Ogni popolo conta

taize 2di FRATEL ALOIS *
A Riga, nel pomeriggio del 1° gennaio, mentre vedevo ripartire dalla capitale lettone, in pullman o in aereo, le migliaia di giovani che per cinque giorni vi si erano riuniti per partecipare al nostro trentanovesimo incontro europeo annuale, mi sono tornate in mente, con gratitudine, le parole che Papa Francesco aveva pronunciato circa due anni fa durante la sua visita al patriarca Bartolomeo a Istanbul. Al Fanar, il 30 novembre 2014, il Santo Padre aveva parlato, in un discorso al termine della divina liturgia, di quelle voci che «si levano con forza ... [e] che non possiamo non sentire». Fra queste voci, il Pontefice aveva menzionato quelle dei giovani e aveva aggiunto:
«Sono proprio i giovani — penso ad esempio alle moltitudini di giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si incontrano nei raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé — sono loro che oggi ci sollecitano a fare passi in avanti verso la piena comunione. E ciò non perché essi ignorino il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sanno vedere oltre — sanno vedere oltre — sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce». Queste parole del Papa esprimono bene lo spirito che ha caratterizzato i giovani riuniti a Riga. Sono venuti da tutti i paesi del continente, dal Portogallo alla Russia, passando per la Polonia e l’Ucraina, alcuni sono venuti persino da più lontano, da altri continenti, soprattutto dalla Corea del Sud e da Hong Kong. Questi giovani sono stati portatori di un messaggio all’Europa: recandoci come pellegrini in Lettonia e riunendoci in un piccolo Paese, volevamo mostrare che, nel concerto europeo, la voce di ogni nazione merita di essere ascoltata da tutto il continente. Questi giovani hanno optato per una fraternità europea rispettosa dei particolarismi locali, dove la voce di ogni popolo conta. Si stanno impegnando a creare legami di amicizia in tutta Europa e al di là dei confini dei nostri paesi europei. Questi giovani sono pure consapevoli che, per noi cristiani, la fraternità ha anche un altro nome, quello di comunione. Cristo ci unisce in una sola comunione, con tutta la nostra diversità di culture e di tradizioni cristiane. I giovani che si sono riuniti a Riga, protestanti, ortodossi, cattolici, hanno testimoniato con la loro presenza il loro desiderio di unità. E hanno ragione: dobbiamo essere uniti affinché la dinamica del Vangelo si riveli. Vogliamo essere un solo cuore e una sola anima. È quando camminiamo insieme che la speranza che ci viene da Cristo si manifesta chiaramente. E se siamo uniti in Cristo, possiamo essere un segno di pace in mezzo a un’umanità lacerata, la nostra fraternità tra cristiani può preparare la pace. Per accogliere tanti giovani a Riga, le diverse Chiese hanno lavorato insieme. Per mesi, luterani, cattolici, ortodossi, battisti, pentecostali, evangelici, hanno collaborato per preparare l’incontro. Hanno così recato una testimonianza fondamentale. È di fatto indispensabile che le Chiese si lascino trasportare dall’impazienza dei giovani, che le Chiese accompagnino i giovani nella loro aspirazione all’unità. C’è un’intuizione nelle giovani generazioni: qualunque sia la loro origine confessionale, si sentono unite perché amano Cristo. Non ci si può limitare a respingere con un manrovescio questa intuizione dei giovani, pensando che la loro coscienza teologica o storica sia insufficiente. Se le Chiese non accompagnano i giovani nella loro impazienza, se non riescono a offrire risposte alle loro aspettative, alcuni cercheranno da soli cammini per stare insieme, cammini che rischiano di allontanarli dalle Chiese. Vorrei aggiungere ancora: a volte ci meravigliamo nel constatare che i giovani che accogliamo si sentono profondamente uniti pur senza ridurre la loro fede al minimo comune denominatore e neppure livellare i loro valori. Il desiderio di unità non è in contraddizione con un approfondimento della tradizione confessionale d’origine. Ma, nella preghiera comune, un’armonia riesce a stabilirsi tra persone che appartengono a confessioni e culture diverse, e persino a popoli che possono essere in forte contrasto. Con le sue parole al Fanar nel 2014 il Papa ha mostrato di prendere sul serio le aspettative delle nuove generazioni e ha risvegliato una speranza. Per