Dalla Terrasanta all'Iraq, cento anni di violenze

Camille Eid
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TERRASANTA

Meno di un secolo fa, alla vigilia della Prima guerra mondiale, i cristiani costituivano il 9,6 per cento della popolazione residente tra il Giordano e il Mediterraneo. Oggi sono meno del 2 per cento, ossia circa 180 mila fedeli, divisi tra Israele (circa 130 mila) e i Territori palestinesi (50 mila). I cristiani appartengono principalmente alle Chiese latina, greco-ortodossa e greco-cattolica, ma ci sono anche maroniti, armeni e protestanti. Il 98% dei cristiani vivono nei centri urbani: Nazareth (20 mila fedeli), Haifa (16 mila), Gerusalemme (15 mila), Giaffa (5 mila), Betlemme e dintorni (Beit Jala e Beit Sahur) e Ramallah.


Le conseguenze dirette del conflitto tra palestinesi e israeliani che non sembra trovare alcuna soluzione a breve termine sono il principale problema della comunità locale. In Israele, il governo frappone ostacoli al rilascio di visti ai religiosi stranieri inviati sul territorio, recando danno al buono svolgimento del lavoro pastorale della Chiesa, mentre nei Territori palestinesi si assiste a una forte crescita del fondamentalismo islamico e il deterioramento della situazione economica. Con il risultato che molti  cristiani  si trovano costretti a emigrare. Solo nella prima guerra arabo-israeliana (1948) sono scappati 55 mila cristiani su 726 mila profughi palestinesi. Da allora, altri 200 mila cristiani sono emigrati verso altre terre, provocando non pochi disagi sul piano sociale: invecchiamento e indebolimento della comunità locale, e difficoltà per le donne di trovare uno sposo cristiano. Con una normale crescita demografica, i cristiani di Gerusalemme, che contavano 30 mila persone nel 1948, oggi sarebbero dovuti diventare 120 mila. Nello stesso periodo i cristiani di Betlemme sono passati dal 75 per cento (6 mila su 8 mila abitanti) a un quarto (12 mila su 50 mila). La scomparsa di queste comunità riduce la speranza che si stabiliscano nella regione i valori di una società aperta, pluralista e civile. L’elemento cristiano è, infatti, tra i pochi a favorire e garantire principi di moderazione nello scontro politico-religioso che dilania la regione. Il suo ridimensionamento è una perdita per il processo di pace.


GIORDANIA

I cristiani sono tra 130 e 150 mila, poco più del 2 per cento della popolazione (palestinese e giordana) residente oltre il Giordano. Vivono perlopiù nelle città: Amman e le sue periferie, dove sono concentrati i due terzi dei cristiani, Zarqa (30 mila cristiani su 50 mila abitanti), Salt, Ajloun e Irbid. Pochi, invece, sono i villaggi parzialmente cristiani, come nei distretti di Kerak, Zarqa, Madaba e Balqa, eredi dell`antico sostrato tribale arabo-cristiano anteriore alla conquista islamica. La situazione dei cristiani è stabile grazie a una libertà di culto garantita e alla vigilanza della famiglia regnante hascemita, ma il fatto che in Giordania - a differenza di altri Stati mediorientali - non prevalga una determinata comunità offre un`immagine di frantumazione del cristianesimo agli occhi dei musulmani. I cattolici, che contano circa 60 mila fedeli, sono divisi tra latini (30 mila), greco-cattolici (10-15 mila), maroniti e siro-cattolici, senza contare le migliaia di fedeli caldei scappati dal vicino Iraq, che in Giordania aspettano di poter raggiungere l`Occidente. Tra le comunità non cattoliche, predomina quella greco-ortodossa (circa 50 mila fedeli), seguita dalle varie comunità protestanti (5 mila fedeli), armeni e siriaci.

