Cattolici e ortodossi uniti per la la vita

abbraccio-neonatiMOSCA, 31. C’è un terreno comune che sempre più può vedere uniti nell’impegno cattolici e ortodossi. L’aiuto alle donne in difficoltà, nel tentativo di sottrarle alla tentazione dell’aborto. Ne è convinto padre Michael Shield, originario dell’Alaska, missionario dei Piccoli Fratelli di Gesù, da vent’anni al lavoro in un lontano lembo della Russia. «Salvare il maggior numero di vite. Un obiettivo in vista del quale cattolici e ortodossi possono e devono lavorare uniti: per la tutela della vita umana, per il bene della famiglia, per la dignità delle donne e contro l’ab orto». Quando, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, padre Michael approdò a Magadan, questa cittadina siberiana era conosciuta soprattutto per i campi di prigionia di epoca staliniana. Ancora oggi, la strada che collega la città alle zone minerarie della regione della Kolyma è detta «Strada delle Ossa», poiché proprio le ossa dei prigionieri dei gulag morti durante i lavori della sua costruzione sarebbero state incorporate nella pavimentazione. In memoria di ciò nel 1996, con il contributo del Governo russo, è stato anche innalzato un gigantesco monumento intitolato «Maschera del rimorso», realizzato da Kamil Kazaev, su disegno dello scultore Ernst Neizvestny, i cui genitori perirono vittime delle purghe staliniste degli anni Trenta. Il clima che si respira, ovviamente, è oggi molto diverso. Anche se le cicatrici del passato si fanno ancora sentire. Soprattutto per quanto riguarda i costumi e la sfera affettiva. Anche nella piccola cittadina portuale dell’estremo nord est russo — che oggi ricade nella diocesi cattolica di San Giuseppe a Irkutsk — «i comunisti avevano praticamente distrutto il valore della dignità umana e calpestato la vita in svariati modi ». Infatti, durante il periodo sovietico l’aborto era un metodo molto diffuso di controllo delle nascite e ancora oggi la percentuale di interruzioni volontarie di gravidanza è alta. «Quasi ogni donna oltre i t re n t ’anni ha già abortito — racconta il religioso — alcune perfino dieci volte». E prima di conoscere padre Michael, nessuna ammetteva di aver volutamente rinunciato al proprio figlio. Oggi però le donne di Magadan stanno imparando a condividere quel dolore e quel senso di colpa «che lasciano profonde cicatrici nel c u o re » . Il lavoro del missionario, grazie anche al supporto della fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, non consiste unicamente nel prendersi cura delle donne che hanno abortito. La sua opera sostiene anche le future mamme sole e prive di risorse economiche. «Qui avere un bambino significa perdere tutto». Molte ragazze non hanno più avuto contatti con la famiglia da quando sono andate via di casa. E i loro compagni rifiutano la responsabilità di diventare padri e le obbligano ad abortire, oppure le abbandonano. Diverse coppie ricorrono poi all’aborto per motivi economici: il tasso di disoccupazione è del 75 per cento e per molti un figlio è «solo un peso da sopportare». Per convincerle a tenere i propri bambini, la Chiesa cattolica locale, guidata dal vescovo Cyryl Klimowicz, cerca di rispondere concretamente alle esigenze delle donne fornendo vestiti, cibo, medicine e anche contributi economici. «Tante ragazze non hanno letteralmente un tetto sopra la testa — spiega il religioso — ma grazie ad Aiuto alla Chiesa che Soffre posso accoglierle nella mia parrocchia». La fondazione pontificia ha contribuito alla costruzione di un piccolo appartamento dove vengono ospitate temporaneamente alcune giovani madri in difficoltà. Normalmente padre Michael, insieme con i suoi confratelli, spinge anche perché le donne incinte effettuino il prima possibile un’ecografia. Infatti, poter vedere quel piccolo «puntino» di cellule custodito in grembo e sentirne il battito del cuore concorre a creare un fortissimo legame e suscita un immediato istinto materno. Allo stesso modo, un semplice gesto come quello di poter acquistare dei vestitini può far comprendere che quella che sta crescendo in seno è una già una vita umana. In parrocchia le giovani — di cui molte non hanno mai avuto una figura femminile di riferimento — approfondiscono inoltre il significato dell’essere madre e sono aiutate a completare gli studi. «Devono capire che anche con un figlio è possibile avere una vita, realizzarsi». Padre Michael racconta, inoltre, che molte volte le donne hanno l’abitudine di accendere dei ceri in ricordo dei loro «figli non nati» sotto all’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso. Un giorno, qualche tempo fa, nella chiesa della Natività ne sono entrate insieme cinque e hanno acceso ben quarantasette piccole candele. Una per ognuno dei loro bambini che avevano abortito. «Oggi — conclude padre Michael — ci sono molti più piccoli che giocano e ridono e molte più madri felici ed orgogliose. E finalmente Magadan si sta trasformando in un luogo pieno di vita».

© Osservatore Romano - 1 aprile 2012