Iraq, con i cristiani si colpisce la democrazia

Paolo Pegoraro
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Il dolore condiviso «può costituire un vincolo profondo, rafforzando la determinazione dei musulmani e dei cristiani a lavorare per la pace e per la riconciliazione»: con queste parole papa Benedetto XVI si era rivolto ad Habeeb Mohammed Hadi Ali Al-Sadr, nuovo ambasciatore dell’Iraq presso la Santa Sede, lo scorso 2 luglio. Parole profetiche, che aleggiano nella cerimonia svoltasi presso il Consolato iracheno in Italia il 10 dicembre, quaranta giorni dopo la strage nella chiesa di Santa Maria della Salvezza. Là dove – sottolinea Al-Sadr – il sangue delle vittime cristiane si è mescolato con quello musulmano delle forze di sicurezza che, irrompendo nell’edificio, hanno permesso la liberazione di 120 persone. «Credetemi – afferma nel suo discorso ai feriti – il mio popolo non può respirare la sua irachenità se non con due polmoni, quello islamico e quello cristiano. Un Iraq senza cristiani è un Iraq privo di identità».

Eccellenza, la cattura dei terroristi che hanno pianificato l’attentato alla chiesa comprende anche il Governatore di Baghdad, Adifa al-Batawi. Perché queste azioni così mirate?
Questi attacchi vogliono impedire la costruzione del governo iracheno e far cambiare idea a quanti sostengono la democratizzazione del Paese, oltre che sfregiare l’immagine della nostra comunità così plurale e impaurire le compagnie europee impegnate nella ricostruzione. Purtroppo i terroristi hanno capito che attaccando i cristiani attirano l’attenzione dei media mondiali, mentre quando colpivano gruppi di sunniti o sciiti – quantitativamente superiori – nessuno li considerava. E hanno avuto gioco facile. Dietro vi è Al Qaeda con l’aiuto dei sopravvissuti del Partito Baathista di Saddam. E chi finanzia questi attacchi sono i Paesi circostanti all’Iraq, dittature caratterizzate da un partito unico e una maggioranza religiosa assoluta, che temono il processo di democratizzazione. L’attacco ai cristiani va inteso all’interno di un piano più grande, altrimenti dovremmo ipotizzare che ogni cristiano in Medio Oriente sia un obiettiivo preferenziale, mentre hanno colpito i cristiani del nostro Paese precisamente in quanto iracheni.

Tuttavia, proprio mentre il Primo Ministro Al-Maliki sta formando il nuovo governo, da Wikileaks trapela che l’Iran avrebbe finanziato occultamente gruppi politici iracheni...
Come dicevo, il cambiamento di governo in atto preoccupa tantissimo i Paesi confinanti, tuttavia in questo momento il nostro governo non vuole creare ulteriori problemi e desidera risolvere le difficoltà con questi Paesi attraverso un dialogo positivo. Il nuovo Iraq vuole dimostrare di aver dimenticato le guerre precedenti e di voler portare avanti buoni rapporti con gli altri Paesi per il bene comune, che passa anche attraverso l’aiuto per la ricostruzione, per il risollevamento della cultura e per la ripresa economica.

All'inizio del 2000 era programmata la visita in Iraq di Giovanni Paolo II, poi annullata. Lei ora ha rinnovato questo invito a papa Benedetto XVI: ma il vostro Stato è in grado di garantirne l’incolumità?
Nonostante tutto, negli ultimi anni la sicurezza è nettamente migliorata e non bisogna pensare che tutte le città dell’Iraq siano insicure. Ur, il paese di Abramo, è una regione sicurissima. Se il Papa volesse venire in pellegrinaggio partendo da Ur, al sud, il governo iracheno prenderebbe tutte le misure necessarie per garantirne il successo. Per dire quanto è aumentata la sicurezza nel Paese, a marzo l’incontro della Lega Araba si svolgerà a Baghdad e vi sarà anche un torneo sportivo per i Paesi del Golfo: la vita si svolge normalmente, per il momento.

Benedetto XVI in Iraq come Giovanni Paolo II a Sarajevo?
Il Papa è sempre presente a sostenere le vittime di ogni Paese. Una visita di papa Benedetto XVI in questo preciso momento sarebbe un gesto davvero molto forte e importante per l’Iraq. Sarebbe un messaggio per tutti gli iracheni, perché il Papa sostiene tutto il popolo iracheno, non solo i cristiani. Sarebbe un messaggio per tutto il Medio Oriente, per tutti i cattolici del mondo, per tutti i credenti nel mondo. Significherebbe affermare che qui, dove sono nate tutte le religioni, è possibile che esse continuino a convivere.

La maggioranza degli attentati in Iraq è stato rivolto contro moschee sciite, e questo ha fatto pensare a un legame dei terroristi con il waabismo dell’Arabia Saudita…
Noi non vogliamo dire che un Paese è colpevole né fare nomi, ma in arabo abbiamo un detto: “Il saggio comprende dai segni”. Continuo tuttavia a dire che non si tratta di un conflitto religioso, perché gli attentati sono stati perpetrati contro i musulmani – e in misura molto più ampia – prima che contro i cristiani. La loro finalità è molto chiara ed è abolire il processo democratico in Iraq. Ma il popolo iracheno sta dimostrando la sua determinazione nel volere una forma di governo nuova, che non lo faccia tornare all’èra della dittatura e delle fosse comuni.

Si è parlato più volte di concentrare la minoranza cristiana in alcune “zone sicure”: lei condivide questa ipotesi?
È una possibilità prevista dalla Costituzione irachena: è un loro diritto nel caso lo richiedano, come hanno fatto i curdi per il Kurdistan. Tuttavia i cristiani non vogliono essere esclusi, vogliono rimanere mescolati con tutti gli altri.


Come valuta l’invito che lo sceicco Faid al-Shamri, presidente del consiglio regionale del Najaf, ha rivolto ai cristiani affinché si stabiliscano nella sua regione?
C’è un coinvolgimento molto forte verso i cristiani iracheni, per questo i capi religiosi li stanno richiamando anche nelle loro città, perfino nel Najaf, che è una regione molto religiosa. Anche il Presidente del Kurdistan ha suggerito ai cristiani di spostarsi al nord finché la situazione non si stabilizza. Questi capi vogliono che i cristiani, pur dovendo momentaneamente abbandonare le loro case, non lascino le frontiere dell’Iraq, perché ogni cristiano che lascia l’Iraq è un regalo ai terroristi. Per questo chiediamo alla Santa Sede d’incoraggiare i cristiani a rimanere, nonostante i gravi sacrifici che questo richiede loro. Ma sono sacrifici che stanno affrontando tutti gli iracheni.

© http://www.labussolaquotidiana.it/ita/home.htm - 20 dicembre 2010