​Lo studio come cammino nel tempo · Nell’ultimo libro di Catherine Chalier ·

studio BibbiaUna donna si può collocare fra i Maestri d’Israele? La ricerca magistrale di Catherine Chalier ( Leggere la Torah, Firenze, Giuntina, 2017, pagine 168, euro 15) consente di farlo, individuandone il nucleo centrale e comprendendone il senso: la testimonianza di una lettura spirituale, secondo la tradizione ebraica.

Imprescindibile dalla lingua in cui i testi sono stati consegnati, perché contiene dei significati dispiegati come delle onde nel tempo e nella storia, e grazie al lettore tornano a sussultare e a muoversi. 

Una lettura molto peculiare, non fine a se stessa o di accrescimento culturale, bensì lettura che richiede l’adesione a lasciarsi trasformare, a percorrere un itinerario in cui senso e verità si rimandino l’un l’altro.
Scaturisce proprio grazie a questo un dialogo: il lettore che interroga il testo e le parole risultano vive, risvegliate dal lettore stesso.
L’autrice ha studiato per anni con Emmanuel Lévinas ma anche all’École Normale Israélite Orientale di Parigi, possiede quindi autorevolezza sperimentata per poter testimoniare un’irrigazione reciproca fra i testi biblici, i loro commentari e la ricerca filosofica. Questa formazione rigorosa diventa una guida dei testi biblici che può, simultaneamente, sostare sulla lettera della parola ma anche gustarne le numerose luci che l’abitano, come afferma lo Zohar.
Bisogna chiedersi: un libro così significativo per il passato, oltre a essere oggetto di studio critico, quale significato ha anche oggi per me?
Catherine Chalier individua e critica due possibili letture: fondamentalista e storico-critica. Ma ne propone una terza: la lettura spirituale, che può essere tanto seria e fondata quanto la scienza. La lettura fondamentalista è dannosa e viene praticata da chi, affascinato dall’origine, vuole cancellare il divenire storico e pensarlo in degrado continuo.
Nella lettura storico-critica si ignora la natura stessa del testo e non viene scrutato con i principi propri ma con altri principi estranei: non si spiega cioè perché la Bibbia sia divenuta la Bibbia mentre i testi mesopotamici non abbiano avuto simile destino.
Bisogna ascoltare la lingua ebraica, interrogarla. La Torah è un appello al lettore, se questi manca il libro risulta orfano.
La lettura spirituale «non si oppone alla ragione, non si rifà solo agli affetti, alla fantasia, al sogno o alla divagazione, essa incoraggia la ragione a mettersi in ascolto di ciò che la trascende e di cui il linguaggio del libro che studia è testimone». Una richiesta di senso che implica un lavoro su se stessi.
Il libro non trasmette però una lezione di morale ma propone lo studio, un cammino articolato nel tempo. Abramo ne è figura esemplare, l’Altissimo gli dice alzati e lek lekà, vai verso di te. Seguendolo si viaggia verso la Terra promessa, cui mai si giunge. Non si tratta di un’elevazione in senso platonico, un allontanarsi dal mondo, ma di un movimento che rende alla Terra che quindi va abitata.
Per questo Chalier non esita a considerare alcuni temi scottanti: la donna rabbino, la terra d’Israele e la stessa città di Gerusalemme, il destino del popolo ebraico e la politica. Perché la lettura spirituale non è avulsa dalla quotidianità, dal vissuto, ma coinvolta nella ricerca della pace che guarda al bene altrui.
Il postulato di uno studio spirituale di un libro santo è che la lingua in cui è scritto porta in sé un di più di significati ancora da dispiegarsi e da trasmettere, in disinteresse assoluto perché «lo studio non sia messo a servizio di qualche disegno» ma insegni «il decentramento» e conduca a delle reali scoperte spirituali. In conclusione? Lasciarsi sorprendere dalla Parola.

di Cristiana Dobner


©   © Osservatore Romano   14.7.2017