L’Isis tortura e uccide un 12enne e 11 missionari cristiani

bound lamb A dare la notizia è stata l’Organizzazione Missionaria “Christian Aid”, con sede in Virginia (USA)

di Raffaele Dicembrino

Le violenze dell’Isis o meglio Daesh (L’acronimo DAESH viene usato in sostituzione di ISIS per indicare lo Stato Islamico). È un termine ritenuto meno offensivo per i musulmani ma allo stesso tempo più dispregiativo nei confronti del gruppo terroristico (la pronuncia araba ricorda il verbo “calpestare, mettere sotto i piedi”).
La traslitterazione corretta dovrebbe essere Dāʿish basato sull’acronimo dell’espressione ad-Dawla al-Islāmiyya fī al-ʿIrāq wa l-Shām che in arabo significa appunto “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” dove per Levante si intende la Siria) sono all’ordine del giorno nella quasi totale indifferenza. Ancor più indifferenti al mondo sembrano risultare quando riguardano la strage di cristianio che i terroristi stanno attuando senza che nessuno intervenga drasticamente ad arrestare tale mattanza. Nelle ultime ore un altro caso di orrore: questa “brava gente” in Siria ha torturato e ucciso un ragazzo di 12 anni, insieme a 11 missionari cristiani, rei di aver rifiutato di lasciare il paese e rinunciare a Cristo. Secondo l’Organizzazione Missionaria “Christian Aid” con sede in Virginia (USA), tutte e 12 le vittime sono state catturate, ad agosto, in un villaggio alla periferia di Aleppo. Tre settimane più tardi, i militanti dell’Isis hanno interrogato i prigionieri per ammettere la loro conversione dall’Islam al cristianesimo, reato punibile con la morte. Il ragazzo e gli undici missionari, islamici siriani convertitisi al cristianesimo, hanno con coerenza dichiarato la loro scelta e negato ogni possibilità di ‘riconversione’ all’islam. Quindi in un silenzio assordante da parte dei media occidentali, i 12 prigionieri sono stati divisi in due gruppi. Un gruppo di quattro, che includeva il 41enne leader cristiano, suo figlio 12enne e altri due operatori pastorali, sono stati portati in un villaggio vicino ad Aleppo per l’ennesimo interrogatorio; l’altro gruppo, invece, formato dagli altri 8 missionari, sono invece interrogati in un altro dei villaggi sotto il controllo dell’Isis, sempre nei dintorni di Aleppo. Dopo l’ennesimo rifiuto a rinunciare al cristianesimo, i primi quattro, incluso il ragazzo 12enne, sono stati torturati e crocifissi di fronte alla folla: sono stati lasciati morire sulla croce e rimossi solo due giorni dopo. Prima della crocifissione, per indurre il leader evangelico ad abiurare la propria fede cristiana, i militanti dell’Isis lo hanno costretto ad assistere al taglio delle falangi di tutte le dita delle mani del figlio. Gli altri otto missionari, che, come dicevamo, sono stati interrogati in un altro villaggio, hanno subito la decapitazione, dopo aver anch’essi rifiutato di convertirsi all’Islam. Due dei missionari erano donne, rispettivamente di 29 e 33 anni. Con le donne i terroristi sono stati ancor più crudeli: infatti prima di essere decapitate, i loro aguzzini le hanno pubblicamente violentate e successivamente picchiate. Alcune testimonianze raccontano che nel momento in cui sono state costrette ad inginocchiarsi per la decapitazione, tutte e otto le vittime pregavano ad alta voce. Dopo le speranze su un accordo Usa-Russia di inizio Settembre, dopo il nuovo incontro di Losanna (allargato ad altre potenze della regione) e a seguito dei diversi fallimenti di intesa, urge ancor più far memoria delle crudeltà e degli atti di sincero eroismo cristiano che i nostri fratelli ci forniscono con la loro vita. Tutto questo, rende ancora oggi ancora più urgente appare l’appello dei Patriarchi Siriani: fermare le sanzioni contro la Siria che uccidono il popolo! Per sensibilizzare il mondo innanzi a tale crudeltà è stata avviata una raccolta di firme: a Damasco i tre Patriarchi della Siria Gregorio III, Patriarca melchita greco-cattolico; Ignazio Efrem II, Patriarca siriaco-ortodosso e Giovanni X, Patriarca greco-ortodosso hanno lanciato un comune appello rivolto alla comunità internazionale per la cessazione delle sanzioni alla Siria. Dall’inizio della crisi della Siria nel 2011, l’impatto delle sanzioni economiche e finanziarie si è inasprito sulla vita quotidiana dei cittadini siriani, un fardello che ha appesantito le sofferenze del popolo siriano. Sanzioni che rappresentano un altro aspetto della crisi che di fatto si traduce in sempre maggiore pressione sulle persone, sulle istituzioni, sulle aziende e di conseguenza sull’intera popolazione. L’assenza di investimenti, il divieto di voli internazionali, la riduzione delle esportazioni verso il paese, l’inserimento di alcune delle compagnie siriane nelle liste “nere” costituiscono misure economiche che puntano all’isolamento della Siria dal resto della comunità internazionale. La chiusura delle ambasciate e il ritiro del loro personale riduce al minimo le relazioni diplomatiche e l’interazione estera del paese con gli altri stati. Soprattutto, il