Ponti di misericordia e carità

croce-cristianidi GABRIEL QUICKE *

Il racconto della nascita di Gesù termina con due viaggi inaspettati. Innanzitutto, quello dei tre magi che, «avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» ( Ma t t e o , 2, 12). Poi vi è la fuga in Egitto della santa famiglia, dopo che l’angelo appare in sogno a Giuseppe dicendogli: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò» (Matteo, 2,13).
Questi due cambiamenti di rotta sono l’effetto di una cattiva notizia e di un’op erazione violenta lanciata da Erode contro il bambino Gesù. Molti cristiani in Medio oriente si riconoscono anche troppo bene in quest’atmosfera minacciosa d’insicurezza e di spostamenti che circonda la nascita del Messia. Il destino della santa famiglia è rimasto quello di molte famiglie cristiane nella regione, che, per garantire un futuro ai loro figli, si vedono costrette a fare i bagagli e a partire verso luoghi più sicuri. Nel discorso tenuto davanti al Parlamento europeo, Papa Francesco si è riferito alle «numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti». Davanti alle terribili atrocità compiute in Medio oriente e più particolarmente in Siria e in Iraq, la comunità mondiale è chiamata a sviluppare nuove forme di solidarietà. Occorre risvegliare la consapevolezza di quella che è la situazione reale e comunicare in maniera veritiera ciò che accade in tali regioni. Negli ultimi dieci anni si è intensificato il fenomeno della diaspora delle comunità cristiane provenienti dal Medio oriente. Questa nuova realtà rende necessario costruire ponti di solidarietà e di carità, stimolando uno spirito di comunione e un ecumenismo di vita e rafforzando il legame che unisce queste comunità della diaspora e quelle rimaste nel Paese natale. Poiché l’ecumenismo non è soltanto uno scambio di idee ma anche uno scambio di doni, è possibile trovare molti diversi modi per promuovere uno scambio a livello di cultura e di lingua, a esempio tramite lo studio della lingua araba e siriana e una migliore comprensione della tradizione liturgica orientale. In molti luoghi, la Chiesa cattolica ha offerto ampia assistenza alle comunità della diaspora, principalmente permettendo loro di usare per il culto edifici ecclesiastici. Questa collaborazione è molto apprezzata e dovrebbe essere ulteriormente cementata. Rappresentanti della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse orientali si sono riuniti dal 27 gennaio al 3 febbraio 2014 nel Kerala (India meridionale). La Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali era co-presieduta, da parte cattolica, dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e, da parte ortodossa, dal metropolita Bishoy di Damiette, della Chiesa ortodossa copta. La Commissione è stata ospitata da Baselios Marthoma Paulose II , catholicos dell’Oriente e metropolita della Chiesa ortodossa sira malankarese. I membri hanno proseguito il loro studio sul modo in cui la piena comunione tra le Chiese era espressa nei primi cinque secoli, con un’attenzione particolare allo sviluppo delle varie preghiere eucaristiche (anafore) nella Chiesa primitiva e all’importanza dei pellegrinaggi. Ispirandosi agli interventi presentati, la Commissione ha continuato a lavorare alla bozza di un documento intitolato The Exercise of Communion in the Life of the Early Church and its Implications for our Search for Communion Today . Dal 1989, due dialoghi paralleli hanno luogo una volta all’anno in Kerala, uno con la Chiesa sira ortodossa malankarese e l’altro con la Chiesa ortodossa sira malankarese. Questi dialoghi si occupano principalmente di questioni legate a tre tematiche: la storia della Chiesa, l’ecclesiologia e la testimonianza comune. La delegazione cattolica comprende rappresentanti della Santa Sede, guidati dal vescovo segretario del Pontificio Consiglio, Brian Farrell, e membri di Chiese di rito diverso: latino, siro-malabarese e cattolico siro-malankarese. La Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa sira ortodossa malankarese si è riunita presso il centro di spiritualità di Manganam, Kottayam, il 3 dicembre 2014. L’incontro era co-presieduto da monsignor Farrell e dal metropolita Kuriakose Mar Theophilose, vicario patriarcale in Germania, Svizzera e Austria. Nel corso della riunione, si è