Sulla bilancia di Dio

jesus cross 407x1di SEBASTIAN PAUL BROCK

In Dio come coesistono giustizia e misericordia? I rabbini si esprimono così: «La questione è simile a un re che aveva alcuni calici vuoti. Il re disse: “Se vi verso acqua calda, esploderanno; se vi metto acqua fredda, si creperanno. Quindi il re miscelò acqua fredda con acqua calda e la versò nei calici, i quali rimasero intatti. Allo stesso modo — D io disse — se creassi il mondo con l’attributo della misericordia, il peccato si moltiplicherebbe; se lo creassi con l’attributo della giustizia, come potrebbe sopravvivere? Dunque, lo creerò con entrambi, così che possa sopravvivere”». Il concetto rabbinico dei “due attributi” di Dio fu introdotto nella tradizione cristiana siriaca primitiva con i due termini, leggermente modificati, di “diritto” e “grazia”.
Nel IV secolo il grande poeta Efrem scriveva così, rivolgendosi a Dio: «I due piatti della tua bilancia sono il diritto e la grazia; come e quando saranno bilanciati tu solo lo sai. Quando sono sbilanciati, essi sono comunque bilanciati, dal momento che non sono separati in rapporto all’unico Signore di tutto». Isacco il Siro, o Isacco di Ninive, che scriveva nel tardo VII secolo, deve essere stato ben consapevole di questa tensione tra il diritto di Dio e la sua grazia, ma la sviluppa in un modo a lui proprio, sostituendo abitualmente “grazia” con “misericordia” e, invece di bilanciarla con il diritto, pone occasionalmente i due termini in contrasto, solitamente in un contesto escatologico; in questi casi egli intende il termine “diritto” più nel senso della “rettitudine”, o persino di “giustizia rigorosa”. Per Isacco la reale caratteristica di Dio nelle sue azioni nei confronti dell’umanità è la misericordia, ed egli ama citare a questo proposito il Salmo, 145 [144], 17: «Egli è misericordioso in tutte le sue opere». Per Isacco è il carattere assolutamente sorprendente dell’amore di Dio a essere regolarmente il punto di partenza delle sue riflessioni. Un aspetto importante di questo amore da parte di Dio è che esso è un amore costante e uniforme, che non muta mai. Nei riguardi degli esseri umani tale amore abbraccia allo stesso modo i buoni e i cattivi.
Isacco spiega ciò dicendo che l’oggetto dell’amore di Dio che si spande uniformemente è la natura umana soggiacente — creata a immagine di Dio — che si ritrova in ciascuno e non soltanto in alcuni: di conseguenza, «tutti, buoni e cattivi, sono racchiusi dentro i confini del suo amore». Sebbene l’amore di Dio si spanda uniformemente su tutti, tuttavia esso è sperimentato in maniera diversa da persone diverse; per illustrare ciò Isacco si appoggia alla parabola dei due debitori (cfr. Luca, 7, 41-42), in cui si dice che colui a cui è condonato il debito maggiore ha un amore più grande per il creditore. L’incarnazione è, per Isacco, l’espressione suprema dell’amore di Dio per l’umanità. Utilizzando l’immagine del vestito — metafora dell’incarnazione che si ritrova frequentemente negli autori siriaci — Isacco scrive che, quando la Parola di Dio si fece uomo, «si ricoprì di» o «rivestì» l’umiltà. Dal momento che per Isacco, al pari della maggior parte degli autori spirituali siriaci, il fine della vita cristiana è l’imitazione di Cristo, ciò significa che, come conseguenza del fatto che Dio stesso «si rivestì di umiltà», un attributo essenziale di ogni discepolo di Cristo deve essere una profonda umiltà. Accanto a questo, vi è un secondo attributo principale di Dio, la misericordia, che deve riflettersi nel cristiano. Anche qui troviamo che Isacco pone in contrapposizione la misericordia alla giustizia o rettitudine: «La misericordia insieme alla giustizia in una medesima anima sono come uno che adora Dio e gli idoli in una medesima casa. Come l’erba e il fuoco non possono coesistere in un unico luogo, così neppure la giustizia e la misericordia possono abitare in una medesima anima. Come un granello di sabbia non bilancia una gran quantità di oro, così l’uso della giustizia da parte di Dio non può bilanciare la sua misericordia».
L’umiltà profonda produce lacrime di pentimento, che possono alla fine sfociare in lacrime di gioia, conseguenza delle quali sarà l’acquisizione di un cuore compassionevole, il quale implica la possibilità di vedere tutti e tutto, per così dire, con gli occhi di Dio e dalla sua prospettiva piuttosto che da quella umana. Coloro che hanno acquisito una tale umiltà profonda vedono se stessi come peggiori del peggiore dei peccatori, e per questo intercedono per questi ultimi con la compassione per loro, a imitazione di Cristo che si sottopose alla morte riservata al peggiore dei peccatori, e quindi intercedendo persino per i peggiori peccatori. Per Isacco tale è l’immensità dell’amore di Dio per la natura umana da lui creata a sua immagine che la sua misericordia verso gli esseri umani non soltanto eccede la giustizia, ma addirittura la trascende, insieme a ogni idea umana di rettitudine e di giustizia. In ogni riflessione sul tema della giustizia e della misericordia di Dio, il suo punto di partenza e la sua conclusione sono focalizzati sull’amore divino come chiave ermeneutica per ogni giusta comprensione della questione. Un amore divino la cui natura e la cui estensione si estendono assai oltre la comprensione umana consueta.

© Osservatore Romano - 11 settembre 2015