Induisti e cristiani in dialogo

1 mani verso il cielo medio«Un nuovo inizio» che «orienta verso una nuova serie di possibilità nel campo del dialogo», aprendo «ulteriori iniziative e passi futuri»: così il cardinale presidente JeanLouis Tauran ha definito la prima conferenza indù-cristiana organizzata in Italia dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Svoltosi martedì 6 dicembre alla Pontificia università Gregoriana — il cui centro studi interreligiosi era tra gli enti promotori insieme con l’ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana, l’Unione induista italiana, il movimento dei Focolari e la sezione Italia di Religions for peace — l’appuntamento si è svolto «in spirito di amicizia, riconoscendo il reciproco bisogno dell’altro» in vista della costruzione di «una coesistenza armoniosa tra i popoli di tutte le fedi».
Introducendo i lavori il porporato si è detto convinto «che ogni dialogo interreligioso, se portato avanti con il giusto intento», illumina i valori condivisi. E in proposito ha accennato alle proprie esperienze personali di dialogo con gli indù. «La prima — ha ricordato — l’ho vissuta a Mumbai, in India, nel giugno 2009. Si trattava di parlare delle necessità dei responsabili di entrambe le comunità religiose d’impegnarsi in dialogo e cooperazione per contribuire al benessere del popolo indiano, e alla costruzione della pace nella società. Da allora ho avuto l’opportunità di interagire con gli amici indù anche in altri paesi. Nel 2011, il nostro Pontificio Consiglio ha organizzato un colloquio di tre giorni a Pune e io vi ho partecipato, come pure agli incontri organizzati dal nostro dicastero a Londra nel 2013 e a Wa s h i n g ton nel 2015. Queste sono state occasioni di reciproco apprendimento e arricchimento spirituale». Perché, ha concluso, «quando noi, che professiamo religioni diverse, ci incontriamo, sentiamo il bisogno di crescere sempre più nel rispetto, nella comprensione, nella stima della vita e della fede dell’altro, e questo contribuisce all’armonia generale e allo sviluppo della società». Inoltre «questi meravigliosi scambi ci aiutano anche ad approfondire la nostra fede». Infatti «ogni autentico scambio di vita e fede come questo arricchisce il nostro modo di essere e di vivere». Successivamente, nel corso della sessione dedicata al tema «Promuovere la pace in un mondo globalizzato: sfide, opportunità e speranze», la prospettiva politica è stata affrontata dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati. Il presule ha esortato a non aver paura di sporcarsi le mani con la politica, la quale non è intrinsecamente un male, soprattutto se si considera che in ultima analisi essa serve al raggiungimento del bene comune. Allo stesso modo è sempre opportuno che ai politici venga ricordata la loro alta vocazione e siano incoraggiati a perseguire la strada giusta. «Questo — ha commentato — è il punto di intersezione tra religione e politica. La religione e i valori religiosi hanno un ruolo profetico nell’incoraggiare la politica e i politici a cercare sempre il bene. Pertanto, dobbiamo distinguere tra cattiva politica e buona politica, tra il bene e il male insiti nella politica». In tale contesto — ha affermato — «i valori etici delle nostre tradizioni cristiane e indù sono necessari e indispensabili per fare questa distinzione». Infine il segretario per i rapporti con gli Stati ha evidenziato come sulla scena mondiale globalizzata il principale strumento di promozione della pace sia la diplomazia. Ma — ha avvertito — «una buona diplomazia richiede una buona politica poiché la diplomazia, quando esercitata senza scrupoli per ottenere indebiti vantaggi e concessioni, può essere semplicemente una forma alternativa di guerra o può essere utilizzata per fomentare la guerra». In sintesi, secondo il presule, il modello di riferimento dovrebbe essere san Tommaso Moro e non Il Principe di Machiavelli.

© Osservatore Romano - 8 dicembre 2016