La vita a Taybeh: intervista a padre Raed Abusalhia

“Sono cittadino del mondo ma originario di un piccolo villaggio a nord della Palestina, vicino a Jenin, nei territori palestinesi occupati. Dunque, fortunatamente o sfortunatamente, sono arabo e palestinese, cristiano e cattolico e sacerdote nello stesso tempo. So che per voi è una situazione complicata ma tutto questo fa parte della mia identità.’ A parlare così è don Raed Abusalhia, parroco di Taybeh-Efraim (www.taybeh.info), un villaggio che si trova sulla antica via che da Gerusalemme scende a Gerico. Taybeh-Efraim, oggi abitata da milletrecento persone, residuo di una emigrazione forzata che, negli ultimi quarant’anni, ha portato lontano dal paese ben ottomila persone, è citata nella Bibbia come una città rifugio ed è il luogo, secondo il vangelo di Giovanni, dove Gesù si nasconde dopo aver resuscitato Lazzaro (Gv 11,54).

La particolarità di questo villaggio arabo – posto su un rilievo a novecento metri, circondato da trentamila olivi, a trenta chilometri da Gerusalemme e non lontano dal deserto di Giuda – è di essere l’unico e l’ultimo villaggio interamente cristiano della Palestina. Le persone che incontro fuori dalla chiesa latina dopo l’Eucarestia domenicale mi raccontano con orgoglio che i loro antenati sono stati evangelizzati da Gesù stesso e che la presenza cristiana è senza interruzioni da duemila anni. Latini, melchiti e ortodossi – le tre comunità cristiane presenti a Taybeh – convivono in forme pacifiche. A differenza di gran parte degli altri villaggi, dove i cristiani costituiscono una piccola minoranza, le tre chiese si sono accordate per celebrare insieme il Natale (25 dicembre, calendario gregoriano-latino) e la Pasqua (calendario giuliano-ortodosso). “Teniamo molto a questa unità – mi dice don Raed – per vivere quello che qui chiamiamo l’ecumenismo della vita. Lasciamo ai grandi teologi accordarsi sulle questioni fondamentali. Anche se forse non basteranno un paio di vite per farlo …”

Viaggiando per la Terra Santa si ha l’impressione che i cristiani siano sempre meno. La loro presenza è a rischio? I pellegrini visiteranno musei ma non incontreranno più cristiani?

Si rassicuri: noi siamo qui da duemila anni e intendiamo restarci. La nostra importanza e dignità non proviene dal numero ma dalla qualità della nostra presenza e testimonianza. Abbiamo la pretesa di essere la continuazione della prima comunità cristiana, la memoria viva – sui luoghi di Gesù di Nazareth – dell’Evangelo. Questo vuol dire che i cristiani – anche a prezzo di tanta sofferenza – hanno garantito la continuità e hanno potuto mantenere la fede viva in questa terra. Dunque, non abbiate paura. Noi rifiutiamo il termine stesso di “minoranza’ perché suona male: non siamo deboli, stranieri o perseguitati, siamo figli di questo paese, di questa terra, di questa storia e rimarremo qui per l’eternità.

