Sulle spalle del nostro pastore

ascensionedi MANUEL NIN

L’ Ascensione del Signore, nel quarantesimo giorno dopo la Risurrezione del Signore è una delle grandi feste dell’anno liturgico. Nella seconda metà del IV secolo Egeria descrive una celebrazione il quarantesimo giorno dopo Pasqua, ma a Betlemme e non sul monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo, quasi a mettere in parallelo la nascita del Verbo di Dio incarnato e la sua glorificazione in cielo.
Uno dei testi dell’ufficiatura bizantina per la festa recita: «Prendendo sulle spalle, o Cristo, la natura che si era smarrita, sei asceso al cielo e l’hai presentata a Dio Padre». E tutta la liturgia dell’Ascensione nella tradizione bizantina si muove attorno a questi due punti fondamentali: l’incarnazione del Verbo di Dio, il suo farsi piccolo, uno di noi, e quasi in parallelo la sua ascensione, che ha come conseguenza la glorificazione della natura caduta dell’uomo, con il Figlio alla destra del Padre. Nell’ufficiatura del vespro si mettono in luce i diversi aspetti della festa. Innanzi tutto, il collegamento con il dono dello Spirito santo: «Signore, quando gli apostoli ti videro sollevarti sulle nubi, tra i lamenti dicevano: O sovrano, non lasciare orfani i tuoi servi; mandaci, come hai promesso, lo Spirito santissimo». Poi, la gioia delle schiere celesti (gli angeli) e di quelle degli uomini (gli apostoli). Infine, la confessione dell’incarnazione del Verbo e quindi la piena redenzione del genere umano: «Il Signore è asceso ai cieli, che hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall’eternità, nel suo seno dimora. Signore, compiuto il mistero della tua economia, te ne sei andato oltre il firmamento del cielo. Tu che per me come me ti sei fatto povero e sei asceso là da dove mai ti eri allontanato». Nel vespro poi si canta: «Sei stato partorito, come tu hai voluto; ti sei manifestato, come avevi stabilito; hai patito nella carne, o Dio nostro; sei risorto dai morti e hai calpestato la morte; sei asceso nella gloria, tu che tutto riempi, e ci hai mandato lo Spirito divino affinché celebriamo e glorifichiamo la tua divinità». Ed è proprio una confessione di fede: il Verbo di Dio che si incarna, nasce, patisce, muore e risorge; quindi ascende in cielo e manda il dono dello Spirito Santo. E un altro testo dice: «Mentre tu ascendevi, o Cristo, dal Monte degli Ulivi, le schiere celesti che ti ve- devano, si gridavano l’un l’altra: Chi è costui? E rispondevano: È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il re della gloria. Ma perché sono rossi i suoi vestiti? Viene da Bosor, cioè dalla carne. E tu, dopo esserti seduto in quanto Dio alla destra della maestà, ci hai inviato lo Spirito santo per guidare e salvare le anime nostre». In evidenza sono il rapporto stretto tra l’abbassamento, l’incarnazione del Verbo, e la sua glorificazione, l’ascensione ai cieli. Rapporto che viene fatto a partire dalla lettura, quasi teatrale, di due testi biblici che troviamo spesso adoperati nella liturgia, cioè il salmo 23 e il capitolo 63 del profeta Isaia. L’ascensione del Signore non è una sua separazione, un suo allontanarsi da noi. Nella sua carne glorificata noi saliamo già in cielo con lui alla destra del Padre; e grazie al dono dello Spirito santo il Signore rimane accanto a noi: «Compiuta l’economia a nostro favore, e congiunte a quelle celesti le realtà terrestri, sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, senza tuttavia separarti in alcun modo da quelli che ti amano; ma rimanendo inseparabile da loro, dichiari: Io sono con voi, e nessuno è contro di voi».

© Osservatore Romano - 14maggio 2015