La radice e i rami selvatici

047Q07APubblichiamo ampi stralci della prefa-zione, a firma del cardinale presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, al volume Gesù Cristo e il popolo ebraico. Interrogativi per la teologia di oggia cura di Mary C. Boys, Phi-lip A. Cunningham, H. Hermann Henrix, Joseph Sievers, Jesper Svar-tvik (Roma, Gregorian & Biblical Press, 2012, pagine 416, euro 30).

di WALTER KASPER

La storia delle relazioni ebraico-cri-stiane è complessa e difficile. Accan-to a momenti positivi, in cui alcuni vescovi presero degli ebrei sotto la loro protezione contro pogrom o stermini di massa, vi sono stati pe-riodi bui, che sono rimasti partico-larmente impressi nella coscienza collettiva ebraica. La Shoah, l’assas-sinio organizzato da parte dello Sta-to di circa sei milioni di ebrei euro-pei, basato su di un’ideologia raz-ziale primitiva, è in assoluto il pun-to più basso di questa storia. L’O lo-causto non può essere attribuito al cristianesimo in quanto tale, visto che aveva anche chiare caratteristi-che anti-cristiane. Tuttavia, un anti-ebraismo teologico cristiano ha con-tribuito lungo i secoli in tal senso, incoraggiando una diffusa antipatia per gli ebrei, così che un antisemiti-smo motivato dall’ideologia razziale ha preso il sopravvento in questo modo terribile, mentre la resistenza contro l’oltraggiosa e inumana bru-talità non raggiunse l’ampiezza e la chiarezza attese. Sfortunatamente è stato necessa-rio il crimine senza precedenti della Shoah perché si realizzasse un ri-pensamento radicale. Da parte cat-tolica, la dichiarazione del Vaticano II, Nostra aetate, ha rappresentato la svolta decisiva. Essa è irrevocabile — come Benedetto XVIha chiaramente ribadito anche durante la sua visita alla sinagoga di Roma il 17 gennaio 2010. È irreversibile per il semplice fatto che le argomentazioni teologi-che centrali della dichiarazione No-stra aetate sono fermamente stabilite in due costituzioni conciliari del più alto livello: la costituzione dogmati-ca sulla Chiesa (nn. 6, 9, 16) e la co-stituzione dogmatica sulla divina ri-velazione (nn. 3, 14). Nella dichiarazione Nostra aetate due affermazioni sono particolar-mente importanti. Fondamentale è il riconoscimento delle radici ebrai-che del cristianesimo e la sua eredità ebraica. Sulla base di tali radici ed eredità comuni, come disse Giovan-ni Paolo II durante la sua visita alla sinagoga romana il 13 aprile 1986, l’ebraismo non è esterno ma interno al cristianesimo; il cristianesimo ha una relazione unica con esso. Que-sta dichiarazione ha annullato l’anti-co anti-ebraismo. La seconda affer-mazione importante riguarda la condanna dell’antisemitismo. La dichiarazione del concilio non è rimasta lettera morta: da allora molti eventi decisivi hanno cercato di tradurla in realtà. Nel 1974 papa Paolo VIha istituito la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebrai-smo, con il compito di promuovere le relazioni e la cooperazione con gli ebrei. Inoltre, in tutte le confe-renze episcopali interessate esistono comitati e iniziative di dialogo a li-vello nazionale; è cresciuta anche una fruttuosa cooperazione a livello teologico e in molte altre aree. «Set-timane della fratellanza», anniversa-ri di Nostra aetate, eccetera, cercano di mantenere vivo l’impegno della riconciliazione e del dialogo con l’ebraismo in un ambito pubblico ampio. I documenti su questo tema, che sono stati pubblicati fino al 2000, riempiono due grossi volumi per un totale di 1.800 pagine. Così i trattati Pro Judaeishanno sostituito gli antichi trattatiAdversus Judaeos. Tutto ciò mostra come sia emersa una situazione nuova e fondamen-talmente