Turchia Un incontro sempre nuovo. Il Patriarca ecumenico alla delegazione della Santa Sede presente al Fanar per la festa di sant’Andrea L'Osservatore Romano

est ovest cq5dam.web.1280.1280Pubblichiamo, in una nostra traduzione, il discorso pronunciato il 30 novembre, sant’Andrea apostolo, dal patriarca ecumenico alla delegazione della Santa Sede presente al Fanar in occasione della festa del trono della Chiesa di Costantinopoli.
di BARTOLOMEO

Eminenza, amato fratello in Cristo, cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e onorevoli membri della delegazione ufficiale della Chiesa della Vecchia Roma, vi salutiamo con grande gioia nella sede apostolica del patriarcato ecumenico, al Fanar, in occasione della festa del trono della Chiesa di Costantinopoli, annuale commemorazione del santo e glorioso apostolo Andrea, il primo chiamato.

La vostra presenza qui, oggi, secondo la lunga e benedetta tradizione dello scambio di delegazioni in occasione delle feste del trono delle nostre rispettive Chiese, manifesta il vincolo di pace e di amore che ci conserva nell’unità dello Spirito (cfr. Efesini, 4, 3), ed è un simbolo del nostro comune forte desiderio di ripristino della comunione tra le nostre Chiese sorelle. Come aveva giustamente osservato il metropolita Melitone di Calcedonia, di venerata memoria, uno dei pionieri dell’istituzione di questa bella tradizione della nostra commemorazione comune dei fratelli e fondatori delle nostre Chiese, gli apostoli Andrea e Pietro, questa non è «un’azione statica di ripetizione, ma una fondazione sempre nuova, un progresso dinamico e una penetrazione verso il mistero della Chiesa, che si muove gradualmente verso la fine dei tempi», un incontro benedetto «che integra e illumina sia il nostro dialogo teologico sia le altre espressioni delle nostre relazioni fraterne», dando prominenza alla «dimensione divina di tutto il nostro impegno per l’unità» (Calcedonia, Atene, 1999, 435).
Durante la divina liturgia appena celebrata, abbiamo ascoltato la pericope del vangelo secondo Giovanni il Teologo sulla vocazione dei santi apostoli Andrea il Protocleto e suo fratello Pietro il Corifeo: Andrea «incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Giovanni 1, 41-43)». Questa relazione stretta tra i due fratelli secondo la carne è un prototipo delle relazioni spirituali tra le nostre due Chiese sorelle e un invito alla testimonianza cristiana comune nel mondo e alla proclamazione del vangelo «fino agli estremi confini della terra» (Atti, 1, 8).
Come ha sottolineato padre Georges Florovsky — che è stato definito “il decano della teologia ortodossa” nel XX secolo, del quale il quarantesimo anniversario dell’addormentarsi nel Signore è stato onorato dal patriarcato ecumenico organizzando, a Istanbul, una conferenza teologica internazionale di tre giorni intitolata «The Theological Legacy of Archpriest Georges Florovsky» (1-3 settembre 2019) — tutti i cristiani appartengono allo stesso spazio spirituale. Oriente e Occidente non sono unità indipendenti, autosufficienti e che si spiegano da sé. Non è possibile percepirli come separati, poiché hanno un passato comune, provengono da una tradizione comune che è stata gradualmente deformata e lacerata. Secondo padre Florovsky, «la tragedia della divisione è il problema più grande e fondamentale nella storia cristiana» (Patristic Theology and the Ethos of the Orthodox Church, in Topics of Ecclesiastical History, Thessaloniki, 1979, 34). Il ricordo dell’eredità cristiana comune e la comprensione della tragedia della divisione è un impulso costante al proseguimento dello sforzo per il ripristino dell’unità perduta.
Negli ultimi decenni, sulla via verso il calice comune, le nostre Chiese hanno coltivato il dialogo d’amore e il dialogo di verità. Il primo è costituito da tutti quei gesti che ci hanno avvicinato dopo l’abbraccio scambiato nel 1964 a Gerusalemme da Papa Paolo VI e dal patriarca ecumenico Atenagora, di venerata memoria. Il secondo è costituito dagli organi di dialogo teologico, che ci permettono di esaminare le tradizioni comuni sulle quali costruire il nostro futuro di comunione, studiando con onestà e rispettando le questioni che bloccano le nostre Chiese, nell’incrollabile certezza che senza una solida base teologica nella vita ecclesiastica nulla prospera. Per questo, siamo lieti di apprendere che la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra le nostre Chiese, che ormai è all’opera da quasi quarant’anni, ha compiuto progressi su un importante documento su Primato e sinodalità nel secondo millennio e oggi. Durante l’incontro del comitato di coordinamento che si è svolto nell’ospitale monastero di Bose, è stata esaminata una bozza rivista di tale documento, in preparazione dell’incontro plenario della suddetta Commissione per il dialogo teologico.
