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Il crocifisso e l'unità dei cristiani

Il pronunciamento del Santo sinodo serbo
di Fabrizio Contessa
Paradossi della vita. E della fede cristiana. Anche un avvenimento di mera cronaca politico-istituzionale come la controversa sentenza della Corte europea dei diritti di Strasburgo che vieta l'esposizione dei simboli religiosi, in particolare del crocifisso, nei luoghi pubblici può divenire, in modo del tutto imprevedibile, l'occasione di un rinnovato spirito di comunione tra i battezzati.  Anche in questo episodio è insomma evidente l'incomprimibile novità portata nel mondo da quel Crocifisso che qualcuno, anche a colpi di sentenze, vorrebbe far sparire dagli occhi prima ancora che dal cuore.
In breve, i fatti nella loro linea generale sono ampiamente noti. Il Governo italiano - sostenuto da altri dieci Paesi europei - ha impugnato la sentenza presentando ricorso, il cui esame da parte della Grande Chambre della Corte di Strasburgo ha avuto inizio il 30 giugno scorso. Anche il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, è intervenuto sul tema rilevando - da laico quale è - la necessità di salvaguardare il tradizionale patrimonio identitario e di valori rappresentato dal crocifisso e come tale dalla "millenaria presenza cristiana e cattolica" nei Paesi europei e in Italia. Infatti, accanto "al valore di laicità dello Stato", va riconosciuta "la rilevanza pubblica e sociale del fatto religioso".
Quello che invece è passato quasi sotto traccia, anche nei resoconti forniti dai media, è stato lo straordinario spirito di solidarietà tra credenti che quella contestata sentenza ha generato. Non solo tra i cattolici - sono state ventidue le Conferenze episcopali europee che si sono espresse attraverso note, dichiarazioni o appelli inviate direttamente alla Corte di Strasburgo - ma anche in ambito ecumenico. E soprattutto tra cattolici e ortodossi. Infatti, anche le Chiese ortodosse di Romania, Bulgaria, Ucraina e Serbia si sono unite a questo coro in difesa del crocifisso e della visibilità dei simboli religiosi. In particolare, proprio il pronunciamento del Santo sinodo ortodosso serbo ha segnato un significativo passo in avanti nelle relazioni tra le due Chiese sorelle in un territorio, come quello dei Balcani, che porta ancora le profonde ferite di conflitti interetnici e spesso anche religiosi. Tanto che questo importante episodio potrebbe divenire un modello per future possibili iniziative comuni, finalizzate alla salvaguardia, in Europa e nel mondo, dei valori e dell'eredità cristiana.
In una lettera inviata all'arcivescovado di Belgrado, il patriarcato serbo ha informato di aver esaminato, di approvare e sostenere questa "importante e nobile iniziativa" della Chiesa cattolica per la difesa dei simboli religiosi in Europa. E, a sua volta, nella lettera che presenta la dichiarazione sottoscritta il 29 giugno scorso dalla Conferenza episcopale internazionale dei santi Cirillo e Metodio, il presidente - l'arcivescovo di Belgrado Stanislav Hocevar - ha ringraziato espressamente la Chiesa sorella ortodossa serba e il suo patriarca per aver "supportato per iscritto questa iniziativa della Chiesa cattolica nella Serbia e nell'Europa".
Non un'iniziativa confessionale, dunque. Ma aperta all'orizzonte del dialogo fraterno tra i credenti. "La presenza dei simboli religiosi cristiani, in particolare quello della croce - si legge nella dichiarazione dell'episcopato dei Balcani - che riflette il sentimento religioso dei cristiani di ogni denominazione, non ha alcuna intenzione di escludere nessuno, ma esprime una tradizione a cui tutti riconoscono il suo alto valore, nel suo ruolo catalizzatore del dialogo con ogni persona di buona volontà, e nel conforto per i sofferenti e per i bisognosi, senza distinzione di fede, etnia o nazionalità".

(©L'Osservatore Romano - 11 luglio 2010)