Ciò non toglie che i problemi siano tanti …

E’ vero. Sono parroco a Taybeh da sette anni e, all’inizio, tutte le volte che sentivo una famiglia o una persona che voleva partire, andavo da loro chiedendo di rimanere, dicendo che avremmo avuto giorni migliori e che la situazione sarebbe cambiata. Tutti mi rispondevano allo stesso modo: “Noi amiamo la nostra terra, vogliamo rimanere ma manca un lavoro, non c’è futuro..’. La nostra avventura è quindi cominciata con l’olio d’oliva. Qui attorno ci sono trentamila alberi d’olivo: quando sono arrivato c’era olio dappertutto, al punto che la gente pagava la scolarità dei bambini con l’olio. A Natale ho trovato nel corridoio della scuola 800 bidoni: 10 tonnellate… Ho chiamato allora alcuni amici che avevo in Europa e ho avuto risposta positiva dalla Francia: una centrale di commercio equo e solidale si è impegnata a distribuire l’olio – quasi cinquanta tonnellate! – in duemilacinquecento “botteghe del mondo’ sparse su tutto il territorio francese. Bisognava poi migliorare la qualità in modo che potesse rientrare negli standard europei. Grazie ad un contributo reso possibile dall’otto per mille della CEI, abbiamo comprato un frantoio moderno e da cinque anni diamo lavoro a dieci giovani, controlliamo la qualità, compriamo l’olio dei villaggi vicini e abbiamo depositi per 120 tonnellate. Siamo poi riusciti ad ottenere dall’Europa l’esonero delle tasse, un privilegio che la Comunità Europea aveva offerto sino ad allora solo alla Tunisia. Infine, volevamo trasformare il prodotto in un messaggio di pace. Ho studiato molto la nonviolenza e la mia tesi dottorale riguardava il concetto di nonviolenza nella cultura islamica. Ho scoperto che tutte le religioni – anche quella cristiana – parlano di pace e predicano l’amore, ma, in pratica, il loro problema è che spesso non sanno viverlo. In nome di Dio hanno fatto e giustificato guerre e massacri. E anche qui in Israele e Palestina tutti dicono di volere la pace ma il termometro segna lo zero. Con il governo Netanyhau siamo scesi addirittura a trenta gradi sotto zero! Ci siamo convinti che dobbiamo utilizzare l’ultima arma a nostra disposizione per chiedere la grazia della pace: la preghiera. Abbiamo proposto di mettere una lampada della pace che fabbrichiamo qui a Taybeh a forma di colomba in ogni chiesa del mondo. A due condizioni: la prima è di pregare per la pace in Terra Santa, la seconda di usare l’olio della Terra Santa per illuminarla. Per trasformare la lampada, l’olio e la luce in un messaggio di pace e solidarietà. Mentre chi governa spende miliardi per distruggere il mondo, noi qui al villaggio produciamo lampade, diamo lavoro a decine di persone che cosi prendono un salario mensile fisso, spediamo, ogni anno, venticinquemila lampade in ogni paese. La nostra strategia è di mettere centomila lampade in centomila mila chiese in 5 anni nei 5 continenti… Se lo facciamo, se tutti pregheremo per la pace, il Signore dovrà ascoltarci: non avrà più scelta..

Istruzione, lavoro, casa: i capisaldi per frenare l’emigrazione …

Per dirla con una battuta, siamo stati rovinati da San Paolo con la sua colletta per la chiesa madre di Gerusalemme. Noi cristiani di Terra Santa non vogliamo restare mendicanti, dipendere dagli altri. La nostra gente ha voglia di lavorare e sa creare prodotti di qualità. Ci siamo dati da fare: abbiamo allestito la scuola del Patriarcato latino (450 studenti, dall’asilo nido al liceo; un terzo degli allievi più piccoli iscritti è musulmano e arriva dai villaggi vicini), c’è una casa di accoglienza per chi è di passaggio (dedicata a Charles de Foucauld, che nel suo peregrinare fece tappa a Taybeh), un centro medico (raggiungere il vicino ospedale di Ramallah, in tempi di checkpoint e strade chiuse è spesso impossibile anche per gli ammalati) e, ultima arrivata, una casa di ricovero per anziani. Quest’ultima è la nostra risposta al muro di separazione che gli israeliani hanno eretto perché è impossibile raggiungere la casa di prima. Molti di noi non possono andare nelle città vicine per vie dei posti di blocco. Ce ne sono 520 e impediscono di muoverci liberamente. Abbiamo assistito a quella che chiamiamo la “fobia del parto’: negli ultimi sei anni, ci sono stati 76 casi di parti nei posti di blocco, 24 dei quali conclusi con la morte del bimbo o della madre, perché nemmeno le autoambulanze potevano passare. Mi dispiace dire che in questo paese non è più importante la persona umana: conta solo il passaporto, la carta di identità.