A livello istituzionale, ai cristiani è garantita una rappresentanza al Parlamento di 9 seggi su 80, di gran lunga superiore alla loro proporzione numerica. Altri seggi di nomina reale sono inoltre riservati ai cristiani nel governo e al Senato. Il peso dei cristiani è più mitigato nel settore educativo. Le scuole cristiane possono sì fare catechismo, ma devono obbligatoriamente assicurare agli studenti musulmani l'insegnamento della religione islamica. Anche qui è sentita la questione del calo demografico. Alla vigilia del Secondo conflitto mondiale, i cristiani erano 25 mila, il 5 per cento dei 455 mila abitanti dell'allora Emirato di Transgiordania. Negli anni Settanta, la percentuale è salita al 9 per cento (160 mila su un milione 700 mila) con l`arrivo di rifugiati cristiani dalla Palestina. Da allora, si assiste invece a un lento declino dovuto a un`emigrazione che il tasso di crescita non riesce a compensare.

LIBANO

In tema di libertà religiosa, la situazione dei cristiani in Libano è molto migliore rispetto ai Paesi vicini. Infatti, il sistema confessionale in vigore nel Paese dei cedri prevede, oltre alla ripartizione delle cariche istituzionali più importanti dello Stato tra le tre principali confessioni religiose (presidente della Repubblica maronita, premier sunnita, presidente del parlamento sciita), anche una ripartizione dei seggi parlamentari e delle cariche ministeriali, divisi equamente tra cristiani e musulmani. I cristiani appartengono a una dozzina di denominazioni: sono in gran parte cattolici maroniti, seguiti da greco-ortodossi, armeni, greco-cattolici e altre comunità minori. La parità istituzionale non  rispecchia tuttavia la situazione di fatto, visto che i cristiani contano, nella migliore ipotesi, un milione 600 mila su 4 milioni di abitanti, ossia il 40 per cento della popolazione, allorché erano il 55 per cento sessant'anni prima. Il ruolo della Chiesa locale, in particolare quella maronita, è ancora determinante e le istituzioni religiose godono, oltre che di grande prestigio, anche di una massima libertà d'azione. Durante il lungo conflitto libanese (1975-1990) e la successiva “tutela siriana” (1990-2005) l'unica forza irriducibile è risultata essere quella della Chiesa la quale non ha smesso di reclamare libertà e sovranità al Paese. Lo stesso periodo ha tuttavia determinato un forte movimento di emigrazione dei libanesi cristiani all'estero.

Non mancano però le preoccupazioni. Oggi i cristiani nutrono qualche scetticismo circa la sopravvivenza di un Paese che si presenta come modello di convivenza e dialogo tra islam e cristianesimo. In mezzo ai fondamentalismi religiosi che scuotono la regione, le ripercussioni di un'eventuale incriminazione degli hezbollah nell'assassinio del premier Rafiq Hariri, potrebbero risultare pericolosi anche sul ruolo dei cristiani. E ciò anche alla luce della divisione dei cristiani tra i due schieramenti politici che si contendono il potere nel Paese. 


