Una discreta presenza cristiana in terra di frontiera

konya16BigEgidio Picucci

Konya (l’antica Iconium degli Atti degli Apostoli), è tenacemente legata alla memoria di Mevlana Celàeddin Rúmi, il maggior poeta mistico del mondo musulmano; al suo tekke (monastero) col minareto in maiolica verde; ai dervisci danzanti che si servono della loro arte per ricordare il processo con cui l’uomo può unirsi misticamente a Dio. E un po’ è anche legata all’apostolo Paolo, che vi annunciò il Vangelo verso l’anno 47 e che rivive in una chiesa costruita nel 1910 da famiglie di operai francesi, assistiti dai padri assunzionisti. Chiesa semplice, senza pretese artistiche, com invece le stupende moschee del luogo. Non per nulla un antico detto consiglia: «Vedi pure tutto il mondo, ma non lasciare Iconio ». I pellegrini che ripercorrono il cammino dell’apostolo immancabilmente includono nel loro itineriario la chiesa, mantenuta aperta grazie alla presenza di due giovani consacrate trentine appartenenti all’associazione Gesù Risorto. In un Paese dichiaratamente laico ma musulmano al 98 per cento, è spiazzante sentirsi dire: «Siamo venute per ringraziare la Turchia della nostra fede, portata a Trento da due monaci cappadoci alla fine del IV secolo. Quando monsignor Giuseppe Germano Bernardini, allora arcivescovo di Izmir, ci chiese di interessarci di questa chiesa, ci stavamo preparando a celebrare il centenario dell’evangelizzazione del Trentino da parte di Sisinio e Alessandro, e ci chiedevamo come poterli ringraziare per aver annunciato il Vangelo ai nostri antenati. Nulla di più opportuno, quindi, che accettare l’invito e correre a Konya » . Città santa per l’islam, Konya è un capoluogo caotico e famoso centro universitario, con lunghe file di palazzoni in periferia e il verde dei giardini ricamati di tulipani screziati fra cui si muovono contadini increstati di rossi turbanti e migliaia di pellegrini, accolti nel tekke da confortanti parole in persiano: «Qui, anche gli imperfetti sono purificati, e coloro che cercano possono posare la testa sulla soglia della verità». La chiesa si trova nel quartiere Araboglu makasi (le forbici del figlio dell’arabo) ed è conosciuta come «l’Eglise», quindi facilmente identificabile, anche se stretta tra palazzi. «Naturalmente accogliamo volentieri i pellegrini — dicono le due giovani religiose — perché la loro presenza è un regalo: oltre a poter pregare con loro, possiamo partecipare alla celebrazione e far sapere al mondo che la Chiesa è viva anche qui. Ogni domenica ci riuniamo per la liturgia della Parola, traducendo in turco una riflessione che mandiamo per email ad altre comunità, e, se ci è chiesta, facciamo pure un po’ di catechesi. C’è chi fa anche un’ora e mezza d’auto di viaggio per venire ad ascoltarci. Quando sappiamo che c’è la Messa avvertiamo subito la gente che accorre volentieri. Da oltre dieci anni pubblichiamo il calendario “Cinque pani d’orzo” in turco e altre stampe utili per conoscere la fede cattolica. Non manca neppure un’informazione sommaria sul nostro sito in rete». Sul cancello antistante la chiesa c’è la scritta, in turco «Dio è amore ». «Non facciamo rumore — chiarisce suor Isabella — ma, dopo sedici anni, è nato con i vicini un rapporto amichevole. Konya è più incline alla discussione polemica che al dialogo, ma noi ci rifugiamo in angolo dicendo che la polemica è contraria all’amore e al pacifico scambio delle opinioni. Gli studenti venivano (e vengono) a farci domande cui rispondiamo anche esponendo in chiesa alcune frasi del Vangelo; per i pellegrini, invece, abbiamo preparato un dépliant in moltissime lingue, compreso il coreano». «La nostra presenza, discreta e quasi nascosta — prosegue la religiosa — è accolta benevolmente, e forse anche perché fisicamente minute, siamo guardate con una certa simpatia. Cerchiamo di mantenere i contatti con alcune famiglie che conosciamo perché gli uomini hanno lavorato in casa nostra; facciamo gli acquisti nei dintorni e, quand’è possibile, regaliamo qualche prodotto del nostro orto. Piccoli segni di benevolenza per rassodare l’amicizia, ripagati con altrettanta gentilezza. La nostra presenza è immancabile, discreta e rispettosa. Non proponiamo spiegazioni, ma aspettiamo domande ». Konya è un terreno minato: un passo falso potrebbe mandare tutto all’aria. Le due giovani lo sanno e si sentono missionarie dell’essere più che del fare.

(©L'Osservatore Romano 3 gennaio 2012)