Cristiani per la pace in Pakistan

pace-preghieraISLAMABAD, 29. «Siamo stati testimoni di veri e propri bagni di sangue in passato, sono state colpite anche chiese e scuole. Abbiamo perso i nostri cari e amati nella guerra contro il terrore. Tuttavia, restiamo saldi e vicini alle nostre forze armate che combattono in prima linea. Siamo vicini alle autorità che oppongono resistenza alla violenza e al terrore». Con queste parole il vescovo di Islamabad/Rawalpindi, monsignor Rufin Anthony, si è rivolto alla comunità cristiana, che domenica scorsa in tutto il Pakistan ha osservato una giornata di preghiera per la pace. L’iniziativa, lanciata nei giorni scorsi dai cattolici, è una risposta alla crescente ondata di terrorismo che ha investito la nazione e che nelle prime settimane del 2014 ha già fatto registrare una lunga serie di episodi violenti.
La giornata di preghiera contro il terrorismo è stata anche un tributo alla memoria di due cittadini, Aitzaz Hassan, uno studente di Hangu, e Chaudhry Aslam Khan, poliziotto di Karachi, fra i massimi esperti di antiterrorismo, assassinati entrambi da estremisti islamici. Migliaia di persone nella capitale hanno aderito alla fiaccolata per la pace, durante la quale monsignor Anthony ha ricordato padre Anwar Patras, sacerdote pakistano rapito la scorsa settimana e il cui corpo è stato poi rinvenuto nel distretto di Mianwali. Il religioso ha servito a lungo le diocesi di Islamabad/Rawalpindi promuovendo iniziative nel settore dell’istruzione e sensibilizzando la popolazione nella campagna di vaccinazione contro la poliomelite. D all’inizio dell’anno, riferisce l’agenzia AsiaNews, si sono verificati nel Paese almeno una decina di gravissimi attentati per mano degli estremisti islamici e dei talebani pakistani. La maggior parte dei cittadini chiede risposte urgenti, fra cui una decisa campagna militare volta a sradicare il terrorismo “alla radice”. «Le persone — ha sottolineato padre Riaz John, sacerdote a Rawalpindi — vivono nella paura e si respira profonda incertezza per il futuro, mentre qui la gente chiede solo pace e sicurezza. Preghiamo per la pace nella regione perché vogliamo un futuro per le nuove generazioni. Un futuro libero dalla paura». La comunità cristiana della provincia di Khyber Pukthunkhawa è da un secolo presente nelle aree tribali, sebbene a distanza di tempo non goda ancora di alcuno status rinosciuto e non facendo parte di alcuna tribù. Un abitante della zona, Arshad John, conferma «la lealtà alle leggi della tribù in cui viviamo, ma non siamo mai stati accettati e nessun cristiano può essere parte di una jirga (l’assemblea che riunisce gli anziani). Viviamo come alieni nella nostra stessa terra, che abbiamo protetto per oltre cento anni». Ai cristiani non è permesso costruire chiese, pastori e sacerdoti evitano di avventurarsi in quelle zone per il pericolo di venire sequestrati o assassinati. Di recente un sacerdote è stato rapito e successivamente rilasciato dietro pagamento di una ingente somma di denaro. Padre Ilyas James, della diocesi di Peshawar, già teatro nel settembre scorso di un duplice sanguinoso attacco contro una chiesa protestante, giudica con amarezza il fatto che nemmeno nelle aree tribali la minoranza cristiana «sia riconosciuta come tribù a dispetto della sua riconosciuta “lealtà”. La Chiesa — ha detto il sacerdote — continua a pregare per le popolazioni perseguitate». Con più di centottanta milioni di abitanti (di cui il 97 per cento professa la religione ’islamica), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Circa l’80 per cento della popolazione è musulmana sunnita, mentre gli sciiti sono il circa 20 per cento del totale. Seguono per numero le presenze di indù (1,85 per cento), cristiani (1,6 per cento) e sikh (0,4 per cento). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, ma negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation che ha investito soprattutto i musulmani sciiti e i cristiani. Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità — come avvenuto a Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore nel marzo scorso — o abusi contro singoli individui, spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia che finiscono per colpire vittime innocenti, come nel caso della minorenne cristiana Rimsha Masih.

© Osservatore Romano - 30 gennaio 2014