San Giovanni XXIII, «patrono» per l’unità dei cristiani?

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Già ai tempi del Concilio esponenti delle Chiese ortodosse vedevano in Roncalli il protettore dell’ecumenismo. Un'intuizione – raccontata nel libro di Falasca - che torna attuale

da Andrea Tornielli - Vaticano

Negli anni del Concilio Vaticano II, tra i primi a riconoscere la santità di Giovanni XXIII c’erano alcuni dei più autorevoli rappresentanti delle Chiese cristiane ortodosse, che volevano addirittura proclamare il Papa buono come Santo “patrono” del cammino ecumenico. A documentarlo, anche sulla base di testimonianze processuali raccolte durante la causa di canonizzazione, è il volume appena pubblicato dalla giornalista e saggista Stefania Falasca “Giovanni XXIII, in una carezza la rivoluzione” (Rizzoli, pp. 206), che ripercorre la storia della canonizzazione di Papa Roncalli esponendo le motivazioni e le opportunità pastorali nel tempo presente che hanno portato Papa Francesco a proclamare pro gratia la piena santità del suo grande predecessore lombardo.

Giovanni XXIII, nel convocare il Concilio, si era assunto da successore di Pietro il compito di indicare a tutte le Chiese che era diventato ormai improrogabile intraprendere il cammino per ritrovare l’unità piena tra tutti i battezzati. Non si trattava – scrive Falasca - «di un ecumenismo ideologico, che vuole sorvolare su tutte le differenze ereditate dal passato, ma di un ecumenismo nella verità e nella carità». La sollecitudine per il ritorno all’unità fin da allora non si configurava come omologazione forzata, ma come «il cantiere del futuro della Chiesa». Non «qualcosa di emotivo e sentimentale», ma una prospettiva fondata «sull’unico battesimo comune e sulla stessa fede in Gesù Cristo».

Tra i primi a individuare in questa passione per l’unità dei cristiani anche un riflesso della santità personale del Papa Buono – documenta Falasca – ci furono proprio alcuni tra i più avvertiti esponenti delle Chiese ortodosse, interlocutori privilegiati nell’incipiente nuova stagione ecumenica seguita al Concilio.

 
A raccontare la sensibilità precocemente affiorata nel mondo ortodosso rispetto al dono della santità ricevuto da Angelo Giuseppe Roncalli è stato in particolare un testimone privilegiato: il cardinale olandese Johannes Willebrands (1909-2006), grande protagonista dell’ecumenismo cattolico già ai tempi del Concilio, che fin dal 1960 era stato chiamato da Giovanni XXIII a far parte del nascente Segretariato per l’unità dei cristiani, presieduto dal cardinale gesuita Augustin Bea. Nella sua deposizione al processo di canonizzazione di Papa Roncalli, citata da Falasca, Willebrands ricorda che lo stesso Patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora era stato il primo «ad applicare alla persona di Giovanni XXIII il passo evangelico: “Fuit homo missus a Deo cui nomen erat Johannes” (Venne un uomo, mandato da Dio, il cui nome era Giovanni)».

Il cardinale riferiva che «la risposta dei fratelli separati alla missione, che papa Giovanni ha compiuto allargando le braccia della Chiesa, si era concretizzata in un sentimento comune, prima di stima poi di autentica venerazione per il Servo di Dio» e segnalava come espressione di grande venerazione verso Giovanni XXIII «la pratica consolidata della visita delle delegazioni delle Chiese ortodosse alla sua tomba in Vaticano». Già all’indomani della morte di Giovanni XXIII, Atenagora riconosceva che «come capo della Chiesa animato dall’amore di Cristo, il Papa defunto, malgrado la breve durata del suo incarico, ha tracciato una nuova via conducendo al dialogo ecumenico che è, per la Chiesa, il prologo della realizzazione della preghiera sacerdotale di Cristo».



Willebrands nella deposizione processuale riferì anche che al momento in cui si parlò «fra cattolici e fratelli separati di scegliere un patrono per il movimento verso l’unità dei cristiani», i cattolici avevano proposto san Giosafat (il vescovo greco cattolico ucraino onorato come martire dell’unità con il successore di Pietro), mentre «gli stessi osservatori russi chiesero che fosse considerato come patrono del movimento ecumenico lo stesso Papa Giovanni».

