Primato e sinodalità non si escludono

francesco-bartolomeodi ANDREA PALMIERI *

Sono passati quasi quattro anni dall’ultima sessione plenaria della Commissione mista internazionale, che ha avuto luogo a Vienna nel settembre 2010, ma, nonostante questo lungo intervallo, non si può affatto affermare che il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa si sia fermato. Questi anni, infatti, sono stati dedicati alla preparazione di una bozza di documento da sottoporre allo studio dei membri della Commissione nella prossima plenaria, che, secondo quanto hanno concordato i due co-presidenti, il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Kurt Koch, e il metropolita Ioannis Zizioulas, dovrebbe tenersi il prossimo settembre a Novi Sad in Serbia. La bozza di documento è stata elaborata attraverso un lungo processo redazionale, che ha compreso innanzitutto un incontro di un Gruppo di redazione nel giugno 2011 a Creta e poi due riunioni del Comitato di coordinamento della Commissione nel novembre 2011 a Roma e nel novembre 2012 a Parigi. Il documento, il cui testo è sotto embargo fino a quando la Commissione stessa non deciderà sulla sua eventuale pubblicazione, è dedicato al rapporto teologico ed ecclesiologico tra primato e sinodalità nella vita della Chiesa a livello locale, regionale e universale. L’elaborazione del documento è stata alquanto complessa, in quanto permane una certa divergenza di approccio alla tematica in oggetto non solo tra cattolici e ortodossi, ma anche all’interno delle delegazioni. Per tale ragione, è particolarmente difficile prevedere quale sarà il risultato della prossima plenaria, che sarà chiamata a valutare la bozza di documento. Per il proseguimento del cammino intrapreso, è essenziale che ogni partecipante non pretenda che a questo stadio del dialogo il contenuto del nuovo documento corrisponda in modo puntuale ed esauriente alla formulazione della dottrina della propria Chiesa, ma sia consapevole che esso deve piuttosto esprimere, con un linguaggio innovativo che non tradisca però il deposito di fede, il consenso che fino a ora è possibile raggiungere sulla questione in oggetto. Il riflettere insieme, nella verità e nella carità, su queste tematiche iniziando da ciò che ci accomuna e senza nascondere ciò che ancora ci separa rappresenta già un passo importante di un processo non ancora giunto a termine. I documenti della Commissione mista internazionale, infatti, per loro natura, non sono dei trattati teologici nei quali è esposta la dottrina nella sua completezza sistematica. Tali documenti non hanno alcuna pretesa di presentare nuove posizioni magisteriali, ma semplicemente rappresentano il frutto del lavoro della Commissione che viene offerto alla riflessione delle Chiese di provenienza come aiuto nel cammino verso il ristabilimento della piena comunione. Saranno le autorità competenti di ciascuna Chiesa, e non la sola Commissione teologica, a giudicare quando, una volta superate tutte le divisioni, questo cammino, con l’aiuto di Dio che è il vero e unico artefice dell’unità, sarà finalmente concluso. In questa prospettiva, dunque, affrontare la delicata questione del rapporto esistente tra primato e sinodalità nella vita della Chiesa non mira a un compromesso dottrinale tra gli aspetti più forti di entrambe le Chiese, ovvero la tradizione sinodale delle Chiese ortodosse e la forza primaziale della Chiesa cattolica, ma intende piuttosto mostrare come tali fondamentali aspetti attinenti alla natura stessa della Chiesa non si escludano a vicenda, ma anzi si presuppongano l’un l’altro. Così, il dialogo teologico cessa di essere un esercizio puramente teorico e permette ai cristiani di Oriente e di Occidente di conoscere a fondo le reciproche tradizioni per comprenderle e, talora, anche per apprendere da esse, rimanendo fedeli al principio fondamentale del dialogo ecumenico, che consiste in uno scambio reciproco di doni. Da un lato, la Chiesa cattolica dovrà ammettere che non ha ancora sviluppato nella sua vita e nelle sue strutture ecclesiali quel livello di sinodalità che sarebbe possibile e necessario da un punto di vista storico e teologico e che il rafforzamento della sinodalità