L’amministratore apostolico del Caucaso sul viaggio del Pontefice in Georgia

Giorgia Russiadi GIUSEPPE PASOTTO *

Con il Papa qui in Georgia abbiamo vissuto delle ore bellissime: ore di sentimenti intensi, che hanno racchiuso la gioia, l’ammirazione, la commozione, il calore umano, la felicità... Questi sentimenti sono stati condivisi da tutte le persone che, spesso con gli occhi lucidi per le lacrime, hanno avuto modo di incontrare il Pontefice per pochi minuti o per qualche ora, nei diversi appuntamenti che Papa Francesco ci ha regalato in questa visita.
A lungo rimarrà nel cuore e nella mente dei georgiani — e non solo dei cattolici — questo viaggio papale che, pur breve, con la sua pienezza è riuscito a trasmetterci un messaggio sul quale dovremo a lungo riflettere e meditare. Questo messaggio, ne siamo certi, è stato indirizzato anzitutto al “piccolo gregge georgiano”, al quale il Pontefice ha rivolto parole molto significative durante l’omelia della messa nello stadio e poi nella cattedrale dell’Assunta, oltre che durante gli incontri con la comunità assiro-caldea e con gli operatori della carità nel centro camilliano. È stata dunque un’esperienza di Chiesa. E ci sono diversi motivi per essere so ddisfatti. Abbiamo avuto la possibilità di ritrovarci insieme, grazie anche ai tanti che sono partiti da lontano e hanno viaggiato tutta la notte pur di incontrare il Papa: hanno incontrato il successore di Pietro giunto proprio per loro, per confermarli nel cammino. Nello stadio si è vissuta poi l’esp erienza unica di una liturgia molto bella, che ha coinvolto anche i non cattolici presenti. Senza dimenticare il clima familiare della cattedrale, dove il Pontefice, parlando a braccio, ha risposto alle domande e ha mostrato di essere un pastore attento, che ascolta e sa indicare la strada. Infine, la festa con i più poveri e con coloro che li servono: festa perché la carità crea gioia, il servizio al dolore unisce a Cristo crocifisso ma fa gustare anche la gioia della risurrezione. Un altro aspetto fondamentale sono stati i gesti per l’unità. Abbiamo visto quanto stesse a cuore al vescovo di Roma tendere una mano di amicizia e di fratellanza alla Chiesa ortodossa, che in veste di “padrona di casa” ha fatto molto — bisogna riconoscerlo con soddisfazione — per accogliere nel miglior modo possibile l’illustre ospite. Gli abbracci tra il Papa e il patriarca catholicos hanno rivelato che i cuori di entrambi sono rivolti all’unità. E questo è un importante messaggio per una Chiesa che da un lato è custode di un’antica tradizione cristiana — con non pochi passi in avanti compiuti nei rapporti con la Chiesa cattolica — ma dall’altro registra al suo interno ancora difficoltà in questo senso. Le parole che il patriarca catholicos di tutta la Georgia, Ilia II , ha rivolto al Pontefice, sottolineando i «venti secoli di amore fraterno», assumono così un significato tutto particolare sia per i cattolici sia per gli ortodossi, soprattutto per quanti alimentano resistenze e chiusure. Questo è stato il servizio principale del Papa alla Chiesa sorella della Georgia: valorizzarla e incoraggiarla nel cammino del dialogo, che resta una scelta obbligata per entrambe le comunità. Le parole di Papa Francesco a Mtskheta, nella cattedrale di Svetitskhoveli, sono state chiarissime in questo senso. Nello stesso discorso abbiamo sentito il Pontefice parlare del battesimo, che per i cattolici della Georgia è un tema di grande importanza. Il Papa ha poi fatto volare alto il pensiero e la riflessione per noi, per gli ortodossi e per le altre confessioni. Bisognerà riprendere e approfondire bene quel discorso. Il richiamo alla pace è stato al centro del messaggio scaturito dall’incontro con il presidente della Repubblica. Con questo il Pontefice ha mostrato il suo sguardo attento e affettuoso sull’intera regione caucasica, richiamando il diritto di ogni stato a essere artefice della propria storia. Come Chiesa locale, abbiamo attinto dal discorso papale anche il riferimento alla «consolazione» per ricordare a noi stessi che la Chiesa cattolica in questa regione porta avanti la sua quotidianità, non vuole diventare “p otente” ma piuttosto essere una «casa della consolazione e della carità». Una Chiesa «che non si rinchiude nel pessimismo, di fronte alle difficoltà e a possibili insuccessi», una Chiesa che «non si abitua mai alle cose che non vanno», una Chiesa che si spende per fare e rifare passi che creino amore e fratellanza. Ora che il Papa è partito si colgono meglio le sue parole: «La consolazione non toglie i problemi, ma dona la forza di affrontarli». Anche la visita di Francesco non ha eliminato i problemi e le difficoltà, ma ci ha portato consolazione e ci ha ridato la forza di fare quei piccoli passi che vediamo possibili.

*Vescovo titolare di Musti, amministratore apostolico del Caucaso dei latini

© Osservatore Romano - 5 ottobre 2016