SIRIA

Una caratteristica del cristianesimo siriano (poco più di un milione, il 7 per cento della popolazione) è la sua composizione multiforme. Si tratta, in ordine di consistenza, di greco-ortodossi (450 mila), melchiti (200 mila), armeni gregoriani (150 mila), seguiti da siro-ortodossi e siro-cattolici, armeni cattolici, maroniti, assiri, caldei, protestanti e latini. Il carattere laico del regime baathista assicura ai cristiani un trattamento tendenzialmente egualitario. Le comunità cristiane - vitali e ben inserite nel contesto locale - hanno libertà di comprare terreni e costruire chiese, e i preti sono esentati dal servizio militare. A differenza di altri Paesi arabi, la minaccia dei movimenti fondamentalisti è stata qui arginata, anche con la repressione, rafforzando la coesione dei cristiani attorno a un governo considerato “garante” della loro sopravvivenza. Ma c'è sempre la paura di un inaspettato cambiamento e di un repentino rovesciamento di un regime tutto sommato minoritario (per la precisione alauita, l'11 per cento della popolazione). Da qui l'estrema prudenza manifestata dai cristiani verso un governo che li protegge nell'immediato, ma rischia di condannarli a subire in futuro la rivincita di un potere intransigente sunnita (il 75 per cento della popolazione). La tutela dello Stato non è poi priva di aspetti negativi. Diffidente verso tutto quanto sfugge al suo controllo, il governo non incoraggia né facilita i contatti della Chiesa locale con il mondo esterno. Tra le preoccupazioni dominanti oggi nelle chiese locali, la possibile penetrazione in Siria del fondamentalismo islamico, dopo la destabilizzazione dell'area provocata dalla guerra nel vicino Iraq, e il calo demografico dei cristiani, dovuto soprattutto alla forte emigrazione dei giovani. Si calcola che almeno 250 mila cristiani abbiano lasciato la Siria sin dal 1958. Un altro problema  riguarda la continua migrazione della popolazione rurale cristiana (ad esempio dalla Giazira, nel nord est) verso le città e che potrebbe, in mancanza di un'adeguata integrazione, attizzare la seduzione dell'emigrazione all'estero.


EGITTO
Il numero dei cristiani egiziani non è certo. Le statistiche ufficiali parlano di 4 milioni, mentre i dati della Chiesa locale danno oltre 12 milioni. Forse una cifra intorno agli 8 milioni (ossia il 10 per cento della popolazione egiziana) si avvicina maggiormente alla realtà. Si tratta principalmente di copti ortodossi, sotto la guida del patriarca Shenuda III. Ci sono presenze minoritarie di altre Chiese cristiane, come i copti cattolici (220 mila) e gli evangelici. Gli egiziani cristiani hanno partecipato attivamente alla modernizzazione del Paese, ma si sentono sottovalutati e vengono privati di molti diritti, in particolare della libertà di culto. In Egitto, infatti, vige ancora una legge ottomana che regolamenta la costruzione o il restauro delle chiese e assegna al presidente della Repubblica la facoltà di deliberare in materia al termine di un lungo iter burocratico. Solo nel 2005 il presidente Mubarak ha deciso di snellire il procedimento accordando ai singoli governatori delle province il diritto di intervenire direttamente. La decisione era il risultato di azioni di protesta democratica, ma non sembra avere risolto il problema di una reale uguaglianza religiosa.

I cristiani sono molto attivi sul piano economico, ma il loro ruolo politico è insignificante. Tuttavia essi non hanno mai dato vita a un partito confessionale, nemmeno con la crecente espansione del fondamentalismo nel Paese. Diversi gli episodi di violenza che vedono i cristiani nel mirino dei musulmani radicali. L'ultimo grave episodio risale al 24 novembre scorso quando 2 copti sono stati uccisi e altri 150 arrestati in scontri confessionali esplosi per protestare contro la costruzione di una chiesa a Giza, vicino al Cairo. «La sopravvivenza cristiana in Egitto è un enigma», scriveva qualche anno fa Péroncel-Hugoz. «L'ostinazione di questa popolazione a rimanere copta, quando il passaggio all'islam semplifica così tanto la vita nell'Oriente arabo, non può analizzarsi se non alla luce della fedeltà alle origini di cui certi popoli possiedono il segreto. I copti d'Egitto devono la loro sopravvivenza solo a se stessi. Ciò è ammirevole, ma non è spiegabile».

