Filaret e l'educazione alla fede

Un ritratto del Metropolita di Minsk e Sluzk, Esarca Patriarcale di tutta la Bielorussia, che parteciperà quest'anno per la prima volta al Meeting
Pubblichiamo un ritratto del Metropolita Filaret, che parteciperà al Meeting il 23 agosto in un incontro con il cardinale Erdö (clicca qui per leggere l'intervista pubblicata da Tracce); a tema tra cattolici e ortodossi la sfida comune di un’Europa che sempre di più mette da parte il cristianesimo e le chance che esso può avere rispetto all’uomo contemporaneo.

di Giovanna Parravicini

Nel gennaio del 2008, nella terna dei candidati al soglio patriarcale figurava anche lui, il metropolita Filaret, una delle personalità più carismatiche dell’Ortodossia russa dei nostri giorni. Oltre ad essere Esarca della Bielorussia, all’interno delle strutture del Patriarcato di Mosca il metropolita Filaret riveste un ruolo di primaria importanza, in quanto presidente della Commissione teologica sinodale che sovrintende l’ambito della formazione religiosa e della ricerca teologica (tanto per intenderci, il corrispettivo della Congregazione per la dottrina della fede presieduta per anni da Ratzinger).

Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo da vicino da ormai quasi vent’anni, attraverso Mons. Marchetto, allora Nunzio Apostolico in Bielorussia, trovando in lui una grande paternità e attenzione, un costante incoraggiamento e una compagnia nel lavoro iniziato a Mosca attraverso la «Biblioteca dello Spirito». A tal punto che il Centro Culturale ortodosso San Cirillo e Metodio di Minsk, da lui presieduto, è divenuto uno dei fondatori della «Biblioteca», insieme alle strutture cattoliche russe e a Russia Cristiana. E viceversa, da allora ci ha chiamati a collaborare pressoché stabilmente con la Facoltà teologica sorta per sua iniziativa nel 1992 presso l’Università di Minsk, tenendo corsi e seminari su vari aspetti della cultura cristiana nella Chiesa indivisa del primo millennio o nella Chiesa in Occidente in epoca moderna. Un interlocutore privilegiato, quindi, per aiutarci a comprendere la sfida implicata per «l’uomo europeo dei nostri giorni» dalla domanda di Dostoevskij, sia in Occidente come anche in Europa orientale.

Il contesto in cui il metropolita Filaret si trova a svolgere il suo ministero pastorale è evidentemente diverso dal nostro: i settant’anni di ateismo militante, di dure persecuzioni antireligiose (la Bielorussa, in particolare, era stata teatro di un esperimento particolarmente pesante in questo senso), hanno lasciato una profonda ferita che pesa tutt’oggi sulle coscienze e sulla mentalità della gente. La Chiesa è sopravvissuta alle repressioni dell’epoca sovietica, anzi ne è uscita vittoriosa grazie al tramandarsi della tradizione religiosa all’interno delle famiglie, in piccole cerchie informali, talvolta intorno a coraggiosi e illuminati pastori che non hanno mai smesso, neppure in tempi duri, di educare alla fede. Ma questi ultimi sono stati casi isolati, molto spesso la fede si è conservata semplicemente come una tradizione. E se la gente era disposta a difenderla anche a caro prezzo di fronte alla violenza del regime, oggi – nel clima di secolarismo e consumismo imperante – si avverte la fatica di dar ragione di ciò in cui si crede, di testimoniare la ragionevolezza della fede. Di qui l’importanza dell’educazione cristiana e della formazione di laici – cioè cristiani, che è uno dei temi ricorrenti nel magistero del patriarca Kirill.