divieto sulle transazioni bancarie pone le persone in una difficile situazione finanziaria, impoverendo i cittadini e privandoli della loro dignità umana. Così, man mano che la valuta locale perde valore, i prezzi dei beni fondamentali cresce, con un grave impatto sulla vita di ogni giorno. L’imposizione delle sanzioni ha principalmente scopi politici. Ma esse toccano la vita dell’intero popolo siriano, specialmente i poveri e i lavoratori che faticano a trovare cibo e medicine. Malgrado il popolo siriano stia affrontando questa crisi con fermezza, la situazione sociale diventa sempre più grave e le sofferenze della gente non cessano di crescere. La comunità internazionale deve fermare queste sanzioni, prima che un intero popolo muoia. Eccovi il testo della petizione: Ci uniamo all’appello dei tre Patriarchi della Siria che chiedono la cessazione delle sanzioni imposte al popolo siriano, il quale resta unito alla sua terra e alle civiltà lì che esistono da migliaia di anni. Questo appello giunga come un invito a prendere misure straordinarie, decisioni coraggiose, sagge e responsabili, innanzitutto per la rimozione delle sanzioni economiche alla Siria, in uno slancio umanitario fondato sulla Carta dei Diritti Umani e gli altri accordi internazionali. Questo viene incontro ai desideri dei cittadini che cercano di migliorare le loro condizioni di vita. Rafforzerà il loro attaccamento alla terra, limitando lo sfruttamento della miseria del popolo siriano da parte di gruppi che non mirano al bene comune del paese. Inoltre, aiuterà il lavoro delle organizzazioni ecclesiali e umanitarie nel provvedere aiuti umanitari, nella consegna di medicinali e altro materiale medico a chi nell’intera Siria ne ha bisogno. Perciò, chiediamo al Presidente Obama e al Presidente Juncker di guidare la comunità internazionale affinché accolga l’appello dei siriani: “Fermiamo l’assedio al popolo siriano! Togliamo le sanzioni alla Siria e permettiamo a questo popolo di vivere con dignità, che è un diritto fondamentale di ogni nazione del mondo”. Proprio in queste ore giunge l’appello del vescovo di Aleppo sulla drammatica vicenda che sta colpendo la città. “Il popolo italiano ha una generosità speciale: tanti anziani invece di comprare le medicine per loro, mandano soldi ad Aleppo. Medici e infermieri si offrono per venire in Siria a dare una mano”. In queste parole tutta l’ammirazione di padre Ibrahim Alsabagh, parroco della comunità latina di San Francesco d’Assisi ad Aleppo, per l’Italia della quale si sente “un figlio adottivo”: “Una anziana signora di una parrocchia italiana ha offerto tutto il suo oro, raccolto in una bustina, per destinarlo ai poveri di Aleppo. Le persone che fanno atti di carità sono dei veri miracoli” ha rivelato il frate in questi giorni in Italia per la presentazione del suo libro “Un istante prima dell’alba” (Edizioni Terra Santa). La speranza del parroco è che la comunità internazionale faccia lo stesso miracolo e che “manifesti la volontà di perseguire il bene del popolo siriano, derubato della sua dignità. Si dialoghi con tutte le parti in lotta per realizzare la pace in Siria, in modo speciale ad Aleppo”. Non importa Est o Ovest, “sono tre anni che viviamo sotto le bombe che terrorizzano tutta la popolazione. Ai media dico: non perdete tempo a trovare i colpevoli dei bombardamenti perché la violenza è cieca e si abbatte su tutti. A pagare sono gli innocenti. Attenti a non cadere nelle trappole politiche ma concentratevi sull’uomo derubato della sua dignità. Che siano la carità e la riconciliazione ad avere l’ultima parola e non il fuoco delle armi”. Chiare e da rammentare anche le parole del Papa. I responsabili dei bombardamenti renderanno conto a Dio!”. È il forte ammonimento, col quale, all’udienza generale del 28 settembre scorso , Papa Francesco ha concluso l’incontro con i fedeli con un nuovo accorato appello per la pace in Siria. Il Pontefice ha espresso il suo dolore in particolare per la città di Aleppo. Il pensiero del Papa va ancora una volta all’amata e martoriata Siria, da dove – dice Francesco – “continuano a giungermi notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni di Aleppo, alle quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale”. Il Pontefice ha poi continuato: “Nell’esprimere profondo dolore e viva preoccupazione per quanto accade in questa già martoriata città, dove muoiono bambini, anziani, ammalati, giovani, vecchi, tutti, rinnovo a tutti l’appello ad impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo ed urgente”. Dopo l’accorata esortazione del Santo Padre alla comunità internazionale affinché si faccia qualcosa per la stremata popolazione civile, anche il forte ammonimento a quanti, nonostante la disastrosa situazione, continuano a far prevalere la logica delle armi: “Mi appello alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti, che dovranno dare conto davanti a Dio!”.

© http://www.lacrocequotidiano.it/ - 29 ottobre 2016

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