Battesimi controversi · Il Belgio ricorda le vittime dei rastrellamenti del 1942 ·

Lo scorso 3 settembre, presenti il Gran rabbino di Bruxelles Albert Guig

ui e numerose personalità politiche della città, l’associazione per la Memoria della Shoah aveva organizzato una commemorazione a Bruxelles, nel quartiere di Marolles, dove 718 persone di confessione ebraica furono arrestate nella notte del 3 settembre 1942 per essere poi deportate ad Auschwitz. Nella chiesa di Notre-Dame de la Chapelle, De Kesel ha ricordato le vaste retate e i numerosi arresti di persone compiuti tra il 1942 e il 1943, specialmente a Bruxelles e Anversa. «In mezzo a quell’inferno, reti di solidarietà hanno permesso ad alcuni bambini ebrei di sfuggire alla deportazione». Durante quella bufera, ha proseguito l’arcivescovo, alcuni genitori consegnavano personalmente i loro figli a persone di confessione cattolica.

Numerosi sono gli esempi della generosità di singoli individui, parrocchie o istituzioni cattoliche, per salvare gli ebrei. Il libro di Saerens Lieven Rachel, Jacob, Paul et les autres. Une histoire des juifs à Bruxelles (Bruxelles, Éditions Mardaga, 2014, pagine 272, euro 22) cita parecchi casi di aiuto concreto. Dalla casa parrocchiale della chiesa Notre-Dame Immaculée a Anderlecht, trasformata in rifugio, molti ebrei partono verso i dintorni di Bruxelles e Malines. Il suo parroco Jan De Ridder riesce a salvare un’ottantina di giovani. O ancora, nel quartiere ebraico di Schaerbeeck, il vice-parroco di Sainte-Marie, padre Antoon De Breucker, con alcuni dei suoi fedeli inizia a salvare bambini ebrei dal 1942. Riusciranno a nasconderne 250 in vari luoghi del Brabante. In collegamento e poco distanti, altri rifugi, come la clinica Sainte-Anne, l’Istituto Saint-Joseph, il convento di Notre-Dame de l’Annonciation. A Woluwe-Saint-Pierre, nella parrocchia di Sainte-Alix, viene nominata addirittura una responsabile dell’alloggio per gli ebrei.

«Molti preti non hanno esitato a intraprendere azioni coraggiose per salvarli, talvolta a costo della loro vita. Alcuni di loro erano attenti anche a conferire ai bambini un’educazione ebraica, rispettosa della loro identità», ha sottolineato il cardinale De Kesel nel suo discorso. «Ma non vorremmo in nessun caso passare sotto silenzio quelli che, con spirito di malsano proselitismo, hanno battezzato a ruota libera, aderendo spesso alla richiesta dei genitori che pensavano — a torto — di proteggere in questo modo i loro bambini» ha subito aggiunto l’arcivescovo di Malines-Bruxelles.

«Proviamo rammarico e desideriamo chiedere perdono per quello che è sembrato, in certi casi, una violazione di coscienza approfittando dello stato di debolezza» ha dichiarato il cardinale De Kesel. Per molti cattolici, ha ammesso, «il salvataggio di vite si trasformava troppo presto in salvezza delle anime, soprattutto per i bambini che non ritrovavano i genitori. In molti casi, questi bambini sarebbero cresciuti senza avere mai un legame con il giudaismo». Un fatto, questo, che si aggiunge alla “catastrofe” della Shoah, ha deplorato l’arcivescovo di Malines-Bruxelles. È soltanto dopo la guerra che si porrà «il grave problema di restituire i bambini ebrei nascosti e “convertititi” in modo così perverso, ai loro famigliari».

La questione dell’atteggiamento di uomini e donne di Chiesa nei confronti dei bambini ebrei viene spiegata in maniera dettagliata nel libro Hidden Children of the Holocaust. Belgian Nuns and Their Daring Rescue of Young Jews from the Nazis (Oxford, Oxford University Press, 2010, pagine 224, dollari 20,95), la cui autrice Suzanne Vromen ha intervistato non solo le persone nascoste durante l’infanzia in Belgio, ma anche le donne che li salvarono e le suore che prestarono rifugio. In particolare, si sofferma sulla problematica dei battesimi. «È difficile stabilire se l’idea del battesimo fosse partita dalle suore o dagli stessi bambini. In alcuni conventi la pressione è stata debole, in altri sostenuta, o persino palese. Ci sono anche casi in cui non è mai esistita», ricorda la ricercatrice. «Resta il fatto che la salvaguardia dei bambini era una risposta umanitaria a una violenza barbarica e a situazioni durissime, e dava una occasione storica unica di salvare un grande numero di giovani anime impressionabili».

