. Il testo ricorda che alcune Chiese ortodosse ne sono state membri fondatori, e che, in seguito, tutte le Chiese ortodosse locali ne sono divenute membro, sebbene le Chiese ortodosse di Georgia e di Bulgaria si siano ritirate rispetti- vamente nel 1997 e nel 1998. Di- chiara poi che la Chiesa ortodos- sa «non accetta assolutamente l’idea dell’uguaglianza delle con- fessioni e non può concepire l’unità della Chiesa come un ade- guamento interconfessionale». Fondandosi sulla Dichiarazione di Toronto (1950), sottolinea che il Consiglio ecumenico delle Chiese «non è una super-Chiesa e non deve in alcun caso diventar- lo». Rammenta l’importanza del lavoro della commissione Fede e Costituzione e valuta positiva- mente i testi teologici da essa pubblicati. Rispetto alla bozza del 1986 so- no stati aggiunti due paragrafi. Agli ortodossi che minacciano l’unità «con il pretesto di una presunta difesa della purezza dell’ortodossia», il documento ri- corda che «la preservazione della fede ortodossa pura è garantita solo dal sistema conciliare». Infi- ne, sottolineando la necessità di un dialogo ecumenico, ritiene «indispensabile che tale dialogo vada di pari passo con la testimo- nianza nel mondo e con azioni che esprimano “la gioia indicibi- le” del Vangelo ( 1 P i e t ro , 1, 8), escludendo ogni atto di proseliti- smo, di uniatismo od ogni altra azione che susciti antagonismo confessionale». La parola “uniati- smo”, che non era presente nella bozza iniziale, è stata aggiunta dal concilio. Sono molti gli aspetti positivi di questo importante documento del Santo e grande concilio. Ci- tiamo in primo luogo la riaffer- mazione solenne dell’imp egno della Chiesa ortodossa nel movi- mento ecumenico e nei dialoghi teologici bilaterali. L’aver affer- mato chiaramente che lo scopo di tale impegno è l’unità dei cristiani è ancora più importante in quan- to l’enciclica del concilio sembra giustificare il dialogo, in modo un po’ apologetico, con l’irraggia- mento della testimonianza orto- dossa. In terzo luogo, l’aggiunta, nel documento finale, della neces- sità di una valutazione panorto- dossa periodica dei dialoghi teo- logici bilaterali e multilaterali, ap- pare a sua volta particolarmente opp ortuna. Questo documento sarà certa- mente commentato e valutato dai partner di dialogo della Chiesa ortodossa. Ci accontentiamo qui di fare alcune osservazioni da un punto di vista cattolico. La prima riguarda la designazione degli al- tri cristiani. Mentre la bozza pre- conciliare dichiarava che «la Chiesa ortodossa riconosce l’esi- stenza storica di altre Chiese e confessioni cristiane che non sono in comunione con essa», il conci- lio ha sostituito il termine “esi- stenza” con “denominazione”, ag- giungendo il termine “etero dosse” (n. 6). Più avanti la frase «Chiese e confessioni cristiane» è stata so- stituita con «cristiani» (n. 20). Ci si può interrogare sul significato di tali cambiamenti. Se indicasse- ro un riconoscimento puramente nominale, ossia un non–riconosci- mento di fatto, dello statuto ec- clesiale delle Chiese che godono della successione apostolica, ci sembrerebbe una sorprendente in- novazione. La celebre Enciclica della Chiesa di Costantinopoli a tutte le Chiese del mondo , del 1920, non era infatti rivolta «alle Chiese d’Oriente, sorelle della nostra, al- le venerate Chiese d’Occidente e a quelle del resto della cristiani- tà»? E le bozze dei testi preconci- liari, da oltre cinquant’anni, non utilizzano il termine “Chiesa”, in particolare per la Chiesa cattolica e le Chiese orientali, senza che ciò susciti dibattiti particolari? In- fine, come si potrebbero capire i lavori ecclesiologici della Com- missione mista internazionale di dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, al- la quale partecipano quasi tutte le Chiese ortodosse, senza un reci- proco riconoscimento ecclesiale? Ci si può domandare se sareb- be stato preferibile conservare l’approccio adottato dalle confe- renze panortodosse del 1961 e del 1986: queste non trattavano in modo indifferenziato i rapporti della Chiesa ortodossa con l’insie- me delle Chiese e delle confessio- ni. A tale riguardo, il documento finale fa un’interessante allusione a una “gerarchia delle difficoltà”, che non può non ricordare la “ge- rarchia delle verità” menzionata dal concilio Vaticano II , ed esorta, tenendo conto della «specificità dei problemi legati a ogni dialogo bilaterale», a una «differenziazio- ne nella metodologia da seguire». Noi aggiungeremmo volentieri che una differenziazione termino- logica potrebbe accompagnare questa differenziazione metodolo- gica, in funzione di alcuni criteri. Uno dei criteri importanti del riconoscimento ecclesiale, da un punto di vista cattolico, è la suc- cessione apostolica. Questo punto di vista sembra d’altronde essere condiviso da certe Chiese orto- dosse. Così la Chiesa ortodossa russa, nei suoi Principi fondamen- tali dei rapporti con i non ortodossi , afferma chiaramente che «il dialo- go con la Chiesa cattolica si è co- struito e deve costruirsi in futuro tenendo conto del fatto fonda- mentale che è una Chiesa che ha conservato la successione aposto- lica delle ordinazioni» (Concilio episcopale del 2000). Ma esiste un altro criterio, ancora più fon- damentale, per il dialogo ecume- nico: il riconoscimento del batte- simo. Ebbene, sorprendentemen- te, la parola battesimo non è menzionata neanche una volta in questo documento del Santo e grande concilio sui rapporti con l’insieme del mondo cristiano. Un’altra osservazione: il docu- mento si intitola Rapporti, ma in pratica limita questi ultimi al dia- logo teologico, quando non è un rapido accenno agli «spinosi pro- blemi che ci pone il mondo di oggi» (n. 23). Il dialogo della ve- rità è, certo, un aspetto essenziale dei rapporti tra Chiese, ma non li esaurisce. Questi rapporti interes- sano anche la testimonianza co- mune e la collaborazione pratica in molti ambiti, che sono menzio- nati solo di sfuggita. Le relazioni si sviluppano an- che, e soprattutto, nel quadro del dialogo della carità, di cui Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora furono i modelli profetici. Atena- gora inoltre sottolineò che il dia- logo della carità ha anche un si- gnificato teologico. A tale propo- sito, l’accoglienza fraterna riserva- ta dal concilio agli osservatori delle altre Chiese e le parole cor- diali che il patriarca Bartolomeo ha rivolto loro, nelle sessioni di apertura e di chiusura, mostrano bene che, al di là dei dibattiti ter- minologici, c’è già un riconosci- mento vissuto dell’ecclesialità del- le altre comunità cristiane, in par- ticolare della Chiesa cattolica e delle Chiese orientali. Infine, i nostri rapporti sono anche di ordine spirituale: pre- ghiamo gli uni per gli altri e im- ploriamo il Signore di accelerare il compimento della sua preghiera per l’unità. È proprio questo che evoca un passaggio del documen- to del Santo e grande concilio, con il quale concludiamo queste brevi osservazioni: «Nei suoi rap- porti con gli altri cristiani, [la Chiesa ortodossa] non si basa so- lo sulle forze umane di quanti conducono i dialoghi, ma conta anche e prima di tutto sulla pro- tezione dello Spirito santo e sulla grazia del Signore che ha pregato “perché tutti siano una sola cosa” (Giovanni, 17, 21)».

© Osservatore Romano - 3 luglio 2016