×

Avviso

Lack of access rights - File 'http:/www.vatican.va/news_services/or/or_quo/203q05a1.jpg'

Quanti nomi per una stessa città

 La liberazione dell'Est europeo dalla pressione dei sistemi comunisti ha reintrodotto nel dibattito europeo esigenze, a cui le culture dell'Europa orientale sono particolarmente sensibili. Lo stesso processo di unificazione continentale si è dovuto ripensare, non solamente dal punto di vista strutturale e politico, con l'allargamento dell'Unione europea, ma anche da un punto di vista culturale. L'identità europea si è dovuta declinare maggiormente al plurale. L'unità non appare come omogeneità, ma come molteplicità di profili culturali, che, pur nella condivisione di importanti elementi, primo fra tutti l'eredità cristiana, sono connessi da relazioni di complementarietà.
L'Oriente europeo, infatti, per la sua storia, che ne ha modellato i caratteri, è portatore di un'esigenza di pluralità, che non è certo estranea all'Occidente europeo, una cui rappresentazione secondo i canoni dell'omogeneità sarebbe incongrua, ma che ad est ha assunto caratteristiche peculiari. L'Europa orientale è una regione di grandi complessità e contraddizioni. Sono le complessità e le contraddizioni delle grandi pianure dell'Oriente europeo, che hanno visto nei secoli il passaggio di popolazioni, ora migranti, ora conquistatrici manu militari, ora in fuga sconfitte. È un territorio che non ha confini naturali, chiari, definiti, se non quelli dei fiumi. Sono territori di frontiera, fra culture, religioni, stati, civiltà. Frontiere spesso mobili, e non solo quelle politiche, con tante zone di meticciato e coabitazione. Sono territori in cui per secoli hanno vissuto insieme popolazioni di lingua, cultura, religione diverse, nelle stesse regioni, nelle stesse città e soprattutto, più spesso, negli stessi villaggi nel quadro di una società rurale, quale è stata e ancora continua a essere in misura ridotta quella dell'Europa orientale. La coabitazione è maturata all'interno di strutture statali imperiali o comunque sovranazionali, la cui eredità si può ancora cogliere nella presenza più o meno ovunque di significative minoranze nazionali negli odierni stati dell'Europa orientale o nella incertezza dei profili identitari dei nuovi stati sorti dalla fine dell'Unione Sovietica. Il tessuto nazionale, religioso, culturale dell'Europa orientale si è venuto costituendo nel quadro di formazioni imperiali o sopranazionali. Il ruolo giocato dall'impero zarista e da quello asburgico nel modellare il profilo dei territori dell'Est europeo è stato di notevole rilevanza. In questa prospettiva è da collocare anche il caso di quel particolare commonwealth che è stato il regno polacco-lituano, esistito dal xiv al XVIii secolo su un vasto territorio che nei periodi di massima espansione andava dal mar Baltico a nord al mar Nero a sud, dalla Prussia a ovest fino al Dnepr' a est. In questo spazio geopolitico convivevano, non di rado in uno stesso villaggio, ucraini, polacchi, tedeschi, russi ed ebrei.
Un grande intellettuale europeo Czeslaw Milosz, nato in un villaggio dell'odierna Lituania, che allora apparteneva all'impero zarista, figlio di madre lituana e di padre polacco, ma in sostanza erede di una famiglia nelle cui vene, al di là dell'autocoscienza nazionale dei suoi membri, come egli stesso ha osservato, scorreva sangue slavo, tedesco, lituano, ha dipinto alcuni quadri di questo mondo multinazionale dell'Europa dell'est. Il suo villaggio di nascita, dove ha visto la luce nel 1911, costituisce un osservatorio privilegiato di questo tessuto pluriforme:  "Nella campagna si parlava lituano e, in parte, anche il polacco. Nella cittadina, dove venivano portati i prodotti agricoli al mercato, si usava per la vita quotidiana il polacco o lo yiddish. Ma il gendarme che trascinava la lunga sciabola, l'ufficiale tributario, il controllore delle ferrovie, tutta gente importata a scopi amministrativi, si rivolgevano agli indigeni in russo (...) Al di sopra di questi funzionari c'era la piramide delle scuole e delle università russe, degli uffici, dei ministeri, dell'ortodossia, religione di Stato, e in vetta, infine, il trono dello zar".
Negli imperi più che una lingua comune, in un certo senso, ognuno conosceva la lingua dell'altro:  era la realtà di territori plurilingui. Milosz lo ha descritto anche per la città in cui ha passato la sua giovinezza. Una città dai tanti nomi:  Vilnius per i lituani, Wilno per i polacchi, Wilna per i tedeschi, Vilne per gli ebrei, Vil'no per i russi. È un fenomeno emblematico comune ad altre città dell'Est europeo, dovuto al succedersi di differenti dominazioni, ma anche alla compresenza nella stessa città di diverse nazionalità, nella cui cultura quella città aveva acquistato un posto. È il caso, in Galizia orientale, di Leopoli, per usare la denominazione latina, L'viv per gli ucraini, Lwów per i polacchi, L'vov per i russi, Lemberg per i tedeschi, Lvuv per gli ebrei, o quello, in Bucovina settentrionale, oggi in Ucraina, di Czernowitz per i tedeschi, Cernauti per i romeni, Tshernevits/Tshernovits per gli ebrei, Czerniowce per i polacchi, Cernovcy per i russi, Cernivci per gli ucraini, patria di tanti scrittori significativi fra xix e xx secolo, come Paul Celan, Gregor von Rezzori o Karl Emil Franzos, solo per citarne alcuni. Di Czernowitz Franzos scriveva:  "Chi attraversa questa città si trova davanti agli occhi immagini tanto straordinariamente differenti e variopinte, da chiedersi stupito se, quella che sta attraversando sia sempre la medesima città. Oriente e Occidente, Nord e Sud e ogni singola cultura della terra sono riuniti qui".