Nel suo saggio Fantasmi con una stella - La storia commovente dei bambini ebrei nascosti durante la seconda guerra mondiale in Belgio, la Neerlandese Hanne Hellemans spiega come i bambini più piccoli, sotto i sette anni, erano affidati a singole famiglie, mentre quelli più grandi trovavano rifugio nei conventi e nei santuari. Proprio lì, alcuni bambini furono attratti dal cattolicesimo, nota l’autrice. L’atmosfera mistica del Santuario di Banneux, per esempio, fece una grande impressione su di loro. Oltre a questa forza di attrazione, però, bisogna tenere presente i motivi psicologici, più o meno coscienti. I bambini ebrei avvertivano un sentimento di sicurezza perché pensavano che sarebbero stati più protetti una volta convertiti al cattolicesimo.

In questo contesto, diversi preti hanno battezzato un gran numero di ragazzi ebrei, talvolta più di cento, rileva Hanne Hellemans nel suo saggio, che contiene molti dati relativi alla seconda guerra mondiale in Belgio. In alcuni conventi, i battesimi erano quotidiani. Alcuni religiosi fecero del battesimo la condizione per poter essere nascosti. Altri preti rifiutavano di battezzare senza previo accordo dei genitori, come probabilmente lo stesso arcivescovo di Malines, il cardinale Joseph-Ernest Van Roeyl. Ma c’è anche chi rifiutò del tutto tale pratica. Il segretario del cardinale Van Roey, padre René Ceuppens, nota figura della resistenza in Belgio che svolse un ruolo importante nel salvataggio degli ebrei, non ha battezzato nessuno di loro.

A volte, il battesimo e la successiva conversione creavano un dilemma per i bambini ebrei, spiega Suzanne Vromen. Da una parte, essere battezzati significava che la strategia di salvataggio era stata completa: potevano deporre la loro stigmatizzata “ebraicità”. Partecipando ai numerosi riti, diventavano indistinguibili dagli altri bambini; ormai le stesse regole erano applicate a loro come agli altri bambini. Facevano totalmente parte della comunità del convento, essendo alla volta protetti e integrati in essa. Dall’altra parte, quando c’erano gruppi di bambini ebrei in un convento, quelli battezzati e convertiti si consideravano — ed erano considerati da quelli non convertiti — come diversi. «Talvolta questo dava loro un sentimento di separazione», conclude Vromen.

Pertanto, secondo il cardinale De Kesel, 75 anni dopo le retate a Bruxelles e Anversa, «è tuttora necessario avere il coraggio di pensare alle conseguenze drammatiche della Shoah e intraprendere un vero lavoro di memoria, senza concedere nessuna giustificazione, minimizzazione e spiegazione volta a ritenersi non responsabile». Fare memoria di queste retate e più largamente di tutti coloro che sono scomparsi a causa della Shoah — prosegue il presule belga — «significa anche chiedere perdono per tutte le altre ingiustizie di cui l’Occidente si è reso colpevole nei confronti di tanti popoli e culture, significa ammettere che l’orgoglio del sapere e del potere ha portato all’esclusione dei senza potere».

Grande la soddisfazione della comunità ebraica belga dopo la commemorazione, con un apprezzamento per le parole pronunciate dal cardinale De Kesel. «È questa la prima volta a mio avviso che il capo della Chiesa cattolica del Belgio chiede il perdono per le conversioni imposte da membri del clero a bambini nascosti», racconta il Grande rabbino di Bruxelles Albert Guigui all’Osservatore Romano. «Penso che sia importante che la Chiesa riconosca queste conversioni in un periodo tormentato, ma è altrettanto importante ricordare che molti cattolici sono annoverati nei Giusti tra le nazioni», confida. Secondo Guigui, «il cardinale De Kesel è stato molto sincero, onesto, il suo discorso traccia nuove prospettive di dialogo, purifica l’atmosfera e ristabilisce una forma di giustizia rispetto a quello che è accaduto. Ha contribuito con questo gesto forte a far progredire le relazioni tra ebrei e cattolici».

di Charles de Pechpeyrou

©   © Osservatore Romano   29.9.2017