Intervista al cardinale Koch sulla giornata di preghiera per la pace in Medio oriente. Un incontro davvero storico L'Osservatore Romano

bari conclusione papa2(Nicola Gori) «Un passo avanti nel cammino ecumenico. Sicuramente, un momento profetico, come quando i fedeli hanno gridato: “Unità, unità”, quasi a esprimere la voce dello Spirito». È il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità tra i cristiani, a definire la giornata di preghiera e di riflessione per la pace in Medio oriente svoltasi a Bari, sabato scorso, 7 luglio. In questa intervista all’Osservatore Romano, il porporato traccia un bilancio dell’incontro di Papa Francesco con i capi delle Chiese e delle comunità ecclesiali della regione.
Cosa si è portato a casa dall’esperienza nel capoluogo pugliese?
È stata una grandissima giornata. Senza dubbio si può parlare di un avvenimento storico. È la prima volta che tutti i rappresentanti delle Chiese in Medio oriente, cattolici, ortodossi, orientali ortodossi e anche protestanti sono stati presenti per una preghiera comune con il Pontefice e per discutere della situazione della regione mediorientale. Penso che questo incontro porterà frutti, ma i frutti, come sappiamo, sono nelle mani dello Spirito Santo.
Quindi Bari ha rappresentato un inizio?
L’incontro è stato un grande passo in avanti nel cammino ecumenico. Il momento di preghiera sul lungomare, davanti all’Adriatico, rivolti idealmente verso oriente, è stato significativo e bellissimo. Anche il momento successivo, quello a porte chiuse nella basilica di San Nicola, quando è avvenuto lo scambio di proposte, ha portato molte idee nuove. Certamente, da approfondire per cercare di camminare insieme. Del resto c’era un desiderio condiviso da molti: la gratitudine al Papa per averli riuniti insieme, con l’auspicio che fosse solo il primo incontro con una buona continuazione. Inoltre, tutti sono stati molto contenti delle parole forti pronunciate dal Pontefice all’inizio della preghiera sul lungomare e alla conclusione dell’incontro sul sagrato della basilica di San Nicola.
Quindi si è trattato di un passo in avanti nel cammino ecumenico?
Il Medio oriente è la regione della nascita e della crescita del cristianesimo. In questo senso, le relazioni ecumeniche hanno una grande importanza. L’ecumenismo della carità tra ortodossi e cattolici è iniziato proprio in Medio oriente, il 6 gennaio 1964, con il famoso incontro tra il beato, e presto santo, Paolo VI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora. Questo è stato l’effettivo inizio del dialogo tra cattolici e ortodossi. D’altronde, in Medio oriente le Chiese vivono insieme la stessa situazione precaria. Hanno davanti a loro la grande sfida di ritrovare l’unità. Perciò è stato molto importante il gesto finale dell’incontro di Bari, quando Papa Francesco e i patriarchi sono usciti insieme dalla basilica di San Nicola. Il popolo riunito davanti ha gridato: «Unità, unità». Questa è stata per me la voce dello Spirito Santo.
Quale ruolo riveste il santo vescovo di Myra nell’ambito dell’unità tra cattolici e ortodossi?
Ha un grande ruolo, perché lui è santo sia dell’oriente, sia dell’occidente. Si può dire che è un santo dell’unità tra i cristiani. Infatti, non solo i cattolici, ma molti ortodossi hanno grande venerazione per lui. In particolare, i fedeli russi vengono a Bari per venerare le sue reliquie. D’altronde, anche negli alberghi e nella basilica di San Nicola i cartelli informativi sono scritti sia in italiano sia in russo. Ho constatato direttamente di persona la devozione del popolo ortodosso russo a san Nicola, durante la peregrinatio delle reliquie che sono state portate a Mosca e a San Pietroburgo. Una folla che ha fatto la fila giorno e notte. Proprio per questa venerazione condivisa, san Nicola è un grande punto di riferimento per l’unità dei cristiani.
Ci sono tuttavia alcuni ostacoli sul cammino della piena unione?
Si deve fare differenza tra l’ecumenismo della carità e della vita quotidiana e quello della verità. Al livello della carità le cose vanno bene. Per me è stata una sorpresa poter vedere insieme uniti nella preghiera i patriarchi del Medio oriente. È la prima volta che avviene. Mi auguro che a questo primo incontro ne seguano altri. Sarebbe un frutto di questo avvenimento di Bari. Siamo stati contenti che sia stato presente anche il patriarca siro ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Ignatius Aphrem ii, cioè di quella Chiesa che si trova in Siria e che in questo momento soffre più di tutte. Per quanto riguarda il dialogo della verità, cioè a livello teologico, esistono tre commissioni specifiche. Una internazionale con gli ortodossi, una per le Chiese orientali ortodosse e una per la Chiesa assira dell’Oriente, perché essa non appartiene ancora alla famiglia delle Chiese orientali ortodosse.
A Bari c’erano anche rappresentati del protestantesimo. Com’è il dialogo con loro?
I nostri dialoghi avvengono sempre a livello universale. Il nostro interlocutore in questo ambito è la Federazione mondiale luterana e non ogni realtà sparsa per le varie regioni del mondo. Anche per gli ortodossi valgono gli stessi principi. Nella commissione internazionale sono presenti quattordici Chiese, senza contare quella di Bulgaria che non partecipa al dialogo. Ogni Chiesa è presente con due rappresentanti e quindi già sono ventotto persone. Altrettanti sono i cattolici. Tutti di diverse nazionalità, razze e lingue. Per questo, la traduzione è molto importante. Nella commissione con le Chiese orientali ortodosse sono presenti tutte, e devo riconoscere che in essa c’è sempre un’ottima atmosfera.
Cosa può dirci riguardo al tema dell’intercomunione?
Nella visione della Chiesa cattolica l’ospitalità eucaristica con le Chiese ortodosse e orientali ortodosse è possibile, ma per gli ortodossi rimane un problema, perché la relazione tra comunione ecclesiale e quella eucaristica è molto stretta. Non vedono vi sia la possibilità di avere una comunione eucaristica senza quella ecclesiale. D’altra parte, l’ospitalità eucaristica in parte esiste già. La Chiesa cattolica ha già preso accordi, nel 1984 con la Chiesa siro-ortodossa. Siglarono l’accordo Giovanni Paolo II e il patriarca siro-ortodosso Zakka i Iwas. Esso prevede che i credenti di una Chiesa possono ricevere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi dai ministri dell’altra in caso di necessità se il proprio pastore non è presente. Anche tra la Chiesa caldea e quella assira dell’oriente c’è un accordo simile dal 2001.
L'Osservatore Romano, 13-14 luglio 2018