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Russia - Kirill, l’alleato più fedele dello Zar che ha spaccato gli ortodossi

 
(Anna Zafesova, La Stampa) Il patriarca di Mosca e di tutte le Russie può essere anche considerato intoccabile da Viktor Orban, pronto a scontrarsi con l'Unione Europea per difendere Kirill dalle sanzioni, ma le parrocchie in Ucraina non pregano più per la sua salute.
Il capo della Chiesa ortodossa russa è l'alleato più fedele del Cremlino, che non solo ha benedetto la "operazione militare speciale" contro l'Ucraina, ma l'ha anche giustificata con la difesa dei "valori tradizionali" tanto cari sia al leader ungherese che a Vladimir Putin: la sua dichiarazione che l'invasione ha «sventato il pericolo di sfilate di Gay Pride a Donetsk» ha fatto il giro del mondo, suonando scioccante perfino per molti conservatori.
Con i suoi orologi di lusso, le sue benedizioni delle testate atomiche e le amicizie con politici impresentabili - come Leonid Sluzky, il capo della commissione Esteri della Duma, sostenitore della pena di morte famoso per le sue molestie sessuali - il Patriarca era già un personaggio molto discusso.
E quando ha insistito che la Russia «sta promuovendo la pace», gli ortodossi ucraini si sono ribellati: domenica 29 maggio il metropolita di Kiev Onufrij, per la prima volta, non ha menzionato nella sua liturgia domenicale il patriarca di Mosca come «grande signore e padre nostro».
A utilizzare il calcolo di Stalin, che chiedeva di quante divisioni disponesse il Vaticano, Vladimir Putin rischia di perdere un fronte intero. Due giorni prima, durante un'assemblea tenuta a Kiev e trasformata in corso d'opera in concilio, la Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca si è proclamata «autonoma e indipendente», cancellando dal suo statuto ogni menzione del suo legame subordinato alla Chiesa russa.
A Mosca aspettano a parlare di scisma, ma è evidente che la chiesa ortodossa si è spaccata sulla guerra: la posizione di Kirill è stata bollata da Onufrij come "il peccato di Caino", il sostegno a un massacro fratricida. Una presa d'atto seguita a una rivolta dei fedeli e del clero: circa 500 parrocchie avevano già dichiarato di uscire dalla giurisdizione del patriarcato di Mosca.
Il metropolita Evlogiy di Sumy aveva smesso di pregare per la salute di Kirill sotto le bombe russe, imitato da una quindicina delle 53 diocesi ucraine. Circa 400 sacerdoti e monaci hanno sottoscritto una lettera ai patriarchi delle antiche chiese di Oriente, chiedendo di processare il patriarca di Mosca come eretico per la sua propaganda del "mondo russo" come ideologia nazionalista del putinismo.
Nonostante diverse parrocchie avessero raccolto aiuti per i militari e per i profughi, e molti esponenti del clero avessero preso posizioni molto dure nei confronti dei principali moscoviti, la situazione era diventata insostenibile. Alla rabbia dei fedeli si erano aggiunte le pressioni delle autorità di molte regioni ucraine che avevano cominciato a mettere fuori legge le attività della "chiesa di Mosca". E così, dal 27 maggio la Chiesa ortodossa ucraina si è dichiarata indipendente: ora potrà istituire parrocchie all'estero - dove sono fuggiti milioni di profughi ucraini - e ricominciare a preparare il crisma a Kiev, dopo che per più di un secolo l'olio per i sacramenti veniva inviato da Mosca.
Uno scisma che Kirill per ora evita di dichiarare tale, anche perché dovrebbe ammettere di aver perso un terzo delle sue parrocchie e fino a due terzi delle entrate, con un patrimonio immenso di immobili e reliquie, tra cui il monastero delle Grotte di Kiev, culla dell'ortodossia della Rus. Ma soprattutto, il monastero di San Daniele di Mosca smetterebbe di venire considerato il centro religioso di "tutte le Russie", e la chiesa di Kirill si ridurrebbe di fatto a una istituzione nazionale russa, un colpo pesante all'ambizione di Putin e del suo patriarca di un nuovo impero del "mondo russo".
Non stupisce dunque che Kirill abbia voluto smussare gli angoli, parlando di «decisioni sagge per non complicare la vita dei credenti» in Ucraina. Molto meno conciliante la posizione di numerosi funzionari della Chiesa russa: Aleksandr Shipkov del dipartimento delle relazioni esterne ha pronunciato la parola proibita «scisma», sostenendo che fosse avvenuto «su ordine del dipartimento di Stato Usa».
Una situazione complicata, anche perché dentro la Chiesa ucraina è già nato a sua volta uno scisma: praticamente tutti i 14 vescovi dei territori in mano ai russi, tra cui la Crimea, Donetsk e Novokakhovka, hanno deciso di mantenere la fedeltà a Kirill. «Ci rendiamo conto che nelle zone occupate esiste una realtà diversa», ha ammesso il metropolita Climent. È evidente che la linea dello scisma passerà dalla linea del fronte, che è soggetta a cambiamenti. Il problema è cosa resterà dopo la guerra: in Ucraina infatti esiste anche la Chiesa ortodossa dell'Ucraina, frutto dello scisma dell'indipendenza, riconosciuta nel 2018 dal patriarca di Costantinopoli Bartolomeo come autocefala, e considerata "ufficiale" dal governo.
Uno smacco a Putin cui Kirill reagì rompendo ogni contatto con il centro dell'ortodossia mondiale. Ora, la nuova chiesa indipendente di Kiev è di fronte a un dilemma drammatico: se non ricuce i rapporti con Constantinopoli rischia di restare una scheggia illegittima dell'ortodossia. Motivo per il quale Serhiy Bortnik, teologo e collaboratore di Onufrij, dice che l'indipendenza da Mosca non significa la rottura di un legame "di preghiera", forse in attesa che un giorno un cambio di regime al Cremlino trasformi anche la posizione militarista e imperialista di Kirill.
Una prudenza che potrebbe costare agli scismatici il loro futuro: molti in Ucraina continuano a considerarli troppo vicini all'invasore, e le parrocchie ribelli stanno passando nella giurisdizione dei concorrenti della Chiesa ortodossa dell'Ucraina, mentre le diocesi nei territori occupati potrebbero venire subordinate direttamente a Mosca.
 
(La Stampa)
(fonte)