La responsabilità di questo compito, oggi, è in gran parte affidata al metropolita Filaret, il cui dicastero sta preparando, tra l’altro, un Catechismo della Chiesa ortodossa sul tipo di quello pubblicato alcuni anni fa dalla Chiesa cattolica. Il tema dell’educazione è tra i prediletti del metropolita, che sottolinea, in particolare, come in russo «nutrire» ed «educare» (rispettivamente pitat’ e vospitat’) abbiano la stessa radice e siano due termini sostanzialmente equivalenti. Il compito dell’educatore è quindi di nutrire e sostenere il bisogno più grande dell’uomo, che è quello di scoprire il proprio volto, la propria vocazione di felicità incontrando il suo Creatore. «Educare la persona a questa coscienza è la cosa più semplice e chiara, e al tempo stesso fondamentale. In quest’opera non ci sono differenze di carattere confessionale, nazionale o socio-politico: un uomo senza coscienza è altrettanto infelice in ogni parte del mondo…».[1]

Il metropolita Filaret (al secolo Kirill Varfolomeevič Vachromeev) è nato a Mosca il 21 marzo 1935, in una famiglia di musicisti che veniva da Jaroslavl’, città storica medioevale della Rus’. L’educazione cristiana e il senso della bellezza hanno avuto un posto importante nella sua vita familiare; il nonno Aleksandr era cantante lirico e direttore del coro di una chiesa cittadina; il padre Varfolomej, teorico e compositore, è autore di vari testi sulla musica, in particolare manuali scolastici ancor oggi molto diffusi. Anche Kirill prosegue la tradizione di famiglia, impara fin da piccolo a suonare il pianoforte e ben presto rivela una splendida, vellutata voce baritonale. Ma al termine della scuola, nel giugno 1953 comunica ai genitori sbalorditi la sua decisione di dedicarsi a Dio facendosi sacerdote, e in agosto entra in seminario a Zagorsk, negli edifici dell’antico e glorioso monastero della Trinità di San Sergio di R.adonež.

Non sono certo anni facili per la Chiesa – il 5 marzo 1953 era morto Stalin – e in questa sua decisione, controcorrente rispetto alla mentalità del tempo, ha sicuramente un posto importante la comunità cristiana che frequenta negli anni dell’adolescenza, presso la parrocchia di San Giovanni Battista, sulla Krasnaja Presnja. È la stessa parrocchia dove si reca anche il giovane Aleksandr Men’, suo coetaneo. Le loro strade in seguito prenderanno per certi aspetti direzioni diverse, restando però saldamente ancorate all’esperienza della fede vissuta nella Chiesa e nella dedizione ai fratelli.

Nel 1957, al termine del seminario, Kirill entra all’Accademica teologica e nel 1959 prende la decisione di farsi monaco. È il superiore della Lavra, Pimen, a celebrare il 3 aprile la sua consacrazione monastica e ad impartirgli il nuovo nome di Filaret, in memoria di uno dei grandi pastori della Chiesa ortodossa russa (1782-1867). Viene ordinato sacerdote il 14 dicembre 1961, nel giorno in cui la Chiesa ortodossa ricorda san Filarete l’Elemosiniere, un santo bizantino dell’VIII secolo. Al termine degli studi, resta in seminario come docente di teologia, il 24 ottobre 1965 viene consacrato vescovo, e l’anno dopo si assume il delicato compito di rettore del seminario e dell’Accademia teologica di Mosca. Il regime, infatti, in quegli anni tentava di scavare sempre più profondamente un fossato tra la società e la Chiesa, ridotta a museo o a rituale ma espropriata innanzitutto del diritto di dire una parola sulla vita e sulle scelte dei credenti.

Una problematica di estrema attualità anche oggi, se si pensa al dibattito tuttora esistente nella società post-sovietica rispetto all’insegnamento della religione nella scuola, su cui il metropolita si esprime con estrema chiarezza: «Siamo alla ricerca delle forme più adeguate, a seconda delle peculiarità locali. Qui si fa sentire l’eredità dell’epoca sovietica, cioè del veto all’istruzione religiosa nella scuola di Stato. Da questo punto di vista l’esperienza positiva e le tradizioni dei paesi dell’Europa occidentale ci sono molto utili. La Chiesa deve avere la possibilità di promuovere l’insegnamento della religione nella scuola primaria, fatta salva la libertà di coscienza e di confessione religiosa».