Qualcuno può accusarla di occuparsi troppo di questioni terrene …

Credo che una chiesa di Gesù Cristo che non possa o non voglia rispondere a bisogni urgenti degli uomini del proprio tempo, non sia una chiesa evangelica. Non si può tacere di fronte alla povertà, non si può tacere di fronte all’ingiustizia. Ce lo chiede Gesù stesso! Nella mia azione pastorale mi sono ispirato al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù dice ai discepoli: “Date da mangiare.’ Loro non sanno cosa fare. Solo un bambino si presenta e offre loro cinque pani e due pesci ed è con questi che il Signore fa il miracolo. Nei vangeli ci sono cinque racconti di questo episodio. In quattro, Gesù chiede: “voi che cosa avete da darmi?’ Mi sono spesso chiesto: “Gesù non poteva fare il miracolo senza i cinque pani e i due pesci?’ Gesù vuole il contributo dell’uomo, anche se piccolo e apparentemente insignificante. Ciascuno di noi deve essere come il bambino del racconto. Poteva tenersi per sé ciò che aveva. Invece l’ha offerto e gli è stato restituito il centuplo. Per tutti.

Il destino della Terra Santa, lei ripete spesso, riguarda tutti i cristiani …

E’ così! Riguarda noi che viviamo qui ma anche tutti i cristiani e le chiese del mondo. Per una semplice ragione: la vostra fede è nata qui il giorno della resurrezione, qui è la tomba vuota. Per questo, dovete sentirvi cittadini di Gerusalemme, perché, come diceva il patriarca Michel Sabbah, ogni fedele ha due luoghi d’origine: la città dove è nato e battezzato, e Gerusalemme, perché come leggiamo nel salmo 86: “Si dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda’. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: “Là costui è nato’. E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti’.

Gerusalemme è dunque l’ombelico del mondo …

Quando ci sarà la pace a Gerusalemme ci sarà pace in tutto il mondo perché Gerusalemme è, insieme, la porta della pace e la porta della guerra. Il problema non è in Afghanistan, non è in Iraq o in Iran, il problema è qui e si chiama Gerusalemme. I Grandi del mondo stanno perdendo tempo.. Obama pare aver chiuso la politica di guerra di Bush. Pensi all’Iraq: 500 miliardi di dollari spesi, cinquemila soldati americani morti, cinquantamila feriti, un milione di iracheni uccisi, moltissimi fuoriusciti dal paese e tra questi migliaia di cristiani che abitavano da sempre pacificamente quelle terre. Il mondo da allora non è più tranquillo perché il problema, lo ripeto, non è lì ma a Gerusalemme. Qual è il nostro compito come cristiani, in queste terre martoriate da quarant’anni di occupazione israeliana? E’ di essere ponte. Tra palestinesi ed israeliani, tra mussulmani ed ebrei, tra occidente ed oriente. Questa terra, come più volte ha affermato Giovanni Paolo II, ha bisogno veramente di ponti. Non di muri.

Allora non bisogna avere paura a venire come pellegrini in Terra Santa …

Assolutamente. Lo scorso anno è venuto a trovarmi, qui a Taybeh, l’arcivescovo di Lourdes. Gli ho detto: eccellenza, ogni anno, otto milioni di pellegrini vengono a Lourdes. Dica ad almeno un milione di loro di venire in Terra Santa. Lui, sorridendo, mi ha detto di non dimenticarmi che Lourdes è Lourdes. Io gli ho risposto di non dimenticarsi che Gerusalemme è Gerusalemme.. E poi ho aggiunto: lì da voi la Madonna è apparsa alcune volte, in una grotta, centocinquant’anni fa. Qui, per più di trent’anni, abbiamo avuto la Madonna e tutta la sua famiglia …
www.progettoterrasanta.org/Taybe.asp
Intervista a cura di Daniele Rocchetti

© http://www.bocchescucite.org/ - 16 gennaio 2011