Oggi una dimensione importante del dialogo di amore e verità è l’“ecumenismo giuridico”, ovvero l’applicazione pratica dei canoni e degli altri strumenti normativi delle nostre Chiese come inscindibili dalla nostra ricerca di accordo a livello di dottrina, raggiunto attraverso il dibattito teologico, che finora è stato l’aspetto principale e dominante nel nostro dialogo. Per quanto riguarda l’importanza del diritto canonico per il progresso del dialogo teologico tra le nostre Chiese sorelle, la Dichiarazione comune di Ravenna afferma: «Perché vi sia la piena comunione ecclesiale, deve esserci, tra le nostre Chiese, il reciproco riconoscimento delle legislazioni canoniche nelle loro legittime diversità» (n. 16). Come abbiamo avuto occasione di sottolineare lo scorso settembre a Roma nel nostro discorso al 24° Congresso internazionale della società per il diritto delle Chiese orientali, i canoni non devono essere «trattati meramente come “confini” che definiscono i “limiti della Chiesa”», sempre secondo la famosa frase di Georges Florovsky (The Limits of the Church, in The Patristic Witness of Georges Florovsky – Essential Theological Writings, Brandon Gallaher and Paul Ladouceur ed., London, T&T Clark, 2019, 247-256, in 256). Abbiamo sottolineato che la tradizione canonica comune del primo millennio serve «da struttura teorica e pratica per integrare il nostro dialogo di verità e di amore istituito molto tempo fa, il nostro impegno a dire “la verità nella carità” (Efesini, 4, 15)».
Pochi giorni dopo quel discorso, il nostro fratello Papa Francesco, che abbiamo avuto la lieta occasione di incontrare e riabbracciare in Vaticano, ha convenuto sulla nostra posizione, sottolineando che il dialogo teologico tra le due Chiese sorelle ha «una dimensione anche canonica, in quanto l’ecclesiologia si esprime nelle istituzioni e nel diritto delle Chiese. È dunque chiaro che il diritto canonico non solo è un aiuto per il dialogo ecumenico, ma ne è una dimensione essenziale». E il Papa ha ricordato che il nostro dialogo teologico attuale «basandosi sul comune patrimonio canonico del primo millennio […] cerca precisamente una comprensione comune del primato e della sinodalità, e delle loro interrelazioni, al servizio dell’unità della Chiesa».
Il dialogo di verità nel “vincolo di amore” è arricchito, compreso e rafforzato anche dall’“ecumenismo dei santi”. Come ha detto lei amata eminenza, caro cardinale Kurt Koch, «l’ecumenismo dei santi è un’ottima opportunità di dialogo tra le Chiese […]. Ciò è molto importante perché la venerazione delle reliquie può aiutare a coinvolgere i fedeli nell’impegno per il dialogo. Di fatto, è bello che i leader delle Chiese s’incontrino, ma è molto importante che lo faccia anche il popolo dei credenti».
Per questa ragione abbiamo provato profonda commozione quando, lo scorso giugno, nella festa patronale della Chiesa di Roma, abbiamo appreso che sua santità, nostro fratello Papa Francesco, ci donava alcuni frammenti delle sacre reliquie del santo apostolo Pietro. In questo segno ecumenico profetico riusciamo a scorgere diversi significati profondi. L’arrivo delle reliquie del santo apostolo Pietro nella sede del patriarcato ecumenico a Costantinopoli è stato di per sé una benedizione, poiché san Pietro è una figura centrale del cristianesimo come apostolo della confessione, testimone della risurrezione e segno di speranza per tutti i cristiani.
Questo dono di nostro fratello Papa Francesco è una nuova pietra miliare sulla via dell’avvicinamento. Come ha scritto sua santità in una lettera fraterna alla nostra modestia, il suo profondo desiderio era che «alcuni frammenti delle reliquie dell’apostolo Pietro fossero» posti «accanto alle reliquie dell’apostolo Andrea, che è venerato come patrono celeste della Chiesa di Costantinopoli». Il fatto che i fratelli Pietro e Andrea siano di nuovo riuniti attraverso la presenza delle loro sante reliquie ci incoraggia a continuare con ancor più enfasi e speranza nel nostro cammino verso l’auspicata unità.
Eminenza, cari fratelli, vi ringraziamo di cuore della vostra visita e del vostro contributo alla nostra buona battaglia comune. Per favore, portate i nostri cordiali saluti fraterni e i nostri più sinceri ringraziamenti a sua santità Papa Francesco. Che il Dio onnipotente e misericordioso, attraverso le preghiere dei santi fratelli apostoli Pietro e Andrea, benedica e sostenga i nostri sforzi comuni per ripristinare la comunione tra le nostre due Chiese sorelle.

L'Osservatore Romano, 4-5 dicembre 2019