L’impegno del metropolita Filaret nell’ambito teologico gli fa assumere atteggiamenti di grande apertura, di fraterna collaborazione con le Chiesa cristiane, in primo luogo quella cattolica: «Nella nostra Chiesa – osserva – si stanno intensificandosi l’interesse e le ricerche in campo teologico. Ci sono teologi giovani e preparati, formatisi ormai in epoca postsovietica. Si svolgono regolarmente convegni e si pubblicano testi teologici. Il limite più grave è l’ancora scarsa conoscenza, da parte dei nostri studiosi, dell’evoluzione e delle tendenze della teologia cristiana all’estero, sia in campo ortodosso come anche nelle altre confessioni. Bisogna lavorare molto, quindi, sia per ripristinare la continuità perduta con la teologia russa precedente alla rivoluzione e vissuta poi nell’emigrazione, sia anche, soprattutto, per giungere a un nuovo livello di creatività nello spirito della Tradizione della Chiesa. Siamo chiamati a trovare delle risposte alle nuove sfide poste dall’evoluzione storica della cultura che, nonostante il visibile trionfo del secolarismo, oggi entra in una fase post-secolarista. Il cristianesimo è vivo, il suo spirito ed energia non si inaridiscono, e deve trovare nuove forme di attiva presenza nel mondo postmoderno».

In questa linea si colloca l’ambizioso progetto che la «Biblioteca dello Spirito» sta realizzando da alcuni anni insieme alla Commissione teologica: la pubblicazione in russo dei «cento libri» più significativi per la teologia cristiana del XX secolo. Un progetto di immensa utilità per la Chiesa ortodossa russa, ma anche per la piccola comunità cattolica presente nel Paese e per le istituzioni culturali ed accademiche laiche, che mostrano un profondo interesse per la cultura cristiana.
Nel 1968 monsignor Filaret viene chiamato a svolgere un nuovo importante compito nel patriarcato di Mosca sul fronte delle relazioni interconfessionali, ricoprendo dapprima la carica di vicepresidente del Dipartimento per le relazioni esterne, e in seguito di presidente, nel 1981.
Intanto, nel 1973 viene nominato arcivescovo di Berlino ed esarca patriarcale per l’Europa centrale, nel 1978 metropolita di Minsk e della Bielorussa, esarca patriarcale dell’Europa occidentale, e infine nel 1989, mentre lascia il Dipartimento per le relazioni esterne, diventa Esarca patriarcale della Bielorussia.

Oggi, viene da pensare che secolarismo, modernità e postmodernità considerano il cristianesimo ormai fuori dalle correnti vive del pensiero. Anche in Russia si respira una simile aria, che può arrivare all’ostilità? «Sono profondamente convinto – asserisce il metropolita Filaret a questo proposito – che la società, proprio in quanto consorzio umano e non semplicemente come massa anonima, manipolata dai mass-media, diventi ostile alla Chiesa fondamentalmente quando la Chiesa stessa nella pratica quotidiana non si conserva fedele alla propria vocazione. La forza dei cristiani, la forza della Chiesa è di riporre la propria speranza in Dio, e non negli uomini. Dobbiamo riscoprire le parole di Cristo Signore: “siate nel mondo, ma non del mondo”. Cioè fare i conti con la cultura scristianizzata e con l’importanza decisiva dei mezzi di comunicazione, e al tempo stesso essere preoccupati solo di essere noi stessi. La Chiesa è conforme all’uomo reale, nella misura in cui è fedele alla propria vocazione, cioè conforme a Dio, Creatore di tutto e Presenza Provvidenziale per la nostra salvezza eterna. Una salvezza che si compie fin da adesso, qui, in ogni istante, quando l’uomo reale si volge a Dio ed entra in comunione con Lui».

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