Non si deve tornare indietro

oikumene 2ROMA, 7. Una sfida, per tutti, «e questa sfida può mettere in conto anche una certa paura e resistenza. Ma è la nostra stessa fede a chiederci di uscire dall’isolamento. Se veramente crediamo in un Dio che è diventato carne in Gesù Cristo, in un Dio che è stato il primo a uscire fuori da se stesso, noi oggi non possiamo fare il movimento contrario».
Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana, spiega così al Sir timori e speranze del movimento ecumenico, mobilitatosi nei giorni scorsi con iniziative e progetti in occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. «Non finisce qui. Sta crescendo una sensibilità più ampia che abbraccia tutto l’a rc o dell’anno. Al di là di progetti e iniziative, è lo stile che sta cambiando», afferma don Bettega, che invita a «guardare l’altro come qualcuno da cui posso imparare e non come qualcuno a cui dare un contentino perché è ortodosso o protestante o perché ha bisogno di una sala per celebrare la liturgia o il culto». In pratica, «non si tratta di sentirci magnanimi, compiacersi per la nostra generosità, ma di prendere atto che la storia e il tempo nel quale viviamo ci obbligano a uno sguardo aperto». E avere uno sguardo aperto significa oggi «riconoscere che ciascuno di noi è chiamato a imparare dall’altro perché la verità a cui aneliamo è qualcosa che supera me cattolico, me ortodosso, me protestante e come tale va ricercata insieme». Considerazione che è poi il frutto della settimana di preghiera, con la quale i credenti si sono riconosciuti, in questi anni, sempre più come fratelli. Avere uno sguardo aperto — osserva il rappresentante della Cei — è anche «dare in uso una chiesa a una diocesi ortodossa, che sia del patriarcato ecumenico, russo o romeno. Significa riconoscere che quella comunità è diventata particolarmente numerosa nella mia città e, quindi, evidentemente bisognosa di un luogo in cui incontrarsi e celebrare». E «può diventare un’o ccasione per lavorare insieme e operare in quanto cristiani sul territorio. È il segno non tanto di una comunità cattolica che diminuisce ma di una cristianità che in Italia aumenta. Solo se riusciamo a uscire dal nostro piccolo recinto, possiamo essere grati e leggere questo fenomeno come provvidenziale». Sul cinquecentesimo anniversario dell’inizio della Riforma protestante, don Bettega spiega che «visioni discordanti e tentennamenti» in ambito cattolico vanno «capiti e rispettati». Del resto «abbiamo alle spalle cinque secoli di storia che hanno visto separazioni, guerre e reciproca diffidenza». Resta il fatto però che «Lutero non volesse spaccare e dividere la Chiesa. Se andiamo alle fonti e ai documenti, ci rendiamo conto che era volontà di Lutero riformare la Chiesa. Se poi a dispetto di questa originaria volontà, le cose siano andate diversamente e le Chiese si siano separate è un dramma di cui pentirsi e chiedere perdono. Ma, come ha detto Papa Francesco a San Paolo fuori le Mura, “guardare indietro è d’aiuto e quanto mai necessario per purificare la memoria, ma fissarsi sul passato, attardandosi a ricordare i torti subiti e fatti e giudicando con parametri solo umani, può paralizzare e impedire di vivere il presente”». L’ecumenismo «è un movimento che spinge in avanti, che mi obbliga a uscire dagli schemi. Il confronto con gli altri mi chiede di lasciare qualcosa di definito e sicuro per andare verso qualcosa che non conosco. Non sappiamo cosa vuol dire e cosa implica essere uniti. Sappiamo — conclude il direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso — che siamo incamminati verso la comunione piena di tutti i credenti in Cristo, ma come concretamente questo avvenga ancora non lo capiamo. Per questo, preghiamo perché il Signore doni unità e pace secondo la sua volontà, non la nostra».

© Osservatore Romano - 8 febbraio 2017