Come la definiva la poetessa ebrea di lingua tedesca Rose Ausländer, si tratta di "una città policroma, nella quale si compenetravano il patrimonio culturale germanico, slavo, romanzo ed ebraico". E "aveva una fisionomia particolare, un suo proprio incarnato. Sotto la superficie del dicibile affondavano le radici ampie e ramificate delle differenti culture, che si compenetravano sotto molteplici aspetti e che apportavano forza e linfa vitale alle fronde dell'albero della parola, alla creazione del suono e della parola (...) È da questo barocco milieu linguistico, da questa sfera mistico-mitica che provengono poeti e scrittori tedeschi ed ebrei".
La "policromia" culturale e la "barocca" varietà linguistica costituiscono un elemento di primaria importanza per la comprensione dell'Europa orientale. Si può a ragione parlare di una particolarità dell'Est europeo che vede proprio nel plurilinguismo uno dei suoi tratti fondamentali. Ludwig von Mises, il grande economista austriaco nato a Leopoli, propose, subito dopo la prima guerra mondiale, una definizione di Europa orientale, su cui ha recentemente richiamato l'attenzione Andrea Graziosi, come "insieme di "territori plurilingui" nei quali (...) si erano instaurati legami particolari tra arretratezza (...), nazionalità e tipo di nazionalismo, costruzione statale, tentativi di modernizzazione e produzione ideologica".
In Europa orientale più lingue, più gruppi etnici e più universi religiosi non solo sono coesistiti, perché riuniti sotto un unico potere imperiale, ma si sono spesso sovrapposti e intersecati, vivendo fianco a fianco sugli stessi territori, in un lungo processo storico di invasioni e spostamenti di popolazione nell'ambito di contesti imperiali che ha avuto una durata ben superiore a quello che ha investito i territori occidentali del continente europeo. Lingua, appartenenza culturale, confessione religiosa costituiscono un intreccio complesso, di cui Milosz ha restituito alcuni tratti con riferimento alla Vilnius della sua giovinezza:  "Gli abitanti della città parlavano o il polacco o lo yiddish; le altre lingue:  il lituano, il bielorusso e il russo erano scarsamente diffuse (...) Tuttavia non si tratta della sola lingua, ma anche dell'appartenenza a una civiltà. E spesso vi si aggiunge il problema della religione. Nel distretto di Vilna dominava il cattolicesimo romano, seguito dall'ebraismo. (...) Avevo a scuola dei compagni caraiti, discendenti, come essi affermavano, della setta degli esseni (...). Della Chiesa calvinista, un tempo potente, era rimasto un certo numero di evangelici. Fra i compagni di scuola avevo anche maomettani (...) tartari (...) e infine due gigantesche chiese ortodosse con le cupole a bulbo".
L'idea di nazione quale si è venuta delineando in Europa tra fine XVIii e inizio xix secolo ha avuto un impatto dirompente sul tessuto di coabitazione dell'Oriente europeo. Ha ricordato Milosz come la popolazione rurale dei territori lituani fosse ignara della questione nazionale:  "I contadini (...) per la disperazione dei loro fratelli più coscienti, non comprendevano (salvo, naturalmente, i lituani, distinti in modo netto dagli slavi) il significato del concetto di nazionalità. Interrogati sulla loro di solito rispondevano:  "ortodossa" oppure "cattolica"". In realtà nel corso del "lungo Ottocento" si è compiuta la saldatura, dapprima nella coscienza dei popoli, o forse più precisamente delle loro élites, dell'identità religiosa e di quella nazionale, e poi di queste con un territorio, su cui si rivolgeva l'aspirazione a realizzare uno Stato-nazione. Uno Stato, una nazione, una Chiesa. L'attuazione di questi postulati ideologici ha dovuto fare i conti in Europa orientale con un tessuto estremamente intricato dal punto di vista etnico e religioso.
Il rapporto fra ortodossia e nazione, tuttavia, è più antico del risveglio ottocentesco delle passioni nazionali. Le Chiese ortodosse hanno costituito per molti popoli un fattore primario di identità, cui hanno dato cultura, coscienza di sé, idioma, a volte consentendo per il tramite dell'identità religiosa a molti popoli di non essere assorbiti da parte di etnie conquistatrici. Altre volte, la Chiesa ortodossa è stata un elemento decisivo di affermazione nazionale per quei popoli che, in età medievale e moderna, hanno conosciuto periodi di sovranità territoriale.
L'impatto del nazionalismo sul tessuto di coabitazione dell'Europa orientale è stato lacerante. Si sono innescati processi di omogeneizzazione etnica del territorio dei nuovi Stati nazionali attraverso fenomeni di assimilazione, spesso coatta, o di espulsione, fino alle pratiche di eliminazione, delle minoranze. Tuttavia le caratteristiche "policrome" di questi spazi imperiali, prodotto di stratificazioni secolari, non sono state annullate completamente. In alcune regioni sono più nascoste, in altre più evidenti, ma continuano a qualificare l'Est europeo, soprattutto quello ex-sovietico, dove l'impronta imperiale è più fresca e più profonda.
di Adriano Roccucci

(©L'Osservatore Romano - 31 agosto 2008)