rappresenta il contributo ecumenico più importante della Chiesa cattolica al riconoscimento del primato del Vescovo di Roma. Dall’altro lato, ci si può aspettare a ragione dalle Chiese ortodosse il riconoscimento del fatto che un primato anche al livello universale della Chiesa non è soltanto possibile e teologicamente legittimo, ma è necessario, e che questo non è assolutamente in contrasto con l’ecclesiologia ortodossa, ma è con essa compatibile. Un significativo sostegno al dialogo tra cattolici e ortodossi è giunt0 da Papa Francesco, il quale nella esortazione apostolicaEvangelii gaudium ha caratteristicamente affermato: «Nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità. Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene» (n. 246). Una simile idea era stata espressa da Papa Francesco nell’intervista concessa a padre Antonio Spadaro, direttore de «La Civiltà Cattolica», dove il Vescovo di Roma confidava di voler «imparare» dagli ortodossi «sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità». La riflessione condivisa su come si governava la Chiesa nei primi secoli — continuava Papa Francesco — «darà frutti a suo tempo». Intanto, nelle relazioni ecumeniche, è importante «non solo conoscersi meglio, ma anche riconoscere ciò che lo Spirito ha seminato negli altri come un dono anche per noi. Camminare uniti nelle differenze. Non c’è altra strada per unirci. Questa è la strada di Gesù». È facilmente comprensibile come man mano che ci si avvicina alla questione cruciale dell’esercizio del primato nella Chiesa universale, che nel corso della storia ha rappresentato uno dei punti di maggiore disaccordo tra ortodossi e cattolici, il dialogo si faccia più complesso e i progressi diventino più lenti. Tuttavia, anche se il cammino può sembrare ancora lungo, occorre riconoscere che il dialogo sta già portando importanti frutti, tra i quali il principale è certamente quello di una ritrovata fraternità ed effettiva collab orazione. La presenza di delegazioni provenienti da quasi tutte le Chiese ortodosse e soprattutto la storica partecipazione personale del patriarca ecumenico alla solenne inaugurazione del pontificato di Papa Francesco lo scorso 19 marzo, come pure le visite al Papa del patriarca greco ortodosso di Antiochia, YuhannaX,lo scorso 27 settembre, e del patriarca greco ortodosso di Alessandria, Teodoro II, lo scorso 30 settembre, sono un segno inequivocabile del cammino già compiuto. In questa direzione, si è svolta anche l’intensa attività di contatti con le Chiese ortodosse del presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il cardinale Koch, e dei suoi collaboratori, tra le quali si possono menzionare le visite del porporato in Romania e a Mosca dove ha avuto la possibilità di incontrare rispettivamente il patriarca Daniel e il patriarca Cirillo. Un altro significativo esempio di ottime relazioni che si sono sviluppate in questi anni è la collaborazione tra il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Apostolikì Diakonia della Chiesa di Grecia per progetti di formazione culturale finalizzati a una maggiore conoscenza reciproca, che nel 2013 è cresciuta ulteriormente. L’Ap ostoloki Diakonia, infatti, non solo ha organizzato per il nono anno consecutivo un programma estivo di studio della lingua greca e di conoscenza della cultura ortodossa per studenti cattolici, ma, a partire dall’anno appena trascorso, ha deciso anche di finanziare un corso di lingua neo greca presso il Pontificio Istituto Orientale a Roma. I molti incontri realizzati e le positive esperienze di collaborazione mostrano come si aprano sempre più strade verso la piena comunione, nella legittima diversità delle Chiese locali. Lungo questo cammino, non bisogna scoraggiarsi a causa delle difficoltà che si incontrano, ma, al contrario, restando radicati in Cristo, «pastore e vescovo delle nostre anime» (1 Pietro, 2, 25), il nostro cuore si riscalderà, come avvenne per i discepoli di Emmaus, mantenendo ben viva la speranza che si compia la volontà del Signore, «che tutti siano una sola cosa» (Giovanni, 17, 21).

*Sottosegretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

© Osservatore Romano - 19 gennaio 2014