discusso principalmente del ministero petrino nella tradizione liturgica latina e nella tradizione liturgica siriana e si è poi riflettuto su come le Chiese ortodosse orientali vedono il documento prodotto dalla Consultazione teologica ortodossa-cattolica nordamericana intitolato Steps Towards A Reunited C h u rc h . Subito dopo, dal 4 al 5 dicembre scorsi, nello stesso luogo si è tenuto l’incontro della Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa sira malankarese, co-presieduta da monsignor Farrell e dal metropolita Gabriel Mar Gregorios, presidente del dipartimento per le relazioni ecumeniche della Chiesa ortodossa sira malankarese. Vari punti erano all’ordine del giorno della riunione, compresa la commemorazione dei venticinque anni di dialogo e la preparazione della pubblicazione dei documenti prodotti dal 2001 a oggi. Due interventi sono stati presentati sull’op era dello Spirito Santo nel contesto multireligioso dell’India. Il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente ha prodotto molti buoni frutti. Papa Giovanni Paolo II e il patriarca Mar Dinkha IV hanno firmato, l’11 novembre 1994, una dichiarazione cristologica comune che ha aperto nuovi orizzonti sia per il dialogo teologico che per la collaborazione pastorale. In seguito a ciò, sono state programmate dalla Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente due ulteriori fasi: la prima sulla teologia sacramentale e la seconda sulla costituzione della Chiesa. La prima fase di dialogo si è conclusa con un ampio consenso su questioni sacramentali; un documento finale è stato presentato, per approvazione, alle autorità di entrambe le Chiese. Alcuni problemi sono tuttavia insorti a causa del passaggio alla Chiesa cattolica di uno dei vescovi assiri più attivi nel processo di dialogo. Il Pontificio Consiglio ha ricevuto una delegazione assira; in tale occasione, sono stati fatti alcuni passi nella direzione di una ripresa del dialogo. Mar Dinkha I V , catholicos-patriarca della Chiesa assira dell’Oriente, si è recato in visita a Roma dal 1° al 4 ottobre 2014 per incontrare Papa Francesco. Durante la sua permanenza è stato ricevuto anche dal Pontificio Consiglio dove sono state tenute conversazioni per riflettere sulla seconda fase del dialogo, al fine di assicurarne la continuità e in vista della preparazione della firma di una dichiarazione comune sulla «vita sacramentale». Si è parlato anche della necessità di definire una metodologia e un programma di massima per la terza fase del dialogo sulla natura e sulla costituzione della Chiesa. Entrambe le parti sono intenzionate a proseguire il cammino i n t r a p re s o . Le Chiese ortodosse orientali, con circa cinquanta milioni di fedeli in tutto il mondo, sono giustamente consapevoli della loro lunga storia e della loro sopravvivenza in circostanze spesso molto difficili e ostili. Esse meritano il rispetto delle altre Chiese, della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse. Uno dei frutti del dialogo è la capacità di comprendere il mondo altrui e l’altrui punto di vista, conoscendo e apprezzando l’altro sempre di più. La ricca diversità delle Chiese ortodosse orientali, con i loro costumi, i loro riti, la loro teologia e la loro spiritualità, ci ricorda che l’unità cristiana non significa uniformità, ma unità nella diversità, diversità nell’unità. Il concilio Vaticano II sottolinea che in Oriente il cammino ecumenico dovrebbe essere segnato in primo luogo dalla «preghiera, l’esempio della vita, la religiosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi» ( Orientalium Ecclesiarum , 24). La regione di origine delle Chiese ortodosse orientali ha molti luoghi sacri con una ricca tradizione culturale e spirituale. I monasteri di Wadi al-Natrun in Egitto, il monastero di Mor Gabriel a Tur Abdin, Deir Mar Musa in Siria, la valle di Qadisha in Libano, il monastero di Khor Virap in Armenia non sono rovine morte, ma pietre vive piene di una presenza orante e di un silenzio adorante. Sono un appello lanciato dall’O riente cristiano all’Occidente a rendere testimonianza attraverso il segno della croce, a rafforzare la fede nel Signore risorto, a costruire ponti di misericordia e di carità.

* Officiale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

© Osservatore Romano - 21 gennaio 2015