IRAQ
Cristiani a rischio estinzione in Iraq. Non che nel passato siano mancate nel Paese persecuzioni ed eccidi ai loro danni. Basti ricordare quelli del Novecento: dalle promesse alleate – non mantenute – di autonomia nel primo dopoguerra, agli eccidi a danno della comunità assira negli anni Trenta, e dalla situazione precaria sotto la monarchia, alla libertà sorvegliata sotto la dittatura del Baath. Ma oggi l’esodo dei fedeli è diventato così intenso che l’antichissima comunità mesopotamica, per la prima volta nella sua storia, rischia davvero di sparire. I cristiani  iracheni (per due terzi caldei, seguiti da assiri, siro-cattolici, siro-ortodossi, armeni e latini) rappresentavano sino al 2003 circa 700.000 persone, ossia il 3 per cento dell’intera popolazione irachena. Stime prudenti ritengono che oltre la metà abbiano lasciato il Paese a causa dell'insicurezza e delle violenze di cui sono vittime: oltre 2.000 cristiani uccisi negli ultimi 7 anni. L'altra metà risulta per lo più concentrata nella Piana di Ninive, nel Nord, considerata relativamente più sicura, ma che rischia di assomigliare a un grande ghetto o, peggio, a una zona cuscinetto fra arabi e curdi. Anche qui non mancano martiri tra il clero, come padre Ragheed Ganni, ucciso con tre diaconi a Mosul, stessa città dove, nel 2008, viene rapito e ritrovato morto l'arcivescovo caldeo mons. Paulos Faraji Rahho.

Con questa “grande fuga” rischia di perdersi per sempre sia un patrimonio preziosissimo di cui tali comunità sono depositarie, sia il ruolo di intermediazione che esse hanno svolto nel contesto musulmano tra sunniti e scitti, tra arabi e curdi. La prassi è quasi sempre la stessa. Una prima tappa in un Paese vicino, il tempo di ottenere un visto – ma l'attesa può durare anni – poi la partenza verso una destinazione più lontana: Australia, Stati Uniti, Canada o Svezia. Solo tra Chicago e Detroit si contano 150mila cristiani iracheni che hanno preso la strada dell’esilio. Un’emorragia, questa, che rende ancor più precario il destino di chi decide di rimanere.


TURCHIA
Da circa due milioni all’inizio del Novecento – un quarto della popolazione anatolica – i cristiani sono scesi oggi a soli 115 mila, appena lo 0,15 per cento della popolazione. Si tratta, per buona metà, di fedeli della Chiesa apostolica armena. Poi vengono le comunità cattoliche – circa 30 mila in tutto – principalmente latini, ma anche armeni, siriaci e caldei. Di circa 20 mila, invece, il numero delle varie denominazioni protestanti, seguiti dai siro-ortodossi, circa 10 mila, e dai greco-ortodossi, solo 5 mila. Due drammatici eventi hanno sradicato quasi completamente le due maggiori comunità cristiane dell’ex Impero ottomano. Il primo è il genocidio degli armeni deciso a tavolino dal governo dei Giovani Turchi: almeno 700mila vittime senza contare i deportati morti di stento nel deserto siriano. Il secondo è lo scambio tra popolazioni “greche” e “turche” sancito dal Trattato di Losanna del 1923.

La scomparsa dei cristiani è andata di pari passo con la riduzione di tutte le istituzioni benefiche gestite dalla Chiesa (ospedali, ospizi, scuole) dovuta sia al progressivo venire meno del personale sia a gravami economici imposti dallo Stato. Gli altri ostacoli spaziano dalle restrizioni al diritto di proprietà alle ingerenze nella gestione delle fondazioni, all’impossibilità di formare il clero dato che il seminario ortodosso è stato chiuso d'ufficio nel 1970, quello armeno nel 1971. Inoltre, non è ancora stato trovato uno statuto che permetta alla Chiesa cattolica un'esistenza legale e giuridica. Ne consegue che la proprietà dei beni di cui la Chiesa godeva all’avvento della Repubblica continua ad essere contestata di diritto e di fatto. Se, infine, è vero che una circolare turca del dicembre 2003 autorizza il passaggio da una confessione a un’altra «sulla base di una semplice dichiarazione», la realtà dei fatti dimostra spesso che la vita non è facile per coloro che decidono di convertirsi al cristianesimo. Lungi dal tranquillizzare le minoranze, la presunta laicità dello Stato finisce per accentuare la loro precarietà spingendole all’emigrazione.

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