Cristiani e musulmani a Taizé

taize frere Alois foto catt.chTAIZÉ, 16. È «un segno di speranza poter vivere insieme simili esperienze di fraternità, pur consapevoli delle nostre differenze. Quando siamo fermamente radicati nella nostra fede, non c’è nulla da temere da un dialogo con coloro che la pensano in modo diverso, e anche la vera amicizia è possibile. È la nostra esperienza».
Il priore di Taizé, fratel Alois, parla così del secondo weekend di amicizia islamo-cristiana ospitato dal 5 all’8 luglio dalla comunità borgognona. Si è trattato di un incontro speciale: trecento giovani cristiani e musulmani hanno potuto conoscersi e creare legami di amicizia. «Nel mondo così com’è, tali opportunità di dialogo e amicizia mi sembrano essenziali. Di fronte all’aumento delle paure e della violenza che spesso sembra prendere il sopravvento — ha detto Alois — facciamo sempre la scelta della fiducia nelle nostre relazioni con gli altri. Espandete l’amicizia, non restate semplicemente nel cerchio di coloro che ci sono già vicini. Quando andiamo oltre i confini la nostra vita trova una pienezza». Domande sulla fede, sul dialogo, sulla preghiera, sulla relazione con Dio, alle quali ha risposto, fra gli altri, Ousama Nabil, docente all’università di al-Azhar al Cairo. «Si può ereditare una religione ma non si può ereditare la fede. La fede è uno scambio, una relazione personale con Dio. La preghiera, mediante la continua adorazione del cuore, è il mezzo del dialogo con Dio», ha spiegato Nabil, citando hadith , 13: «Non avrai fede finché non avrai amato per i tuoi fratelli e le tue sorelle ciò che hai amato per te stesso». Monsignor JeanMarc Aveline, vescovo ausiliare di Marsiglia, presidente del Consiglio per le relazioni interreligiose della Conferenza episcopale francese, ha riconosciuto che il dialogo è un test per la fede: «È accettare che ci sia qualcosa di vero nell’altro che forse non capisco. È accettare che Dio sia più grande di quanto pensassi», ha osservato il presule, parlando anche del rischio di confondere l’assoluto di Dio con l’assoluto di un’istituzione; il dialogo non è facile ma «crederci e partecipare con piccoli gesti rende possibile l’impossibile». Suor Mariam an-Nour, direttrice della scuola di Meshref in Libano, ha ricordato che «il contrario della violenza non è la pace tra le diverse comunità ma il legame tra i vari individui appartenenti a diverse comunità».

© Osservatore Romano - 16-17 luglio 2018