differente. Certamente do-po una così lunga storia caratteriz-zata da estraneità e in vista delle ri-manenti fondamentali differenze tra ebraismo e cristianesimo, era inevi-tabile che incomprensioni e contro-versie sarebbero emerse e continui-no a emergere. Nell’interesse di en-trambe le parti, le lettere e i collo-qui a livello ufficiale hanno potuto chiarire e sistemare in tempi relati-vamente brevi le controversie a volte accese, grazie alla fiducia reciproca cresciuta nel frattempo. Queste con-troversie hanno attirato nuovamente l’attenzione sulle differenze tra ebraismo e cristianesimo che sono fondamentali per entrambe le comu-nità. Esse vanno al di là delle que-stioni attuali e sino a oggi sono sta-te poco trattate ed elaborate. Esse trattano temi chiave come la confes-sione cristiana di Gesù come il Cri-sto (cioè il Messia) e il Figlio di Dio, che è collegata direttamente al-la comprensione trinitaria del mono-teismo biblico, il significato salvifico universale di Gesù Cristo, della sua morte e risurrezione, la libertà dalla legge e molto altro ancora. Di certo, non si tratta di dissolve-re o di relativizzare le differenze for-temente radicate su tali questioni in favore di qualche forma di sincreti-smo. Certamente, questa discussione non può comprendere alcuna forma di velato proselitismo. La base per il dialogo dovrebbe piuttosto essere la consapevolezza che ebrei e cristiani differiscano su tali questioni e si de-vono rispettare e apprezzare recipro-camente nella loro alterità. Proprio a causa del mutuo rispetto e apprez-zamento, nel nuovo clima di fiducia si è generato un obiettivo primario che deve essere quello di ridurre concretamente vecchie incompren-sioni e sviluppare possibili approcci per comprendere le posizioni dell’a l t ro . Forse per descrivere la relazione tra ebraismo e cristianesimo più di una chiarificazione concettuale è utile l’immagine che Paolo usa nella Lettera ai Romani. Egli parla della radice di Israele in cui i rami selva-tici dei gentili sono stati innestati (Romani, 11, 16-20). Questa immagi-ne, evocando il profetaIsaia (11, 1), esprime il senso della distinzione nell’unità in due modi. Da una par-te, si dice che i rami selvatici inne-stati non sono cresciuti dalla radice stessa e non possono derivare da es-sa. L’innesto è qualcosa di nuovo: è un atto irriducibile di Dio. La Chie-sa dunque non è solo un ramo, un frutto, o un germoglio di Israele. D’altra parte la Chiesa deve trarre il suo vigore e la sua forza dalla radi-ce che è Israele. Se i rami innestati sono tagliati dalla radice, si seccano, s’indeboliscono e infine muoiono. Così separandosi dalle radici ebrai-che per secoli la Chiesa si è indebo-lita. Tale debolezza si è resa eviden-te nella debole resistenza mostrata, nel complesso, alla persecuzione de-gli ebrei. È vero però anche il con-trario. Senza i rami innestati la radi-ce rimane un ceppo sterile. I rami innestati danno nuova vitalità e fer-tilità alla radice. La Chiesa ha così diffuso universalmente tra le nazioni il monoteismo di Israele e i Dieci comandamenti come nucleo della legge mosaica, e ha in tal modo contribuito al fatto che la promessa ad Abramo di essere una benedizio-ne per tutte le nazioni si è realizza-ta. Israele senza la Chiesa rischia di diventare troppo particolaristico e isolato, mentre la Chiesa senza Israele, come l’esempio del Marcio-nismo illustra chiaramente, rischia di perdere il suo radicamento stori-co e di divenire astorica e gnostica. Israele e le chiese hanno bisogno l’uno delle altre e perciò sono in un rapporto di reciproca dipendenza. Un vero ecumenismo senza Israele non è possibile.

© OSSERVATORE ROMANO - 16 GENNAIO 2013