Significato e ampiezza della misericordia divina

Coranostralci del contributo pubblicato sul numero di settembre-ottobre della rivista internazionale di teologia «Concilium» (Editrice Queriniana, 2017, pagine 197, euro 16) dedicato al tema della misericordia.  
Come mostrano i contesti dei numerosi passi coranici

corrispondenti, per misericordia divina si intende per prima cosa, in termini del tutto generali, un agire benevolente di Dio nei confronti dell’essere umano, mediante il quale Dio gli concede ciò di cui ha bisogno o anche ciò cui anela nelle situazioni in cui si viene di volta in volta a trovare, ma che egli da solo non sarebbe in grado di procurarsi. Molto spesso si tratta di essere salvati o protetti in circostanze di bisogno o di pericolo, a volte anche di essere liberati da situazioni che — come è il caso per esempio della mancanza di figli — per diversi motivi possono risultare particolarmente opprimenti. Descrivendo queste dimostrazioni misericordiose di grazia, il Corano non parla di compassione di Dio nel senso letterale di un suo con-soffrire insieme all’essere umano; però, ciò che appare sempre chiaramente è che la misericordia di Dio tiene conto, con estrema attenzione e premura, dei bisogni degli uomini. Anche se Dio non patisce insieme alle persone di cui ha pietà, emerge in maniera limpida come egli non voglia che esse soffrano o che addirittura perdano la vita. 

Nel Corano ar-Rahmān, »il Ricco in clemenza», è un nome di Dio, per la precisione un nome che proviene indirettamente dall’aramaico, con cui in origine viene recepito un modo di chiamare il Dio unico usato dagli ebrei e dai cristiani dell’Arabia meridionale in epoca preislamica. Nella fase centrale della attività di Muhammad (Maometto) alla Mecca, persino nel Corano ar-Rahmān fu momentaneamente il nome divino più utilizzato, prima che “Allāh” diventasse la norma. La gran parte dei commentatori musulmani, tuttavia, fin dall’antichità presuppone che il termine rahmān sia propriamente di origine araba, e precisamente che si tratti di un aggettivo arabo che, in linea di massima, è un sinonimo di rahīm, «misericordioso, compassionevole». La differenza tra rahmān e rahīm consiste, in base a quanto loro suppongono, solamente nel fatto che rahmān esprime la misericordia secondo un grado di intensità maggiore e che, a differenza di rahīm, questo termine può essere un attributo usato o predicato solamente in riferimento a Dio, mentre non può mai essere applicato agli esseri umani.
Il Corano conosce tre forme principali della misericordia di Dio elargite o perlomeno destinate a tutti gli esseri umani: la misericordia con cui Dio ha ordinato l’intera creazione per il bene degli esseri umani e con cui egli incessantemente procura tutto ciò che serve al loro sostentamento; la misericordia della «guida» ( hudā) divina per mezzo delle rivelazioni che Dio, nel corso della storia, non ha mai cessato di inviare mediante i profeti, allo scopo di riportare gli uomini sulla retta via, allontanandoli dai traviamenti politeistici e dalla decadenza morale, e di salvarli non solo dai tribunali di questo mondo ma anche dalla pena dell’inferno; infine la misericordia che consiste nella disponibilità di Dio a perdonare i peccati.
Innanzitutto qualcosa sulla misericordia di Dio come creatore e come provvidente (colui che provvede al sostentamento degli uomini): benché i musulmani non si rivolgerebbero mai a Dio chiamandolo Padre, secondo l’immagine di Dio rinvenibile nel Corano — e, pertanto, secondo quella che troviamo in generale nell’islam — Dio manifesta comunque dei tratti di grande attenzione e premura verso i bisogni degli uomini. In molteplici modi il Corano illustra, per esempio, come Dio abbia creato la benefica alternanza del dì e della notte per il riposo degli uomini. Allo stesso modo ha fatto il sole, la luna e le stelle che servono agli uomini come misura del tempo e come strumenti di orientamento, piante e animali a loro utili, da cui trarre cibo e vestiario, nuvole che portano la pioggia per far crescere le piante e procurare pascolo agli animali, ecc. In questo modo, Dio ha messo tutta la creazione «a servizio» dell’essere umano. Nel Corano sono ricondotti alla premurosa attività creatrice di Dio anche quegli strumenti e quei manufatti che rendono più comoda la vita umana e che, oggigiorno, sono comunemente considerati delle conquiste della civiltà umana. Così, per esempio, secondo il Corano Dio ha fatto case e tende per gli uomini, navi per permettere loro di solcare il mare, e abiti per proteggerli dalla calura — un dono speciale, quest’ultimo, nelle condizioni climatiche della penisola araba.
La concezione coranica della storia della salvezza si basa sulla convinzione fondamentale che l’islam sia la religione naturale dell’umanità, seguita già da Adamo, Abramo e Mosè, che però essa nel corso del tempo sia stata ripetutamente abbandonata dai diversi popoli, che hanno praticato l’idolatria e trasgredito i comandamenti divini. In conseguenza di ciò, la stragrande maggioranza dell’umanità sarebbe stata colpita dalla punizione divina o più tardi, al momento del giudizio finale, dalla pena dell’inferno, se Dio, per pura misericordia, non avesse sempre di nuovo ricordato agli esseri umani i princìpi della vera fede e della morale. Questa «guida» divina ebbe il suo culmine, secondo il Corano, nella profezia di Muhammad. Questa profezia, verso la fine della predicazione di Muhammad, assume dei tratti che manifestano come egli non solo rappresenti l’ultimo di tutti profeti ma, a differenza dei precedenti, sia inviato a tutti gli uomini. In una parola rivolta a Muhammad, la sua missione è definita «segno di misericordia agli umani». Altri passi caratterizzano peraltro la rivelazione coranica come «segno di misericordia».
Nella concezione coranica della misericordia divina, l’aspetto del perdono dei peccati ricopre un significato particolare: circa due terzi dei quasi centoventi passi in cui Dio è detto rahīm, «misericordioso, compassionevole», utilizzano questo epiteto collegandolo direttamente con un secondo aggettivo, vale a dire gafur, «sempre disposto al perdono». Due formulazioni molto simili del Corano evidenziano con enfasi particolare la grandezza della misericordia divina: una lo definisce come colui che «tra gli abbondanti di misericordia, è il più abbondante»; l’altra afferma: «Tra gli abbondanti in misericordia tu sei veramente l’ottimo». In entrambe le formulazioni il tema è il perdono dei peccati: la prima si trova nel contesto di una promessa di perdono, la seconda in quello di un invito a invocare il perdono divino.
Secondo la concezione coranica e in generale secondo quella islamica, in via di principio Dio perdona tutti i peccati nella misura in cui l’essere umano, finché è ancora in tempo durante la sua vita terrena, decide di pentirsi comportandosi di conseguenza — nel linguaggio del Corano, decide di operare la propria conversione (tawba). Tuttavia, la disponibilità di Dio al perdono non è infinita, né nei tempi né nei contenuti: egli accetta la conversione solo fino a quando il peccatore è ancora in grado di agire, dunque solo fino a quando potrebbe teoricamente ancora peccare, non invece quando giace sul letto di morte. Solo un peccato non viene perdonato da Dio: la «associazione (ŝirk)», vale a dire l’adorazione di altri dèi accanto ad Allāh, che viene identificata col rifiuto della predicazione monoteistica di Muhammad.

di Rotraud Wielandt

 © Osservatore Romano    5.12.2017