Qualche anno dopo, il Metropolita di Leningrado Nikodim, figura profetica dell’Ortodossia russa, avrebbe trattato la dottrina e l’opera di Roncalli per l’unità dei cristiani nel suo diploma di teologia. Come ha scritto Enrico Galavotti nel suo libro "Processo a Papa Giovanni. La causa di canonizzazione di A. G. Roncalli (1965-2000)" (edizioni Il Mulino, 2005, 529 pagine), Nikodim difese il 15 aprile 1970 la sua dissertazione, intitolata “Giovanni XXIII Papa di Roma” presso l’Accademia teologica di Mosca. In quella tesi, il Metropolita russo qualificò Giovanni XXIII come un Prepadovnie, un santo, riconoscibile - secondo le categorie teologico-canoniche proprie della Chiesa ortodossa - per la sua conformità a Gesù, il Mite del Vangelo.



Nikodim morì d’infarto il 5 settembre 1978, a Roma, mentre stava incontrando Giovanni Paolo I. Aveva solo 49 anni ed era venuto a rappresentare il Patriarcato di Mosca nelle cerimonie e negli incontri di protocollo per l’inizio del pontificato di Papa Luciani. Prima di morire, aveva detto al nuovo vescovo di Roma parole sulla Chiesa a cui Giovanni Paolo I accennò qualche giorno dopo, durante l’udienza al clero romano: «Vi assicuro» disse Luciani «che in vita mia mai avevo sentito cose così belle…». L’interprete di quell’incontro, il gesuita Miguel Arranz, in un’intervista del 2006 aveva definito quegli anni come «un momento di grazia che passò, che la Chiesa perse». In quel tempo, senza proclami – così aveva spiegato Arranz - «il ruolo del successore di Pietro veniva allora riconosciuto nei fatti dai vescovi d’Oriente. I loro viaggi a Roma erano vere visite ad limina Petri. I regimi li pressavano e loro venivano dal Papa con la fiducia di figli, figli di una Chiesa sorella. Forse il legame del successore di Pietro con i cristiani di quelle terre avrebbe trovato la sua via per affermarsi. Forse era tutta un’illusione, ma il ritorno all’unità in certi momenti sembrava così facile...».
Adesso, Papa Francesco ha voluto che Giovanni XXIII fosse proclamato santo pro gratia, sulla base di fondati elementi e motivazioni che sostituiscono un miracolo scientificamente e teologicamente provato. Tra le considerazioni di carattere pastorale con cui il Papa argentino eleva agli altari il suo predecessore, c’è anche il riconoscimento dell’attualità della prospettiva ecumenica suggerita e avviata da Roncalli. Papa Francesco – le cui affinità con Giovanni XXIII vengono delineate nel libro in un saggio a cura di Ezio Bolis – in diversi interventi ha manifestato l’opzione preferenziale che lo spinge verso i fratelli ortodossi. Nell’intervista a La Stampa, riferendosi agli incontri già avuti con tanti alti esponenti delle Chiese d’Oriente, ha confessato: «Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l’eucaristia insieme, ma l’amicizia c’è. Ci siamo benedetti l’un l’altro, un fratello benedice l’altro». Nella Lettera apostolica Evangelii gaudium, Papa Bergoglio ha anche suggerito l’opportunità «di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi», ripetendo che dai fratelli ortodossi «Noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità».

In tale spirito, la prossima trasferta in Terra Santa per incontrare il Patriarca ecumenico Bartolomeo (a cinquant’anni dall’abbraccio avvenuto a Gerusalemme tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora), secondo Falasca non è stata concepita come una visita apostolica compiuta “in solitaria” dal Papa, ma come «un pellegrinaggio che per la prima volta si compie già in partenza in due, tra fratelli, che viene a segnare un deciso passo avanti nel riconoscimento comune di “seguire i passi di Cristo nella santa e gloriosa Sion, madre di tutte le Chiese”». Un pellegrinaggio su cui sarà possibile invocare il patrocinio di San Giovanni XXIII, canonizzato un mese prima. Nella speranza di veder riaffiorare all’orizzonte la piena unità ecclesiale e sacramentale che ortodossi e cattolici possono ritrovare solo se mettono da parte le strategie di politica ecclesiastica e riattingono – come suggeriva papa Roncalli – alla comune sorgente del Vangelo.

“Giovanni XXIII, in una carezza la rivoluzione”, di Stefania Falasca, Rizzoli, 2014, pp. 206, 17 euro.

©  vaticaninsider,   24 marzo 2014