questo mi è rivenuto in mente il suo discorso mentre guardavo tutti quei giovani ripartire dal Paese baltico per ritornare nelle diverse nazioni. Nell’anno che è appena iniziato si celebra il cinquecentesimo anniversario della riforma protestante. Questa ha dato un’ispirazione profonda alla Chiesa. Ma purtroppo ha anche portato a divisioni profonde. Ecco due realtà contraddittorie che molti cristiani sembrano disposti, più che in passato, a considerare insieme. Se questo anniversario consistesse nel celebrare una separazione, saremmo ben lungi da un spirito ecumenico. Ma il 31 ottobre scorso, a Lund, l’incontro del Papa con i responsabili luterani ha aperto una via diversa. Francesco ha ricevuto una bella accoglienza in quel luogo simbolico del luteranesimo e ha a sua volta pronunciato una preghiera straordinaria: «O Spirito santo, concedi a noi di riconoscere con gioia i doni che sono giunti alla Chiesa dalla Riforma. Preparaci a pentirci per i muri divisori che noi e i nostri antenati abbiamo costruito, e disponici alla testimonianza e al servizio comune nel mondo». Esprimendosi così, il Pontefice invita a realizzare quello che viene chiamato scambio di doni, a condividere con gli altri ciò che consideriamo un dono di Dio, ma anche a vedere e accogliere i tesori che Dio ha riposto negli altri. Il Papa aveva già formulato questa ricerca nell’ Evangelii gaudium : «Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi». Per fare un esempio, Martin Lutero non avrebbe forse gioito nel vedere Papa Francesco indire un anno della misericordia, insistere tanto sull’amore gratuito di Dio, rendere i cristiani attenti a non limitare mai la grazia incondizionata di Dio? Erano valori fondamentali per Lutero sui quali oggi i cristiani separati si sono già riuniti. Quello di Lund non è stato l’incontro di un ecumenismo formale, ma è stato pieno del soffio dello Spirito santo e speriamo che quello stesso soffio ispiri tutto l’anno appena cominciato. Poiché abbiamo chiesto a Dio di essere sospinti anche noi da quel soffio, abbiamo accettato di animare a maggio una preghiera a Wittenberg, città di Lutero, nel quadro del Kirchentag tedesco, e un’altra preghiera a novembre a Ginevra. Parlando dell’incontro di Lund, non posso non ricordare la visita che il Santo Padre aveva fatto l’anno prima alla chiesa luterana di Roma. In quell’occasione si era mostrato molto attento alla domanda di una donna luterana, sposata con un cattolico italiano, che gli aveva espresso il loro dolore per non poter fare la comunione insieme. Il Papa gli aveva risposto: «Io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi [...] io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme». Ponendo tali interrogativi con prudenza ma anche con chiarezza, il Papa ha riaperto una riflessione teologica che è fondamentale portare a termine per andare incontro alle nuove generazioni. Il nostro incontro europeo di Riga è stato accompagnato da un appello ai responsabili delle Chiese: le Chiese non dovrebbero osare mettersi sotto uno stesso tetto, senza aspettare che si trovi un accordo su tutte le questioni teologiche? O quantomeno sotto una stessa tenda: uscire da una concezione troppo statica dell’unità e trovare mezzi ed eventi, pur se provvisori, che anticipino già la gioia dell’unità e facciano apparire segni visibili della Chiesa di Dio, il Corpo di Cristo, la comunione dello Spirito santo. E compiere anche insieme gesti di solidarietà, essere attenti insieme alla miseria altrui, alle sofferenze nascoste, alle sciagure dei migranti, alla povertà materiale e a ogni altra sofferenza, alla salvaguardia dell’ambiente. Porsi questa domanda non significa trascurare o marginalizzare la ricerca teologica ma piuttosto invitarla a lasciarsi modificare dal cammino comune. Riunendosi, pregando insieme, come a Lund, implicitamente qualcosa delle ecclesiologie diverse viene messo in moto e si modifica. Fratel Roger ricordava a volte che, nel XVI secolo, moltitudini si erano un giorno scoperte separate le une dalle altre. E ne ricavava questo appello per il futuro: è essenziale provocare un capovolgimento che permetta a moltitudini di cristiani di scoprirsi un giorno riconciliate, in modo che si possa constatare e si possa gioire, sì, vivono già come riconciliati.

*Priore di Taizé

© Osservatore Romano - 22 gennaio 2017