Il potere delle lacrime

gregorio di narekdi ROSSELLA FABIANI

Poeta, monaco, teologo, filosofo e mistico, Gregorio di Narek (951-1010/11) sarà proclamato domenica dottore della Chiesa. Considerato già santo nel martirologio romano che lo ricorda il 27 febbraio, ora questo mistico poeta armeno diventerà il trentaseiesimo dottore della Chiesa cattolica. Fu Benedetto XIV a fissare i tre requisiti necessari per la concessione di questo titolo: una dottrina eminente, un’insigne santità di vita e la dichiarazione del Sommo Pontefice o di un concilio. Con questi requisiti Papa Lambertini aveva riassunto le condizioni in base alle quali la Chiesa nel corso dei secoli aveva riconosciuto o dichiarato alcuni santi dottori della Chiesa.
E se l’insigne santità della vita costituisce un requisito previo e la dichiarazione da parte del Papa o di un concilio rimane l’atto formale del riconoscimento del dottorato, la dottrina eminente è la qualità specifica e determinante per il riconoscimento del titolo. Gregorio di Narek riassume nella sua persona tutti questi requisiti. Nipote di Anania Narekatsi, “p a d re ” del monastero di Narek, uno dei v a rd a p e t — titolo ecclesiastico armeno per padre, maestro, dottore — più celebri dell’epoca, soprannominato “filosofo”, Gregorio entra in monastero da piccolo dove riceve una ricchissima formazione dall’igumeno Anania, che gli permette di leggere tutte le grandi opere patristiche, sia greche che orientali, e di nutrire la sua meditazione quotidiana con un immenso tesoro di letture spirituali. Trascorre la sua intera esistenza nel raccoglimento, pregando, insegnando, contemplando e ascoltando la natura circostante. E in un incessante alternarsi tra lavoro e preghiera, Gregorio comincia a manifestare una forte propensione a rielaborare la tradizione ricevuta in un linguaggio poetico fra i più alti della storia cristiana. Fu un maestro molto famoso e, ancora in vita, godette della fama di santità. Il monastero di Narek, fondato nel 935, si trovava a sud-est del lago di Van, a circa quattro chilometri dalle coste e a un’altitudine di 1650 metri. Fu distrutto durante i tragici eventi del 1915, e recentemente rifondato. Alla morte, il corpo di Gregorio fu deposto nella chiesa del monastero dedicata alla santa Sanducht, secondo la tradizione figlia del re Sanatruk e prima martire armena nel I secolo, uccisa a causa della sua fede per ordine di suo padre. Nel 1021 le reliquie del santo furono trasferite a Sebaste, l’attuale Sivaz, nell’antica provincia dell’Armenia Minore in Anatolia centrale. Il villaggio dove furono poste le reliquie fu poi soprannominato Narek in ricordo del monastero dove Gregorio aveva trascorso la sua vita. L’alto medioevo della cultura cristiana armena si chiude con un periodo di straordinario splendore: l’epoca del regno dei Bagratidi, nell’Armenia del nord, con la leggendaria capitale Ani, città “dalle mille e una chiesa”, e del regno degli Artzruni, a sud, nei dintorni del lago di Van. Tale splendore fu stroncato di colpo dall’occupazione bizantina nel 1021 dell’Armenia meridionale e, nel 1045, di Ani. Ma i secoliIX eX segnarono nella storia armena una delle svolte più feconde e felici. E se la città di Ani, che oggi riposa nel sontuoso e malinconico silenzio delle sue rovine, e l’i m p a re g g i a bile gioiello della chiesa di Aghthamar, sul lago di Van, sono i simboli più significativi di tale rinascita, «la creazione poetica del veggente di Narek — secondo padre Bogos Levon Zekiyan — ne è il degno contraltare quale monumento letterario». Nominato lo scorso anno arcivescovo di Istanbul, l’arciprete armeno Zekiyan, nato in Turchia e vissuto oltre cinquant’anni a Venezia nella storica comunità mechitarista dell’isola di San Lazzaro, è tra i massimi esperti al mondo dell’op era di Gregorio di Narek e a lui il governo armeno starebbe pensando di affidare la traduzione completa in italiano del Libro delle Lamentazioni di Gregorio — una raccolta di novantacinque preghiere in forma poetica nota anche come N a re k dal nome del monastero — come ci anticipa Vartan Karapetian, consigliere dell’ambasciata armena presso la Santa Sede. Considerato il capolavoro di Gregorio e uno dei maggiori capolavori della poesia e della mistica di tutti i tempi, il Narek è, per usare le parole del nunzio apostolico in Bielorussia, monsignor Claudio Gugerotti, «la testimonianza di un’avventura spirituale, è la storia di un uomo e delle sue paure, delle sue aspirazioni altissime, della vertigine di una fame di Dio. Ma N a re k è anche il potere di un lamento che riesce a strappare il p erdono». È proprio con questa parola, lamento, che si trasforma in pianto, che il N a re k valorizza il filone della spiritualità della compunzione, ben noto nell’antichità e oggi in Occidente quasi totalmente scomparso tranne per l’incessante e appassionata opera di divulgazione dei padri della Chiesa che praticarono la filocalia da parte del cardinale Tomás Spidlík, scomparso il 16 aprile di cinque anni fa. L’antichità conobbe il pènthos, la katanùxis, come componente della penitenza perché «chi persevera nelle lacrime e nel pianto difficilmente potrà ancora peccare» dicono i padri della Chiesa. E la ricerca della tristezza, del gemito e delle lacrime diventerà parte del linguaggio spirituale, dagli Apophtègmata Patrum di Evagrio a Giovanni Climaco. Ma Gregorio non è l’unico autore a comporre testi poetici che invocano il dolore dei peccati e la grazia del perdono. Il canone penitenziale di Andrea di Creta diventa addirittura un genere letterario; di certo molto caro fu a Gregorio il passo biblico «Il tuo servo ha ritrovato il suo cuore per pregarti» (II Samuele, 7, 27), lo stesso scelto dai Padri della Chiesa che lo presero a fondamento di quella che nel tempo è diventata la preghiera del cuore. A questa figura luminosa della chiesa universale sarà dedicato un convegno in programma a Roma a cavallo fra ottobre e novembre a cui prenderanno parte i maggiori studiosi dell’opera di san Gregorio.

© Osservatore Romano - 11 aprile 2015